Barcellona e Madrid al voto domenica. Due esempi virtuosi di politica partecipata
Il prossimo 24 maggio si terranno le elezioni amministrative in Spagna; si voterà in tutti i comuni e in tredici regioni su diciassette. Rispetto agli appuntamenti elettorali degli ultimi 40 anni, dal ritorno della democrazia in Spagna, per la prima volta il bipartitismo Partido Popular / PSOE è messo in discussione, a ragione del fatto che le politiche sociali portate avanti da entrambi i partiti negli ultimi 20 anni, per quanto diverse per molti aspetti, non hanno saputo né voluto proporre alla cittadinanza iberica un modello diverso da quello neoliberista o blairiano.
In tutto il territorio spagnolo sono nate liste di ‘confluenza’ delle sinistre che raccolgono in modo strutturale esperienze associative, di cooperazione, di lotte sociali unitamente ad alcuni partiti della sinistra spagnola, ad esclusione dei socialisti. Le due piattaforme principali sono nate la prima a Barcellona e la seconda a Madrid, ma ve ne sono un po’ ovunque.
Barcelona En Comú è una piattaforma di confluenza promossa dalla cittadinanza e da diversi movimenti civici locali a cui hanno poi aderito, con grande lungimiranza politica, anche alcuni partiti: Iniciativa per Catalunya Verds (con cui SEL collabora proficuamente da anni), Izquierda Unida, Podemos, Procés Constituent ed Equo. La candidata sindaco, la quarantenne Ada Colau ne è tra le fondatrici ed è stata la leader della Plataforma de Afectados por la Hipoteca organizzazione che da anni si batte con successo e determinazione contro gli sfratti (numerosissimi) e a favore di una politica abitativa sociale e diffusa. Ada Colau, cui viene riconosciuta grande forza combattiva e ampie doti dialettiche, potrebbe diventare la prima ‘sindaca’ del capoluogo catalano, Barcellona, la città dei prodigi.
Finanziatasi con il crowfunding e con microprestiti, regolata da un codice etico elaborato collettivamente, Barcelona En Comú si prefigge di combattere in modo radicale le crescenti disuguaglianze tra i diversi quartieri della città, di convertire Barcellona in una città ecosostenibile, di governare un turismo ormai debordante e senza controllo e di porre le basi per una cultura della trasparenza, tramite misure anticorruzione e di verifica del lavoro dei propri eletti. «Vogliamo far vedere che esistono altri modi di fare politica», ha dichiarato la candidata al quotidiano the Guardian «Si tratta di un’occasione storica». Il codice etico, che si configura come un patto vincolante tra gli eletti ed elettori, impone anche la pubblicazione on-line della dichiarazione dei redditi e delle attività in agenda, un tetto massimo di 2200 euro di stipendio mensile (a fronte dei 12.000 percepiti dall’attuale sindaco) e l’eliminazione dei rimborsi non giustificati.
A Madrid, invece, è nata Ahora Madrid che raggruppa Podemos, Equo e parte di Izquierda Unida, oltre a numerosi movimenti civici e associazioni di cittadini. La candidata sindaco a Madrid è Manuela Carmena ex giudice settantenne in pensione, che negli anni della Transición fu una combattiva avvocata a difesa dei lavoratori e che da qualche anno è proprietaria di un negozio che vende abbigliamento per bambini prodotto all’interno delle carceri. Come Ada Colau, conosce bene la questione degli sfratti in Spagna. Entrambe hanno dichiarato che tra le prime misure che metteranno in atto, vi sono quelle per il diritto alla casa e ai servizi di base di sussistenza (luce, acqua, gas), oltre a misure specifiche a favore dell’educazione e della sanità pubbliche e di qualità, della mobilità sostenibile, della cultura diffusa, insomma dei beni comuni; si tratta di misure simili a quelle che sta portando avanti Syriza in Grecia.
La novità sta nel fatto che si tratta di piattaforme municipali di reale confluenza e non di coalizioni fittizie ed elettoralistiche tra partiti di sinistra, più o meno importanti. I partiti che le appoggiano, infatti, si sono pienamente inseriti nella scia di un cambiamento sostanziale del modo di far politica, che ha le sue radici nel movimento degli Indignados, che nel 2011 occupò le piazze spagnole esigendo una gestione radicalmente democratica e partecipativa della res pubblica.
Secondo quanto ha ribadito Ada Colau in un evento a Madrid, ricordando il quarto anniversario dell’acampada a Puerta del Sol: «Coloro che hanno il potere ci hanno detto: che pensate di fare con tutte queste manifestazioni? Se volete qualcosa, presentatevi alle elezioni! Ecco, siamo qui!». E pochi giorni fa, in un’intervista a Il Manifesto ha affermato: «Barcellona non è una città come le altre. Qui c’è una maggioranza sociale progressista, la città è stata pioniera di processi di rottura (si riferisce al periodo repubblicano, ndr) ed è una città dove più che in altri posti si può vincere; di posizioni testimoniali ne esistono già abbastanza. Il primo obiettivo è mobilizzare quel 50% di astensionisti che non hanno partecipato negli ultimi anni».
L’ampissima risposta della cittadinanza di Barcellona a tutti gli appuntamenti organizzati dallo scorso giugno in poi da Barcelona En Comú pare darle ragione; comunque vadano le elezioni, il prossimo 24 maggio, una vittoria è già stata ottenuta: il ritorno alla partecipazione e alla politica attiva di ampie fette della cittadinanza, soprattutto quelle meno abbienti.
*SEL España