Brasile al voto domenica: continuità o cambiamento?
Le due candidate con chance di arrivare al secondo turno, l’attuale presidente Dilma Rousseff e la sfidante Marina Silva sono entrambi “figlie” del primo governo Lula, nel quale occupavano rispettivamente i dicasteri dell’Energia, e dell’Ambiente. I sostenitori dell’una e dell’altra sono a loro volta tutti provenienti dalle fila del PT e del governo Lula. Il primo vero presidente operaio sarà infatti il vincitore di queste elezioni nelle quali la destra gioca solo il ruolo di comparsa. Questo non vuole dire che le due candidate siano la stessa cosa, anzi.
Il principale difetto di Dilma Rousseff, accusata spesso di essere una “tecnocrate”, è proprio il suo basso profilo politico. Al suo governo è mancato la “narrazione” ed è mancata anche la dimensione internazionale nella quale Lula brillava.
Oltre al fatto che la scelta di Dilma come candidata a succedere Lula fu frutto di un’indicazione dall’alto che tagliò fuori il partito dal dibattito e precluse ogni forma di partecipazione alla decisione. Volendo dare una spiegazione, si potrebbe dire che lo scopo era proprio quello di non fare dimenticare la figura del fondatore del PT che non è detto prima o poi non torni alla politica attiva. Lula oggi parla di una “rifondazione” della sinistra brasiliana immaginando lui e le sue due “figlie”, Marina e Dilma, come traghettatori.
Questo anche se Marina Silva è, dal punto di vista politico, più un punto interrogativo che una certezza. Del suo passato di ambientalista radicale rimane qualcosa, ma il suo profilo politico è molto cambiato dalla conversione alla fede evangelica per quanto riguarda il tema dei diritti civili e in materia economica comincia a ripetere parole d’ordine che appartenevano al Presidente Fernando Enrique Cardoso.
Marina parla di stato invadente in materia economica, di spesa pubblica fuori controllo, di bisogno di un aggiustamento fiscale. Tutti cavalli di battaglia di quelle destre neoliberiste che, al netto dei problemi reali dell’economia brasiliana, fanno parte di un’altra cultura politica, oggi minoritaria in Brasile.
Se vincerà Dilma, dovrà farsi carico dei problemi dell’economia brasiliana nel contesto della crisi mondiale e locale, se vincerà Marina dovrà farsi carico dello stesso problema, ma anche delle sue contraddizioni. Sarà una presidente di centronistra-ambientalista, oppure come Fernando Enrique Cardoso, il quale non aveva mai rinnegato il marxismo, diventerà il nuovo alfiere di una normalizzazione macroeconomica ortodossa in salsa neoliberista? Le dichiarazioni sulla volontà di sottoscrivere un accordo di libero scambio con gli USA nel caso vinca non fanno bene sperare. Il fallimento del progetto ALCA. dovuto alla volontà di Chavez, Kirchner e soprattutto di Lula, è stata la chiave di svolta per il “Brasile-potenza”, protagonista in Sud America, ma anche con i BRICS a livello mondiale.
Con i suoi due soci del Mercosur ai minimi storici, l’Argentina in default tecnico e il Venezuela a rischio default vero, il Brasile non si trova nei momenti migliori. L’inflazione che toccherà il 6%, il deficit pubblico al 4%, la crescita al lumicino. Una crisi dovuta in parte al deprezzamento delle commodities per via della crisi dei mercati ricchi, ma in parte per colpa di un paese che non ha saputo rinnovarsi, con uno stato inefficiente ed elefantiaco e nel quale i livelli di corruzione, complice il pessimo sistema elettorale, sono allarmanti.
Dilma o Marina non sono quindi due facce della stessa moneta, ma due approcci alla gestione di un paese emergente, entrambi di estrazione popolare e di militanza nella sinistra. Una sinistra che continua ad esercitare una certa egemonia culturale strappata ai neoliberisti dopo i fallimenti degli anni 2000, ma che ha diverse idee di intendere cosa sia oggi conservazione e cosa sia progresso.
Dilma e Marina sono interpretate infine come la continuità o il cambiamento, ma quale continuità e quale cambiamento?
Fonte www.qcodemag.it