Il documento e gli emendamenti approvati dall’Assemblea nazionale di Sinistra Ecologia Libertà
Noi, la nostra discussione
Siamo dentro un passaggio cruciale della nostra vicenda politica. La storia e il futuro di Sel sono inestricabilmente legati agli straordinari cambiamenti in atto in Italia e in Europa. Da qui dobbiamo prima di tutto partire, dal metterci in connessione col mondo, evitando un dibattito tutto ripiegato su noi stessi. Il voto del 25 maggio, quello europeo ma anche quello amministrativo, incluso l’esito del turno dei ballottaggi per l’elezione dei sindaci, disegna una geografia politica ricca di significati e di suggestioni, sia pure dentro una dimensione di assoluta fluidità degli orientamenti elettorali: occorre leggere con attenzione il senso di un processo elettorale che da un lato è un giudizio senza appello sulle politiche di austerity, dall’altro è la disperata ricerca di una via d’uscita dalla depressione economica e dalla crisi morale che assediano intere porzioni di vecchio continente, a partire dal nostro Paese. Cosa è diventata, cosa diventerà l’Europa? Che ruolo giocherà l’Italia in questa drammatica partita in cui rischia di infrangersi il sogno di una nuova sovranità e di una nuova democrazia europea? La nostra comunità politica si trova ad essere segnata da una discussione impegnativa e profonda, senza esiti scontati: ma è questo l’ordine del giorno su cui siamo chiamati a confrontarci e a metterci in gioco, con coraggio. Il futuro di quel luogo, l’Europa, che fu nel Novecento laboratorio di emancipazione sociale ma anche teatro della più grande carneficina della storia umana. L’Europa oggi schiacciata dai funzionari del pensiero unico e delle oligarchie della finanza e dalla predicazione velenosa dei populisti, dei nazionalisti, dei nuovi fascisti. Di questo parliamo, del ruolo che la sinistra deve svolgere per salvare e rilanciare il progetto europeista. Con differenze di analisi e di prospettiva che, nel nostro dibattito, dobbiamo far vivere come una ricchezza. Non siamo una setta ma una comunità politica, abbiamo scelto di essere una comunità in cui la libertà delle idee vive e deve vivere come pratica quotidiana. Non c’è sanzione disciplinare per chi dissente e per chi rivendica il diritto di organizzare il proprio dissenso. A casa degli altri partiti non funziona esattamente così, ma se si partecipa ad una contesa di bella politica, ad una gara di saperi e di culture, non si deve avere paura. Noi non abbiamo paura, benché siamo fino in fondo consapevoli del rischio che si può aprire per noi di dissipare la ricchezza di un’esperienza che pur in un tempo breve della sua storia ha seminato germi importanti di un nuovo vocabolario, che allude esplicitamente ad una nuova cultura e pratica politica. Per questo intendiamo svolgere questa nostra discussione nella trasparenza delle differenti posizioni che si confrontano e, insieme, con l’assunzione di quella responsabilità politica condivisa che sentiamo verso il bisogno della costruzione di una sinistra per l’Italia e per l’Europa. Qui, appunto, nel cuore di un’Europa soffocata da una lunga crisi ancora senza sbocchi, è il nostro orizzonte politico e sociale, il luogo in cui misurare la riuscita della nostra scommessa.
