La legge di (in)stabilità 2015: le nuove croci sul mondo della formazione e della ricerca
La legge di stabilità 2015 concorre per diventare la principale frode prodotta dal governo Renzi. Spacciata sui media come “manovra espansiva”, ha ricevuto la pubblica bocciatura del presidente dell’Ufficio parlamentare per il Bilancio: l’impatto reale sull’occupazione sarà nullo, mentre restano i durissimi vincoli di bilancio, addebitati agli Enti Locali in forma di nuovi tagli, che andranno a ricadere sulle politiche di welfare sul territorio. Oltre al comparto della sanità, ad essere colpiti saranno anche la Scuola, l’Università, la Ricerca e il diritto allo studio.
Scuola
Da anni il mondo della scuola chiede investimenti, una vera autonomia, un sistema di valutazione che riconosca il ruolo della scuola e restituisca dignità alla professionalità dei docenti. Dopo i tagli degli anni passati, le classi pollaio, gli insulti di Brunetta ai docenti fannulloni, il governo Renzi risponde con la legge di Stabilità 2015 e con “La Buona Scuola”. “La Buona Scuola” non è un disegno di legge, ma una dichiarazione di intenti sottoposta ad una consultazione “democratica” attraverso il web e oggetto di una fortissima propaganda mediatica, che la presenta come unica strada per costruire il futuro del Paese e ‘un investimento del Paese su se stesso’.
Davvero è così?
Negli ultimi anni la spesa per l’istruzione è ferma a circa il 4% del PIL, 2 punti meno che in Europa, 17 mld di euro in meno rispetto alla media dei Paesi Ocse. Per aumentare la spesa per l’istruzione di almeno un punto percentuale sarebbe necessario un investimento pari a circa 1,6 miliardi di Euro in più rispetto al 2013, mentre, come si legge nel documento “La buona Scuola” e come si evince dalla legge di Stabilità, lo stanziamento previsto per le nuove assunzioni proviene da tagli in altri settori dell’istruzione. Insomma, nessun investimento, solo una partita di giro.
Intanto nella legge di stabilità si tagliano oltre 1 miliardo e 26 milioni €:
- Il Fondo dell’autonomia (quello che serve per i progetti della “buona scuola”) viene decurtato di 90 milioni nel triennio 2015-2017, il Fondo di Funzionamento delle Istituzioni Scolastiche viene tagliato del 25% rispetto allo scorso anno, con tagli di 30 mln di euro al Fondo per il Sostegno dell’autonomia scolastica
- L’Italia è terzultima tra i Paesi Ocse in dispersione scolastica, invece che potenziare gli interventi, si tagliano 10 mln di euro al fondo per il recupero degli alunni in difficoltà e dei debiti scolastici
- Per l’alternanza scuola lavoro ci saranno solo i fondi propri del ministero
- Taglio di altri 8 milioni in tre anni attraverso l’eliminazione di ben 90 coordinatori provinciali dei progetti sportivi;
- Taglio di 118 milioni in tre anni tramite l’eliminazione d circa 2000 tra tecnici e personale ATA:
- Taglio degli esoneri per i vicepresidi, per risparmiare 240 milioni di euro nel prossimo triennio;
- Taglio di 95 milioni in tre anni con l’eliminazione deii distacchi dei docenti presso gli uffici scolastici regionali e provinciali (personale che svolge ruoli di coordinamento per importanti progetti fra le scuole).
- Blocco economico della contrattazione per un altro anno (il sesto consecutivo) e reinvio di un anno della indennità di vacanza contrattuale, con una ulteriore perdita del potere del potere d’acquisto certo non compensata dall’estensione degli 80 euro (misura che per altro taglia fuori i precari)
Come al solito non mancano le risorse per le scuole private. Ben 200 milioni.
Guardando le risorse realmente messe in gioco e gli ennesimi tagli che si prospettano appare chiaro che “La Buona Scuola” sia una mossa mediatica che copre una triste realtà: ancora una volta la scuola pubblica subirà delle picconate che continueranno a demolire quel che ne è rimasto.
A pag. 124 del documento “La buona scuola” si dichiara: “le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella buona scuola”; certo, fin tanto che anche questo governo, come i precedenti, in spregio al dettato costituzionale, finanzia con i soldi pubblici la scuola privata e chiederà ai privati (in cambio di cosa???) di finanziare la scuola pubblica.
Università e diritto agli studi
La Legge di Stabilità prolunga il blocco degli adeguamenti stipendiali per la docenza, a danno di quei pochi fortunati che faranno ingresso nel mondo accademico: ricercatori (più o meno) stabili e personale tecnico e amministrativo, tramite il blocco dei contratti per tutta la Pubblica Amministrazione. A partire dal 2015, inoltre, il taglio al FFO di 170 milioni € ogni anno stabilito da Tremonti viene ripianato con 150 milioni €, parimenti annui. Tali fondi, tuttavia, sono esplicitamente destinati alla quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario, ad oggi congegnata esclusivamente in senso punitivo: per l’ennesima volta dai governi Berlusconi, la valutazione degli Atenei non è finalizzata a risolvere le criticità delle università, ma ad incentivare le differenze tra gli Atenei “virtuosi” da salvaguardare e i “cattivi” da lasciar morire di inedia. Proprio in questi giorni, peraltro, negli Atenei si dibatte dell’erogazione dei fondi per la premialità (art. 9 Legge 240/2010): un’altra scure che si abbatte sull’Università, ormai al sesto anno di blocco stipendiale, in cui i diritti sono sempre più scambiati con un’erogazione di “premi” su base locale.
