Lima e clima, l’evoluzione del fattore umano
La 20° conferenza Onu sui cambiamenti climatici di Lima in Perù è terminata all’alba di domenica dopo le consuete molte ore supplementari di trattativa ininterrotta fra le 196 “Parti” presenti, i governi dei paesi che l’hanno ratificata e i relativi interessi, molte altre “parti” dietro le quinte. Non è subito indispensabile verificare bene i dettagli (resta fra l’altro lo scoglio dei finanziamenti del “Green Climate Fund” e della loro effettiva disponibilità), già da due anni si sapeva che il vero accordo negoziale globale era da ottenere entro il 2015, il prossimo anno, di questi giorni, alla 21° Conferenza UNFCCC di dicembre a Parigi.
Comunque, entro sei mesi ciascun Paese (anche l’Italia, finalmente!) dovrà proporre un piano nazionale dettagliato per limitare le emissioni, in particolare quelle di gas serra generate dalla combustione di carbone, gas e petrolio, obiettivi ancora genericamente quantificati, comparabili ed equi. I vari piani nazionali, che verranno pubblicati su un sito web delle Nazioni Unite, costituiranno le basi per l’accordo finale che verrà sancito dall’Assemblea Generale Onu di settembre 2015, firmato a dicembre e attuato entro il 2020.
Il 2014 si chiude con qualche parziale passo avanti, avendo soprattutto metabolizzato i tanti coerenti volumi del V° Report dell’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC), il confermato gravissimo allarme per come il fattore umano sta facendo evolvere l’ecosistema planetario. La novità principale acquisita nel 2014 riguarda l’intreccio fra ridefinizione dei nuovi obiettivi globali di sviluppo delle Nazioni Unite e decisivo patto scadenzato e vincolante per mitigare i cambiamenti climatici (evitare che il riscaldamento globale raggiunga i due gradi di aumento), oltre che per cercare di adattarsi a essi, affrontando anche gli altri grandi cambiamenti ambientali globali (biodiversità, desertificazione, foreste, ecc.).
La sintesi dell’accordo climatico sarà uno dei nuovi Obiettivi di Sviluppo, non fu così nel 2000 per gli otto (8) Obiettivi di Sviluppo del Millennio, gli MDG (di cui si sta verificando la precaria non uniforme attuazione). Verranno definitivamente approvati all’inizio dell’autunno del 2015, dopo un negoziato che si preannuncia impegnativo. Tutti i “Goal” diverranno definiti come “sostenibili”, SDG. Nel millennio che ci resta (forse) da vivere dovremo il prima possibile evitare di andare oltre i “confini” sostenibili per l’esistenza di tutti i fattori biotici, dei fattori umani e non umani, dell’ecosistema globale e dei singoli ecosistemi (ormai tutti umani). Probabilmente sette (7) SDG (proposti dal Gruppo di Lavoro intergovernativo delle Nazioni Unite) dovrebbero darci soglie e tempi per farcela, i primi due sono “sradicare” la povertà e “azzerare” la fame. Ogni volta che ci si dà risultati finali si scrive qualcosa che c’entra relativamente con l’evoluzione. Tuttavia, verò è che il fattore umano sta ora mettendo a repentaglio le condizioni di ogni vita, di ogni evoluzione. Vedremo.
Una delle tappe di avvicinamento sarà anche la conferenza ONU contro la siccità e la desertificazione di Istanbul. Sembra che fra gli SDGs possa essere inserito un riferimento alle migrazioni sostenibili, creando indicatori e “targets” per politiche istituzionali e finanziarie capaci di affrontare i vari aspetti del complesso fenomeno delle “migrazioni forzate”, insieme a una strategia solidale rispetto a quelle più libere (formazione e salute, rimesse, diritti del lavoro, reciproco adattamento culturale). Sarebbe auspicabile creare una vera nuova categoria, ufficialmente riconosciuta dalle istituzioni internazionali e nazionali, quella dei “climate refugees”.
Lungo tutta l’evoluzione del fattore umano, da quando eravamo pochi pochi e stavamo solo in un posto a quando siamo diventati tanti (7,4 miliardi ora), migrare è stata una straordinaria strategia adattativa della nostra specie per far fronte alle difficoltà di sopravvivere nella nicchia rispetto ad altre specie e per salvarsi dalle intemperie climatiche. Le migrazioni forzate (le uniche all’inizio) ci hanno fatto evolvere, arrivare in ogni continente, costruirci nicchie dove poteva crescere il peso del fattore umano rispetto all’ecosistema, ci hanno dotato di innumerevoli lingue e popoli, hanno accompagnato selezione naturale, evoluzione genetica e culturale, dinamiche di comunità e poi di nazioni.
Da qualche secolo le migrazioni sono state progressivamente relativamente più “libere” che “forzate”, anche se siamo lontani dal raggiungere l’obiettivo del 13° articolo della Dichiarazione dei Diritti Umani (la libertà di movimento e residenza). E proprio il Mediterraneo è luogo di molte migrazioni non libere, né alla partenza né all’arrivo. Nel 2014 circa 210 mila persone hanno rischiato la vita sui barconi (in fuga da persecuzioni, guerre e disastri naturali) e almeno 3.419 sono morte nel “nostro” mare. E’ questione globale, non confinabile.