Al Sisi e quelle interviste a Repubblica
Per due giorni consecutivi – il 16 e il 17 di questo mese –Repubblica ha dedicato un posto d’onore al generale e presidente egiziano Abd al-Fattah Al Sisi. Lo ha fatto con due lunghe interviste, svoltesi nel palazzo presidenziale del Cairo, a opera del direttore del quotidiano Mario Calabresi e del vicedirettore Gianluca Di Feo. Le interviste appaiono confezionate in uno stile di giornalismo neutro ed asettico, per niente invasivo. In altre parole concepite esclusivamente allo scopo di far parlare con agio l’intervistato, permettendogli di esprimere a tutto campo – dal caso Regeni alla Libia – il suo punto di vista sugli accadimenti e sul contesto mediterraneo, senza alcun contraddittorio degno di questo nome né richiesta alcuna di delucidazione sui giganteschi buchi neri della vicenda che ha portato alla morte di Giulio Regeni. Insomma nello stile in cui si intervisterebbe un capo di governo o di Stato nel cui Paese sia in vigore un più o meno accettabile stato di diritto e in cui sia avvenuto uno spiacevole incidente su cui bisogna pure chiarire qualcosa. Ma senza esagerare.
Grazie a Repubblica Al Sisi si è potuto così rivolgere direttamente alla famiglia Regeni per esprimere la sua “commozione” per la morte del giovane – anche lui è un padre, ha detto – la sua grande vicinanza alla famiglia e la partecipazione dell’intero popolo egiziano al dolore. E ha potuto ribadire la solfa che va avanti da quando il corpo di Giulio è stato ritrovato straziato in un fosso: tutto verrà fatto per arrivare alla verità. Ma sappiamo che nulla è stato fatto se non il raggiro dei depistaggi.
Repubblica ha scelto di mettere in scena uno spettacolo di accreditamento di Al Sisi come interlocutore tout azimut dell’Italia e dell’Europa, non solo sul terreno degli affari e della dirompente questione geopolitica del Mediterraneo, ma dell’attendibilità – se non proprio democratica, somigliante a qualcosa del genere – del regime del Cairo. Forse un regime un po’ troppo muscolare, forse ancora zoppicante per quanto riguarda le regole della democrazia e dei diritti umani – ma ci sono troppi jiadisti che l’accerchiano, segnala Al Sisi nell’intervista, troppi fondamentalisti di ogni genere, sempre pericolosi e, anche se non direttamente affiliati al Califfato, lui allinea tutti con l’Is. E l’Europa, se vuole stabilità e stabilizzazione deve fare i conti con lui, questo il meassggio.
Non è stata certo casuale la scelta di Repubblica di concedere al presidente egiziano un così ampio spazio per darci la sua versione dei fatti e la sua analisi del contesto che ha condotto all’assassinio di Giulio. Versione dei fatti e analisi del contesto, va detto con chiarezza, rigorosamente di regime. Quello che dice a Repubblica il presidente egiziano non lascia infatti spazio a niente . M questo probabilmente gli intervistatori lo sanno bene. Visto tuttavia che il governo italiano deve continuare a chiedere la verità dei fatti e anche l’Europa ha fatto sentire la sua voce sulla grave vicenda in cui ha perso la vita un cittadino europeo , qualche sbocco deve essere trovato, qualche spiegazione “accettabile” allestita. Non a caso, parlando con i cronisti della Camera, Il premier italiano ha benedetto l’intervista di Repubblica, sottolineando che quelle di Al Sisi, sono “parole importanti” che confermano quello che lui chiama “rapporto speciale” tra Italia ed Egitto”.
Matteo Renzi è stato il primo leader occidentale a incontrare il nuovo capo del governo egiziano, a un anno dal golpe con cui il generale Al Sisi aveva rovesciato il governo formatosi in seguito alle elezioni del 2012. Le prime dopo la caduta del dittatore Mubarak. Governo legittimo, bisognerebbe ricordare, ancorché in mano ai Fratelli musulmani che avevano vinto la contesa elettorale. Questi ultimi rappresentano il nemico interno contro cui si dispiega la repressione di Al Sisi, che li equipara ai terroristi dello Stato islamico. Se ci sarà un capro espiatorio intorno a cui poter costruire una verità di regime più accettabile delle fandonie fin qui raccontate dagli investigatori egiziani, forse verrà da quella parte.
Amnesty International aggiorna puntigliosamente i dati della repressione, che è in tutte le direzioni, del regime egiziano. Migliaia di arresti, compresi quanti abbiano come riferimento Piazza Tharir, a cominciare dal leader della rivolta. Centinaia e centinaia di desaparecidos , centinaia i casi di tortura; 88 solo dall’inizio del 2016. Secondo il Dipartimento di Stato americano sarebbero sessantamila gli arresti arbitrari legati all’attività politica dal 2013 al 2015 e molte le morti avvenute sotto tortura. Tutte le organizzazione per i diritti umani registrano i dati claustrofobici di un regime che si base su forme diffuse e sistematiche di violazione dei diritti umani.
La ricerca della verità vera o una versione dei fatti che possa andare, dopo la commovente testimonianza del dolore di natura quasi paterna di Al Sisi? Questo bisognerebbe chiedere al governo italiano e soprattutto al premier Renzi.
Quello che va ricordato è che Giulio Regeni è in cima a una lunga lista di persone che scompaiono ogni giorno – moltissimi i giovani – e che i familiari molto difficilmente potranno riabbracciare.
Continuare a chiedere verità giustizia per Giulio significa anche mettere sotto accusa il regime di un dittatore spietato che ha decretato il 2016 “l’anno della gioventù egiziana”.
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francesco