L’Europa che abbiamo, l’Europa che vogliamo
L’Europa che esce dal voto resta sospesa nell’incertezza del proprio destino e tutti aperti risultano gli sbocchi della crisi globale che l’attraversa da anni senza che una nuova strada s’intravveda ancora all’orizzonte. Il rischio che si prosegua nelle politiche di rigore sin qui praticate è quello più concreto e pericoloso. Esse sono risultate del tutto fallimentari nell’azione di contrasto della crisi, mentre hanno al contempo disseminato il campo sociale continentale di nuove crescenti diseguaglianze e quello politico del vento minaccioso di populismi che oggi alimentano pulsioni xenofobe e razziste. Il nodo politico irrisolto attorno a cui la crisi si contorce resta quello dell’evanescente progetto unitario dell’istituzione comunitaria europea. I mercati, in primo luogo quelli finanziari, diventano globali ma le istituzioni non varcano il confine angusto e periferico delle singole realtà nazionali. In questo colpevole vuoto di una politica unitaria europea, frutto malato dell’inettitudine delle attuali classi dirigenti, si apre a dismisura il varco per il dominio incontrastato delle pure logiche di mercato che altro non producono, con gli squilibri di cui permanentemente si nutrono, se non instabilità crescenti, economiche e sociali. La crescita complessiva europea gira a vuoto attorno allo zero, si rinchiude nelle retrovie di una ristretta dimensione quantitativa priva di effettiva competitività con le economie emergenti, non regge la vera sfida che può seriamente rilanciarla su basi stabili, quella della qualità di un nuovo modo tanto della produzione come del consumo. A soccombere sempre di più è ciò su cui si è retto quel modello sociale che ha prodotto il tratto peculiare dell’esperienza europea nel quadro mondiale: la centralità del lavoro e del suo valore sociale e umano, la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, la dimensione dei diritti sociali che quando si affermano esigono l’estensione ai diritti individuali della persona e alla qualità delle libertà di ogni singolo soggetto. La precarietà dei rapporti di lavoro, divenuta ormai norma prevalente, imprime il proprio segno svalutativo alle condizioni di reddito e dunque di vita delle persone, colpendo più pesantemente i giovani e le donne. Essa si configura, insieme con il catastrofico degrado ambientale e l’indebolimento dell’esercizio democratico, come l’emblema di una crisi europea sempre più strutturale che si misura con l’assenza di una politica capace di contrastarla. Noi vogliamo un’altra Europa. Che combatte la crisi e la lunga recessione con una radicale inversione di rotta. Per mettere fine alle devastanti politiche di austerità con politiche espansive, per una nuova e piena occupazione. Un’Europa che persegua la modifica di quei Trattati che, nel nome dei vincoli di bilancio, rischiano di strangolarla. E un’Europa che attui la riforma delle politiche dell’immigrazione, che assegni alla BCE la funzione di aperto sostegno delle piccole e medie imprese, aprendo le proprie leve del credito a quegli stati membri più colpiti dalla crisi. Quest’Europa non è il sogno di un imprecisato futuro, ma la possibilità concreta del presente. Siamo alla vigilia del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea e il tempo è adesso. Per l’Italia è una occasione unica e davvero straordinaria di segnare una rottura nella declinante storia del continente che pensava di contrastare la crisi con la distruzione del Welfare. Qui noi lanciamo la nostra sfida a Renzi e al suo ruolo europeo. Non siamo mai stati iscritti al partito del “tanto peggio tanto meglio” e siamo fino in fondo una sinistra di governo. Con questo spirito lo sollecitiamo e lo incalziamo ad assumere un ruolo né subalterno né a rimorchio di altri paesi. Cambiare verso all’Europa, se non è uno spot pubblicitario, è una agenda molto precisa. Non una evanescente critica spedita ad un destinatario sconosciuto, ma l’abbattimento di un muro, la liberazione da una ipoteca feroce, la fine della stagione dell’austerity.
Il voto europeo
Il voto dimostra che la crescente insoddisfazione delle popolazioni europee verso la cruda realtà che la crisi determina con le politiche del rigore liberista ripiega nel dilagare dell’astensionismo. La crisi sociale presenta il proprio risvolto politico in una crisi di rappresentanza che diviene allarmante e chiama in causa valore e qualità della pratica democratica nell’intero Continente. Era un esito che avevamo temuto, esso appartiene ad un tratto della storia politica e sociale europea che si ripresenta, in forme nuove, ogni qual volta la risposta alla crisi anziché orientarsi sulla strada di un cambiamento fondato sulla redistribuzione della ricchezza e dell’equità sociale, del ricambio delle classi dirigenti e del primato della politica, si risolve nel dominio delle oligarchie finanziarie, assecondato dalla compiacente passività dei governi e dei principali attori politici. L’area del voto si restringe e premia, particolarmente nei paesi più stabili e meno aggrediti dalla durezza sociale della crisi, formazioni dell’estrema destra e populiste. Il Partito del Socialismo Europeo paga ovunque la condivisione delle politiche di austerità nei governi di coalizione con i Popolari e tracolla in Francia con il venir meno delle aspettative, suscitate all’inizio del governo Hollande, di un protagonismo europeista capace di invertire la rotta delle politiche di puro rigore in nome di una nuova costruzione europea. Nei paesi del sud d’Europa, su cui si è riversato in questi anni il costo sociale più pesante della crisi, si fa strada un bisogno di cambiamento interpretato dalle diverse forze progressiste e di sinistra che va ora praticato politicamente nel segno di una possibile alternativa