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Lunedì, 10 febbraio 2014

Addio Lugano bella…

astolfo

Meno di ventimila voti, solo meno di ventimila voti. Ma possono bastare per portare indietro di vent’anni, in un mondo che già corre in fretta, il preciso orologio svizzero nel suo segnare il tempo in rapporto all’Europa dentro cui, da tutti i punti di vista, si colloca storicamente. Siamo al secondo referendum elvetico che fa segnare il passo. Il primo fu nel novembre scorso e disse no a “salari più equi”, lasciando inalterato il regime di superbonus e stipendi d’oro a banchieri e manager che, intascando nel frattempo regali milionari, avevano portato banche e industrie verso il fallimento. Adesso arriva un altro no, sia pure per poco meno di ventimila voti, quello alla libera circolazione degli immigrati nei diversi cantoni svizzeri. Il caso andrebbe attentamente studiato. Per smentire stereotipi e luoghi comuni, e perché siamo a ridosso delle elezioni europee e questo esito svizzero ci porta lì, a quel che potrebbe succedere nell’intero Continente se la maionese impazzisce. L’emigrazione svizzera nuoce all’economia svizzera? Dati alla mano si direbbe proprio di no, anzi è vero il contrario. La disoccupazione nei Cantoni è sotto il 3% e ogni giorno c’è un flusso superiore al miliardo di franchi svizzeri che viaggia da Ginevra come da Zurigo o da Losanna verso i paesi comunitari. La metà esatta del guadagno mensile di un cittadino svizzero altro non dipende che dal rapporto economico e di scambio con la Comunità Europea, visto che poco meno del 70% dell’export elvetico, soprattutto caseario e alimentare, si dirige nei paesi europei. E cosa succederebbe se adesso da una parte la Svizzera bloccasse le frontiere e dall’altra l’Unione Europea rimettesse in discussione gli accordi bilaterali che hanno come fondamento proprio la libera circolazione delle persone? Si è fatto notare che l’immigrazione in Svizzera è alta, superiore al 20% dell’intera popolazione. Ma non si è detto che quel paese nasce, nell’epoca moderna, come un paese di immigrazione, con una popolazione in larga misura discendente da immigrati. Così si è assistito ad una campagna elettorale, condotta dalla destra e dalla Lega cantonale, dove si è dipinto lo straniero di ogni colpa e gridato all’islamizzazione incombente pronta a stravolgere tutte le antiche identità culturali elvetiche, e si è taciuto sul fatto che la prima minoranza residente in terra svizzera è italiana e la seconda è tedesca. Come si è taciuto su un altro dato eloquente, che ci dice che i cittadini mobili senza lavoro nel territorio svizzero sono meno del 2% degli immigrati che vivono e lavorano sviluppando l’economia cantonale. E mentre Salvini sproloquia in definitiva contro sé stesso, il suo presidente di regione Maroni corre immediatamente ai ripari chiedendo la zona franca per la Lombardia, e dovrebbe chiederla anche per il Piemonte, dal momento che ogni giorno più di 60 mila frontalieri delle due regioni governate dalla Lega vanno e tornano per lavora. Nel giro di pochi anni, le conseguenze di questo referendum metteranno all’angolo l’economia di un paese fin qui prospero. Ecco dimostrato quel che succede, nella pratica reale delle cose, quando la politica s’infila nel vicolo cieco dell’ideologia xenofoba, altro nome per definirla non c’è.

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