Ad essere incostituzionali oggi sono la povertà e la disoccupazione
L’analisi del voto corre veloce come tutto il resto, si restringe nello spazio di un tweet, dura il tempo di un paio di battute. Quelle che dopo una settimana di “quasi silenzio” post-elettorale Matteo Renzi confeziona per contrastare i veri competitor usciti dalle urne: Matteo Salvini e Beppe Grillo. Per replicare al leader leghista, il nostro si studia gli accordi di Dublino per dire, finalmente, che la Lega e Maroni sono i veri responsabili degli accordi sul tema immigrazione che oggi ipocritamente contestano. Dopodiché, il premier individua invece nel reddito di cittadinanza la proposta pentastellata da sminare. E lo fa prima con un falso clamoroso- “il reddito di cittadinanza è incostituzionale” – associandolo poi all’assistenzialismo, che nel nostro Paese, è bene ricordarlo a Renzi e ai suoi amici, è di matrice fortemente cattolica.
Infine, non contento delle battute, il premier strumentalizza l’errore lessicale dei 5 Stelle – chiamare reddito di cittadinanza impropriamente una forma di reddito minimo garantito – per dare l’idea che si vuol fare come in Alaska, dare il reddito a qualunque cittadino al di la delle sue condizioni reddituali e familiari.
Non si entra mai nel merito e i tweet non bastano a spiegare il senso delle cose. La nostra proposta di legge di iniziativa popolare, così come la proposta di SEL, quella della minoranza Pd e la campagna di Libera di Don Ciotti, parlano di misure di reddito minimo garantito e non di cittadinanza. Garantire un reddito a chi non ne ha o non raggiunge la soglia di povertà relativa (8000 euro all’anno) è molto diverso dal dare soldi a tutti i cittadini in quanto tali. Ed è molto diverso dall’assistenzialismo: innanzitutto perché nessuna delle proposte slega il beneficiario da un percorso di formazione-lavoro, dall’iscrizione al centro per l’impiego alla disponibilità ad accettare lavori che gli vengono proposti, purché coerenti con il proprio percorso di vita e le proprie aspirazioni.
In un Paese in cui oggi si contano 15 milioni di poveri, 7 milioni di senza lavoro, 4 ragazzi su 10 disoccupati, mentre l’articolo 1 della Costituzione recita “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, ad essere incostituzionali oggi sono la povertà, la disoccupazione e la mancanza assoluta di opportunità per chi nasce in una famiglia in difficoltà.
Caro Matteo Renzi, essere il presidente del Consiglio e lasciare che queste siano le cifre della nostra disperazione e della nostra incostituzionalità è aberrante oltre che colpevole. Investire sulle persone, liberarle dai ricatti, permetter loro di scegliere e di giocarsi la partita con la vita non vuol dire assistere: vuol dire evitare che salti completamente il patto sociale che ci tiene insieme. Vuol dire parlare di welfare universale e non familistico o clientelare. Vuol dire dare a tutti e tutte le stesse possibilità. Vuol dire diminuire le diseguaglianze, che – lo dice l’Ocse, l’Fmi e tanti pericolosi organi bolscevichi – sono il vero tappo per la crescita del Paese. Vuol dire redistribuire un po’ di ricchezza in un momento di alta concentrazione nelle mani di pochi (oltre il 50% nelle mani del 10% più ricco). Vuol dire far uscire le persone dal ricatto delle mafie, dai politici “impresentabili” che ti chiedono il voto in cambio di un posto appena eletti, dal lavoro nero, dall’impossibilità di trovare una nuova occupazione perché non hai più un euro per formarti o il tempo per cercarlo.
Oggi più che mai è pericoloso dire e non fare, è pericoloso tardare ancora nell’attuare una misura di contrasto alla povertà e di liberazione dai ricatti. Perché, stanne certo, domani chiunque ti potrà accusare di non averlo fatto perché hai preferito tenere le persone in una condizione di debolezza. Quella debolezza che le rende succubi dei politici collusi che, vuoi o non vuoi, ti ritrovi nelle liste elettorali.
Attento Matteo, perché se fino ad ora ti è andata bene, tra giornalisti e parlamentari poco attenti, il beneficio della disinformazione non durerà a lungo. Perché il merito prima o poi viene fuori, e qualcuno ti domanderà perché hai investito 10 miliardi per gli 80 euro e altri 10 per le detrazioni alle imprese e non hai fatto il reddito minimo garantito. Perché lo sai che 80 euro dati a chi ha già qualcosa non fanno ripartire i consumi, mentre 600, dati a chi non ha niente, vengono subito rimessi in circolazione? E lo sai che fare le detrazioni per far assumere con nuovi contratti per tre anni non ti garantisce nessuna ripresa e nessun posto di lavoro in più? E lo sai che invece se facevi il reddito minimo garantito oggi avremmo meno rischi di esplosione della rabbia sociale, meno politici “impresentabili”, meno ragazze e ragazzi senza speranza, costretti a emigrare, meno vittime di un sistema che usa e getta via le intelligenze migliori di un Paese senza reddito e senza speranza?!
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francesco
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Fabrizio