Fuori dall’angolo per una sinistra all’altezza delle sfide del tempo presente
Abbiamo incontrato Simone Oggionni, trent’anni, di cui gli ultimi quindici dedicati all’impegno e alla militanza nei Giovani Comunisti di cui è stato portavoce nazionale dal 2010 fino a sabato scorso. In tanti infatti hanno lasciato l’organizzazione giovanile del Prc firmando un documento ‘Fuori dall’angolo per un nuovo inizio’.
Cosa è accaduto Simone? Cosa vi ha condotto a questa scelta?
E’ accaduto ciò che, in politica, dovrebbe accadere più spesso. Dopo la manifestazione di San Giovanni, abbiamo riunito i nostri compagni e le nostre compagne, quelli con cui in questi anni abbiamo condiviso tutto: progetti, speranze, delusioni, sogni. Ci siamo ascoltati a fondo e abbiamo scelto, tutti insieme, quel che era diventato inevitabile: voltare pagina, rimetterci in cammino. La nostra sofferenza, in questi anni, è stata vedere gli sforzi, l’entusiasmo, le proposte sistematicamente mortificati. Abbiamo provato a suggerire un modo diverso di essere comunisti: più curiosi, più aperti al mondo e alla sua complessità. Siamo stati vissuti come un problema, come una zavorra. Abbiamo allora capito cos’è, in politica, il dolore e quanto fosse necessario elaborarlo per ripartire fuori dalla nicchia nella quale il partito ci aveva confinati. Perché questo è sempre stato il punto di dissenso tra noi: quale senso attribuire alla sinistra e all’alternativa. O la riserva rassicurante ma ininfluente oppure una leva della trasformazione che agisce nel campo aperto della vita reale, della società. Noi volevamo e vogliamo essere questo.
La manifestazione del 25 ottobre disvela con forza una voce di dissenso alle politiche del governo. Quella voce, lo ha detto Nichi Vendola, lo ribadisci anche tu su Huffington Post, ha bisogno di rappresentanza politica. È possibile che tutti coloro che non si lasciano incantare dalla propaganda cinica della Leopolda e che percepiscono il rischio di un impoverimento della democrazia e della società scrivano una pagina nuova? Quindi superino steccati, cedano sovranità, rivedano le forme della partecipazione e dell’organizzazione…
Il punto è precisamente questo. Quella piazza mette in scena la possibilità che si ricomponga un soggetto sociale disgregato. Un soggetto – innanzitutto il mondo del lavoro – che è stato frantumato da almeno due decenni di politiche neo-liberiste, quindi a causa di responsabilità e scelte precise. La nostra tesi è che quel soggetto ha bisogno, per ricomporsi sul terreno pubblico, del protagonismo della politica. Di quale politica? Di quella che non vuole più essere costretta a scegliere tra la resa e l’inutilità, tra la subalternità e la testimonianza. In piazza ho visto questo interesse, questa disponibilità. Bisogna tradurlo e valorizzarlo nel vivo di questa fase di mobilitazione sociale. Tu parli di organizzazione. Sì, bisogna organizzare questa sinistra diffusa e dispersa, che in parte abbiamo già incontrato con l’esperienza della lista Tsipras, e avviare un nuovo percorso. Se è possibile, e io penso di sì, non commettendo gli errori di sempre, anche sul piano delle forme della partecipazione.
Ti definisci ‘Comunista inflessibile nel mondo reale’. Quanto ‘noi’ giovani siamo stati vecchi nel leggere il mondo e abbiamo fatto politica come i nostri maestri? C’è un mondo fuori che non solo non comprende, non è incuriosito, nella migliore delle ipotesi, ma con fatica si avvicina a noi…
È proprio il tema delle liturgie, dei modelli, dei linguaggi, che noi abbiamo spesso pensato di poter ricopiare pedissequamente dal passato. La sento anche come una mia responsabilità, nelle vicende interne alla nostra organizzazione giovanile in questi anni. Ricordo che mi trovai a Genova nel 2001, con tutta l’incoscienza che si ha a diciassette anni, senza capire che là c’era una possibilità di innovare, di mettersi in cammino a fianco di una nuova generazione. E invece ci scontrammo, già allora, tra chi aveva fretta di archiviare, non riconoscendo nella nostra identità alcunché di interessante, di vivo; e chi, come me, non coglieva fino in fondo la portata dei processi. Il risultato è stato che in quel tornante abbiamo perso non solo un’occasione, ma anche tante e tanti di noi.
Oggi dico che ciò che ci deve affascinare della Storia che abbiamo alle spalle sono proprio le tante pagine nelle quali la nostra parte, i nostri maestri, hanno dimostrato di sapere tenere insieme le radici, l’ancoraggio a una tradizione, a un’idea del mondo, e lo sguardo verso il domani, cioè l’innovazione, lo strappo, proprio per conquistare una connessione con il proprio tempo, con i soggetti in carne e ossa.
L’abiura è tanto sbagliata quanto la caricatura muscolare dell’identità. L’inflessibilità, il rigore a cui fai riferimento ha a che fare con il bisogno di continuare a esprimere la nostra identità senza reticenze, senza autocensure, ma anche senza perdere il senso della misura, la dimensione del dubbio.
Abbiamo condiviso il 4 ottobre la presa di parola in Piazza Santi Apostoli a Roma: prove tecniche di una sinistra che non si adegua al renzismo e non si esilia nella testimonianza ma pratica l’ambizione di essere moderna, efficace, curiosa del mondo che cambia… Quali le prossime tappe?
Tra il 4 e il 25 ottobre c’è un dialogo che va intensificato e portato alle sue logiche conseguenze. Serve un secondo 4 ottobre e un secondo 25 ottobre: cioè coraggio e radicalità nella opposizione sociale al renzismo e alle politiche economiche del governo; e la tessitura di una trama, l’avvio vero e proprio di un processo politico teso a costruire il nuovo soggetto della Sinistra italiana. Con Sel, ovviamente, che è essenziale, come ho già avuto modo di dire. Ma anche oltre Sel, perché Sel non è sufficiente e perché nella pratica quotidiana dell’alternativa abitano realtà e soggettività diverse, come per esempio Sinistra Lavoro, alla quale abbiamo dato vita proprio nelle scorse settimane, e soprattutto donne e uomini, ragazze e ragazzi a cui dobbiamo finalmente dare la possibilità di pensare e praticare una Sinistra all’altezza. È una bella sfida ma questa volta dipende solo da noi.
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