rappresentata dall’area del Mediterraneo. In Italia il Partito Democratico consegue uno straordinario risultato elettorale, in grande misura frutto dell’inedito protagonismo renziano e della polarizzazione di una campagna elettorale accreditata e giocata verso l’opinione pubblica come la scelta tra l’argine democratico da una parte e l’incognita costituita da una possibile affermazione del Movimento 5 Stelle dall’altra. L’idea della nascita, attraverso il voto europeo, di un nuovo “partito della nazione” in grado di coagulare le diverse istanze sociali rappresentandole stabilmente in un unico contenitore, appare ambigua ma anche distante dalla realtà dei fatti. Lo stesso consenso elettorale, mai come in questa fase caratterizzato da una forte mobilità e volatilità, pone quel partito dinanzi ad un esito non scontato, come dimostra la doppia tornata amministrativa. Piuttosto si pone ora, per quel partito, l’interrogativo di come investire, in quale precisa direzione, un capitale politico così rilevante. E’ un tema che riguarda anche noi, a partire dal ruolo che sapremo svolgere nella costruzione della prospettiva di un centrosinistra realmente alternativo, in Italia come in Europa, alle politiche di austerità praticate dai governi tecnici, di larghe intese, di grosse coalizioni. Questo è per noi un discrimine su cui misurare i programmi e le alleanze presenti e future. Così, da sempre, misuriamo il nostro modo di essere e di stare nei governi locali, regionali e comunali, portando all’intero centrosinistra il contributo di idee, di competenze, di personalità che nel territorio lo fanno vivere per il cambiamento. Nella politica nazionale il centrosinistra è stato vanificato dalle scelte politiche del Partito Democratico, prima in una campagna elettorale condotta guardando al centro montiano mentre cresceva l’ondata grillina e poi dalla alleanza con la destra che si prefigura, allo stato presente delle cose e nelle sue varie forme, come la scelta politica di un’intera legislatura. Ripensare con credibilità al centrosinistra in Italia oggi vuol dire trovare la comune ragione fondativa, tra partiti differenti, di una politica alternativa nei programmi, nelle alleanze, nella forma di governo a quelle dello schieramento di centrodestra: alternativa al berlusconismo, al populismo, al liberismo. Conta alla prova dei fatti la qualità del progetto di società italiana di cui il centrosinistra sa farsi interprete, e i capisaldi tanto di un programma comune quanto di un’alleanza possibile e necessaria si misurano per noi a partire dalla centralità dei diritti delle persone, delle persone che rivendicano dignità e valore sociale nel lavoro, nelle scelte concrete della propria vita, nel percorso di formazione e apprendimento, nell’espressione piena della propria soggettività. Cos’altro può essere il centro-sinistra se non la speranza di far vivere lo spirito della Costituzione, non un feticcio normativo ma una bussola funzionante e un orizzonte vitale, sia pure con quell’indispensabile ammodernamento istituzionale che deve significare non solo più semplicità ed efficienza della macchina pubblica ma anche più controllo sociale e più protagonismo dei cittadini? Non è questa la “via maestra” che ci consente di non affogare nella “società liquida” e ci aiuta a ricostruire il primato dei beni comuni e la centralità dello spazio pubblico? Non è così che possiamo provare a recidere le radici di una corruzione e di una immoralità che sono l’espressione del primato del particolarismo, del corporativismo, del localismo, ma anche la subalternità ai processi di privatizzazione della società e delle istituzioni? Quanta sciatteria nell’archiviare gli scandali che coinvolgono, una dopo l’altra, tutte le cosiddette “grandi opere” a fenomeni della cronaca nera, offrendo una ricetta facile quanto fumosa: basta cacciare i ladri, i tangentisti, i corrotti. Si tratta di un vero esorcismo che non consente di leggere criticamente l’intreccio organico tra corruzione e modello di sviluppo. E se un partito viene coinvolto, può cavarsela dicendo: noi non c’entriamo, sono vecchie storie? Curioso modo di celebrare la ben più corposa e drammatica “questione morale” di Enrico Berlinguer… In questo contesto politico, come si vede, non esiste per Sel un’ipotesi di cooptazione nell’attuale maggioranza di governo. Noi ci collochiamo con chiarezza all’opposizione, valutando sempre gli atti e le scelte concrete del governo, alla luce di quella alternativa politica che, anche dall’opposizione, ispira la nostra azione. Si rompa la gabbia delle alleanze con la destra e allora noi siamo pronti a discutere di tutto, e cioè della qualità del cambiamento necessario al Paese. Il voto precipita il Movimento 5 Stelle in una svolta regressiva che certo non era più rinviabile e che chiama in causa la sua stessa prospettiva futura, fin qui oscillante tra l’urlo inconcludente di una vacua protesta e il bisogno di un forte cambiamento da incanalare in una alternativa politica reale. In quel bacino di consenso ancora consistente è insita una novità politica che sempre meno può rimanere congelata nella promessa di una indefinita palingenesi e sempre di più esige di essere messa alla prova di una concreta cultura e azione di governo di quei problemi del paese che essa interpreta e rappresenta. La scelta dell’allenza strategica con la destra nazionalista di Farage è un vero disvelamento delle intenzioni politico del sodalizio Grillo-Casaleggio e toglie alla loro leadership qualsivoglia ancoraggio alla sinistra e alla sua cultura. Finisce la felice ambiguità su cui il grillismo ha costruito la propria fortuna. Noi combatteremo a viso aperto la loro offerta politica, ma guarderemo con estremo interesse alla domanda di radicalità che quel fenomeno ha saputo evocare.