Come segnalato dal CUN in una pubblica lettera di dissenso del 21 ottobre, “il numero dei professori universitari di ruolo è sceso da 37.200 nel 2008 a 29.500 nel 2013, con una diminuzione di ben il 21%, provocando una contestuale riduzione e precarizzazione delle attività didattiche e di ricerca, affidate sempre più a personale non di ruolo. Altrettanto rilevante è la flessione che ha interessato tutte le altre figure professionali operanti negli Atenei. Al decremento delle spese per il personale non è corrisposta d’altro canto, una maggiore disponibilità di bilancio per spese di investimento e funzionamento. ll Fondo di Finanziamento Ordinario è infatti passato nello stesso periodo da 7.351 a 6.544 milioni, con una diminuzione di ben 807 milioni. Questi drastici tagli hanno ridotto la già modesta spesa per i servizi agli studenti, indebolito la capacità competitiva dell’Italia nel contesto internazionale, reso più incerte le prospettive dei giovani ricercatori.” L’art. 28 comma 16 dell’attuale articolato della Legge di Stabilità, peraltro, con l’ambigua formula della “razionalizzazione della spesa per beni e servizi” – come se il mondo della conoscenza non vivesse già in contesti di vacche magre – impone 34 milioni di tagli nel 2015 e 32 milioni annui dal 2016 al 2022. Se a questi aggiungiamo i 25 milioni € in meno stabiliti dal decreto sul bonus IRPEF (si, proprio quello degli “80 Euro”) ci accorgiamo che la prospettiva definita da Berlusconi e Tremonti è rimasta immutata.
Ulteriore croce addossata al mondo dell’università è costituita dal comma 29 dell’art. 28: mentre il decreto legislativo n. 49 del 29 marzo 2012 impegnava gli Atenei ad assumere, per ogni ordinario, un ricercatore a tempo determinato di tipo B (un ricercatore che, dopo 3 anni, era destinato a diventare associato), le modifiche della Legge di Stabilità cancellano questa relazione. Per gli Atenei, che da anni vedono contrarsi in maniera preoccupante il numero dei propri docenti e, pertanto, la propria programmazione didattico-scientifica, sarà più “conveniente” investire risorse nell’assunzione di ricercatori a tempo determinato di tipo A, il cui rapporto di lavoro dura, al massimo, 5 anni: l’abolizione di quel già pallido barlume di tenure track presente nel nostro sistema.
Come sarà possibile, per le stesse Università, effettuare investimenti di lungo periodo? Come sarà possibile investire nella stabilità professionale del mondo della ricerca accademica? Come sarà possibile dare un futuro ai nostri ricercatori, i quali reggono, da soli, quasi il 60% dell’intera didattica universitaria?
Non va meglio per il diritto agli studi universitari, elemento fondamentale di parità sociale: oltre a conservare la specificità tutta italiana degli studenti “idonei alla borsa di studio ma non beneficiari”, con l’articolo 42 comma 1 del DL 133/2014 (“decreto Sblocca-Italia”) vengono sottratti i 150 milioni € del Fondo Integrativo Statale per le borse di studio dalle spese ammissibili fuori dal patto di stabilità delle Regioni.
Ricerca
La direzione è opposta a quanto espresso nella recente risoluzione del Senato (Commissione VII) ed è opposta a quegli orientamenti europei ed extraeuropei che invitano all’investimento pubblico in ricerca (di base e non) per produrre sviluppo, creare lavoro e miglioramento sociale. La Legge di Stabilità prevede 300 milioni di euro per R&S sotto forma di “agevolazioni” alle imprese ma taglia sulla ricerca pubblica. Si prevedono, infatti, tagli ai bilanci ordinari degli Epr, tramite i tagli ai costi intermedi dei Ministeri Vigilanti e accorpamenti di Enti Pubblici di Ricerca senza progetto, quest’ultimi già sperimentati essere privi utilità economica e scientifica. Nessuna traccia nè di un piano specifico per la stabilizzazione del precariato negli Epr (che si aggira attorno al 40% del totale della forza lavoro degli Epr), nè di investimenti per l’assunzione di giovani generazioni di ricercatori. Debolissima la proposta di rilancio di R&S attraverso il credito d’imposta che, oltre alla sua inefficacia, evidenzia l’arretramento dello Stato da un diretto impegno sulla ricerca pubblica. In sintesi, la riduzione delle risorse del Fondo di Finanziamento per gli Enti Pubblici di Ricerca di 42 milioni a decorrere dal 2015 (almeno per gli Epr vigilati dal Miur), il permanere del blocco stipendiale, il pesante taglio finanziario all’INAIL e i tagli a tutti Ministeri, che di fatto si scaricheranno sugli enti di ricerca da essi vigilati riducendo la ricerca e azzerando le stabilizzazioni, confermano un grave disimpegno economico e progettuale del Governo rispetto alla ricerca e produrranno arretramento delle infrastrutture pubbliche degli Enti di Ricerca.
Disinvestire nella Scuola, nella Università e nella Ricerca è una grave responsabilità politica perché significa fermare lo sviluppo economico e culturale del Paese. Il governo che sta accettando il taglio di 2 miliardi nel budget UE 2015 rispetto al settore “Ricerca & Sviluppo”, il governo che promette una rivoluzione culturale nel mondo nella formazione ma attua politiche conservatrici, non è il nostro governo. La stabilità, per Sinistra Ecologia e Libertà, è nella crescita, negli investimenti, nello sviluppo di politiche perequative: siamo e saremo in campo per un’alternativa alla demagogia renzista, per far ripartire una mobilitazione e una discussione che contribuisca ad un’autentica riforma dei saperi..
Dipartimento Saperi Sel – Scuola, Università, Ricerca
Commenti
-
Daniele