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Giovedì, 3 luglio 2014

Argentina, aria di default

argentina

Visto che alla Grecia, per ora, è stato vietato di fallire, a livello mondiale l’ultimo default di uno Stato sovrano è stato quello argentino del Natale 2001. Dopo un periodo di deflazione, dovuto all’aggancio del peso al dollaro che aveva reso proibitiva la produzione nazionale, il no del Fondo Monetario al rifinanziamento di una rata del debito in scadenza portò al default tecnico del Paese. Il peso perse il 75% del suo valore in 24 ore e si arrivò alla rinegoziazione, ovviamente al ribasso, del pagamento dei titoli di Stato in possesso di risparmiatori, banche e fondi di investimento nazionali e internazionali.

Dal 2004, però, l’economia argentina è ripartita a ritmi asiatici, con una crescita vertiginosa della produzione industriale e la creazione di molti posti di lavoro. Ma una delle conseguenze ancora evidenti di quel fallimento sono gli “impoveriti”: soprattutto disoccupati e cittadini in precedenza appartenenti ai ceti medi, che non sono riusciti a risalire la scala sociale e che oggi sopravvivono di espedienti, assistiti dallo Stato attraverso un welfare ancora emergenziale.

La partita che non si è mai veramente chiusa, a distanza di 13anni, è quella ingaggiata tra l’Argentina e i fondi cosiddetti “avvoltoi”. Cioè i fondi di investimento a rischio che, negli anni successivi al default, rastrellarono titoli argentini in giro per il mondo: li pagarono dal 10 al 30% del loro valore nominale, salvo poi intentare una causa contro il Paese sudamericano, pretendendo la restituzione del 100% del valore nominale più gli interessi, una torta di 1,5 miliardi di dollari. Una lotta a colpi di denunce nei tribunali statunitensi, perché negli USA era stata collocata una buona fetta del debito argentino denominata in dollari.

Nel 2013 questa storia infinita ha visto la vittoria parziale dei fondi avvoltoi, in virtù di una sentenza del Tribunale federale di New York che ha destato grande preoccupazione negli ambienti della finanza internazionale. La recente sentenza della Corte Suprema statunitense, che conferma la sentenza di primo grado emessa dal Giudice Thomas Griesa, fa tornare all’improvviso il fantasma del default sovrano. I pagamenti dei titoli in scadenza lo scorso 30 giugno sono stati bloccati dalla sentenza di appello finché “l’Argentina non pagherà il 100% di quanto dovuto agli hedge fund in base al principio cosiddetto pari passu”. Un principio che, se venissero pagati al 100% del valore nominale i titoli in possesso ai fondi, riaprirebbe tutto il precedente negoziato con il 97% dei creditori che avevano ricevuto cifre inferiori, portando l’impegno finanziario oltre i 100 miliardi di dollari. Una soglia impossibile da raggiungere, un default annunciato che ha la data del prossimo 30 luglio quando scadrà il “periodo di grazia” di 30 giorni dalla sentenza. Una sentenza che sancisce la fine del default come strumento di risoluzione conclusiva di una seria crisi economica. Uno strumento al quale hanno fatto ricorso nella storia Paesi del calibro di Brasile, Germania, Regno Unito, Francia e Stati Uniti. Non c’è quasi Stato – e l’Italia è una delle rarissime eccezioni – che non abbia dovuto applicare una svalutazione sovrana dei propri debiti. Ma, dopo la convalida della sentenza del tribunale di New York, in linea di principio questo non sarà più possibile. E cioè se un Paese dovesse fallire non potrebbe ristrutturare il debito e quindi rimettere in sesto la propria economia.

Si sono dichiarati contrari a questa conclusione della vicenda giudiziaria argentina economisti internazionali, parlamentari di diversi paesi, addirittura l’Amministrazione Obama e il FMi non nascondono la loro preoccupazione, non tanto per l’Argentina, ma per il precedente, ma il tempo scorre e i fondi avvoltoi, figli di quella deregolamentazione selvaggia degli anni ’90, rischiano di farcela a costo di rigettare sul lastrico un intero paese.

L’esempio del “caso argentina” sullo strapotere del mondo della finanza, che in questa fase prevale sugli interessi di intere comunità nazionali, dovrebbe fare riflettere seriamente sul bisogno di nuovi vincoli e regole per governare la globalizzazione che sempre di più assomiglia al caos nel quale possono vincono gli interessi di pochi davanti al silenzio assordante della politica. L’Italia, che tanta solidarietà manifestò con le vittime del terremoto del 2001, dovrebbe battere un colpo anche a difesa delle migliaia di piccoli risparmiatori che scelsero di negoziare con l’Argentina e che rischiano ora, per l’interesse di pochi soggetti finanziari, di vedere scomparire quanto di faticosamente erano riusciti a recuperare dal fallimento del 2001.

Commenti

  • Manlio

    Col ferro e non con l’oro si riscatta la libertà. Ricordiamo?

  • Manlio

    O, per dirla in romano + moderno: veniteveli a pijà, che v’aspettamo…

  • Franco

    Ottimo analisi, un tema che dovrebbe essere al cento dell’interesse dei nostri politici. Oggi loro, domani noi?

  • Giorgina

    Non so se ho capito bene, ma mi sembra allucinante!

  • Alberto

    Comprensibile e chiaro, questo è il linguaggio che dobbiamo usare per parlare “da sinistra”.