A sinistra
In Italia il voto a sinistra ha superato, per la prima volta dopo diversi anni, la prova ardua di un iniquo quorum che, unico in questa consistenza nel quadro europeo, limita e svilisce la rappresentanza delle concrete forze in campo. Una scommessa, ispirata da un’idea programmaticamente forte di nuova Europa, guidata da un giovane leader ricco del valore simbolico della lotta di gran parte della popolazione del proprio paese all’imposizione delle più dure politiche di austerità, condotta in pochi mesi nelle condizioni di marginalità mediatica e di francescanità di risorse materiali, ha aperto un varco ad una possibilità politica che ora, nel Parlamento Europeo come nel Paese, può essere praticata e fatta crescere.
Molto di questa possibilità dipende adesso da noi se sapremo, con chiarezza di obiettivi e determinazione di iniziativa, svilupparla nel nuovo quadro, italiano ed europeo, che il voto ha determinato. La scelta coraggiosa e generosa maturata solo pochi mesi fa al nostro congresso di Riccione ha trovato un riscontro positivo in quella parte dell’elettorato italiano che subisce i contraccolpi di una crisi chiedendo come risposta non meno Europa ma più Europa, non questa Europa ma un’altra Europa, che ispirandosi all’idea fondativa federalista e democratica degli Stati Uniti d’Europa di Altiero Spinelli sappia oggi mettere in campo politiche unitarie ed espansive verso il lavoro, il welfare, il new deal ecologico, le politiche fiscali, l’estensione e la qualità dei diritti e delle libertà individuali. Poteva apparire una scelta controcorrente, tra il moderatismo indotto dalle logiche della perpetua emergenza e il populismo che soffia in senso antieuropeista e per il ritorno agli ottocenteschi confini, e monete, nazionali. Ma è stata una scelta coerente con la nostra ricerca. Sostenere Alexis Tsipras, far parte di una lista senza simboli di partito, spenderci senza risparmio per la raccolta delle firme, destinare risorse del nostro partito alla campagna elettorale, così abbiamo corrisposto, nelle condizioni date, all’idea di operare quell’allargamento dell’orizzonte di una nuova sinistra che si misura a partire dai contenuti e dal merito, mai dai recinti né dai tornaconti di partito, fosse pure il nostro. Altro che l’inappellabile sentenza di inaffidabilità che ci viene attribuita da Barbara Spinelli a conclusione della campagna elettorale e nel mezzo di una discussione che ci impegna per un percorso futuro. La prova, viceversa, sia pure di misura, è stata superata, un varco si è aperto. Il Partito Democratico con le sue incursioni ad ampio raggio ha svuotato più di qualche serbatoio elettorale oltre il proprio campo di appartenenza, ma non questa volta il nostro. Qui c’è un fatto politico che parla alla prospettiva possibile della sinistra italiana, alla funzione che essa potrà assumere e all’autonomia che potrà farla vivere.
Il cammino che ci attende
La funzione e l’autonomia politica della sinistra si gioca fuori da ogni minoritarismo come dalla subalternità alle logiche precostituite di posizionamento e di schieramento. Nell’uno e nell’altro caso la sinistra ridurrebbe sé stessa a marginalità culturale, politica e organizzativa. Il suo campo d’azione è invece quello largo dell’incontro e del confronto delle diverse culture politiche, dell’iniziativa politica capace di far agire la cultura e la pratica del governo dei processi sociali a prescindere dalla collocazione della fase, delle alleanze mai fini a sé stesse ma sempre rispondenti ad un progetto di cambiamento dell’agenda di governo e di fuoriuscita dalla crisi. Per questo noi diciamo che non servono improbabili e improvvisate fasi costituenti, né procedure di scioglimento di forze politiche. Serve un lungo e convinto lavoro, culturale, politico, organizzativo, teso in ogni momento del suo percorso ad allargare il campo della sinistra e del proprio raggio d’azione politica. Serve pluralità e solidarietà di gruppi dirigenti in un cammino impegnativo che si è scelto ieri di intraprendere e oggi di proseguire. Serve guardare non solo dentro ma fuori e anche lontano da noi, per scoprire i segni di un ritorno della passione e dell’entusiasmo da parte di una nuova generazione verso la buona e bella politica.
E’ proprio muovendo da questa convinzione che abbiamo sostenuto, e oggi ribadiamo, la posizione di stare con Tsipras ma non contro Schulz costruendo un fronte comune con i Verdi Europei(1). E’ tutt’altro che una posizione mediana, tanto meno contraddittoria o addirittura ambigua. Nella piattaforma politica presentata da Alexix Tsipras c’è fino in fondo la nostra idea di Europa da costruire, con l’azione del governo, per uscire a sinistra dalla crisi in corso. C’è la cultura politica di un modello sociale europeo che cambia alla radice l’attuale modo dissipativo di produrre e di consumare. C’è il senso della dignità e del valore della politica, della democrazia, della sovranità popolare come il bene comune che rompe il cerchio stretto e soffocante dell’Europa delle oligarchie e dà la parola ai cittadini. E’ per questo che l’idea di un’altra Europa di cui Tsipras è portatore, e noi con lui, può risultare essenziale nel percorso che anima il Partito del Socialismo Europeo di Martin Schulz verso il superamento di quelle politiche di austerità in gran parte condivise con il Partito Popolare Europeo e oggi giunte al dunque. Dare forza e prospettiva ad una sinistra che si dimostri capace di allargare il campo della propria azione e di essere portatrice di politiche alternative di governo su scala nazionale ed europea, vuol dire contribuire a rimuovere argini e steccati che separano e indeboliscono la potenziale forza della sinistra stessa in tutta Europa e ravvicinare le sue attuali differenti famiglie in una prospettiva di convergenza: questo è un obiettivo di portata strategica che va perseguito con ostinazione. Anche perché c’è bisogno di mettere insieme le cose migliori e di smaltire insieme le cose peggiori. Abbiamo imparato che la sinistra muore sia quando si presenta come ortodossia o ribellismo, sia quando restringe il proprio orizzonte alla mera occupazione del potere. La sinistra è cambiamento e dunque deve essa stessa cambiare, rimescolare le proprie carte, aprirsi al futuro. Per compiere questo cammino Sinistra Ecologia Libertà è essenziale, ed è pronta a giocare la partita di una sfida complessa. Sel c’è, nel crocevia di questo campo da cui l’orizzonte si può allargare, c’è ovunque vi sia ricerca, sperimentazione, organizzazione, pratica di una sinistra innovativa, aperta, inclusiva. Sinistra Ecologia e Libertà sarà parte attiva in tutti i processi che metteranno a tema questa prospettiva e sarà impegnata per promuoverne a sua volta. A partire dall’Assemblea convocata da ACT! il 29 giugno e quella dei comitati territoriali della lista Tsipras convocata per il 19 luglio(2). Qui è il nostro campo oggi, forse nel punto d’incrocio più difficile da compiersi, senz’altro quello più rispondente alla soluzione dei problemi aperti dalla crisi. Per cambiare, con lo strumento della politica, la vita delle persone.
Il luogo naturale in cui condividere questo percorso è quello di una conferenza programmatica aperta che superi e ricomprenda la conferenza organizzativa già prevista dal congresso di Rimini. Una conferenza che delinei i possibili percorsi di questo nostro essere in cammino e che si interroghi con gli strumenti più adeguati e con il contributo di tutte e tutti.
Per questo il cammino di costruzione della conferenza dovrà porsi l’obiettivo di una vasta ed effettiva consultazione dei territori in particolare con il ricorso a forme di consultazione diffusa alfine di produrre proposte partecipate di discussione che garantiscono un appuntamento nazionale per la conferenza entro l’autunno.(3)
Nichi Vendola
1) emendamento presentato da Loredana De Petris
2) emendamento presentato da Valeria Rustici e altri
3) emendamento presentato da Massimo Molteni ed altri
Il documento è stato approvato a larga maggioranza, con 10 astensioni, e nessun voto contrario
Roma, 14 giugno 2014
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