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Lunedì, 2 marzo 2015

Cambia la Grecia, cambia l’Europa

ELEZIONI GRECIA, PAVLOPOULOS ELETTO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

La formazione di un governo come quello di Alexis Tsipras costringe tutti a fare i conti con questioni di fondo che riguardano il futuro dell’Europa. Al di là di quanto il leader greco riuscirà ad ottenere di concreto per il suo Paese, nel defatigante contenzioso che si è aperto tra lui e le autorità di Bruxelles, e al di là dei passaggi, dei passi avanti o a lato o indietro che potrà o dovrà fare – perché i rapporti di forza, allo stato delle cose, sono quelli che sono – l’esistenza del nuovo governo di Atene mette tuttavia in chiaro che in Europa si è prodotto un decisivo mutamento politico. Cambia la Grecia, cambia l’Europa.

L’indiscutibilità del canone ordoliberista, che dalla Germania ha indirizzato fino a oggi con teutonico rigore le politiche economiche della Troika, è messo seriamente in discussione da un governo nato per via democratica, dalla volontà democratica di un popolo. Questo è avvenuto ed è la prima forte novità da sottolineare. La seconda è che un serio, impegnativo conflitto tra due visioni del mondo – e del “che fare” della politica – si è aperto. L’ordine del discorso economico-politico dominante si è ormai incrinato nei punti essenziali.

Non è la crisi che deve essere in primis fronteggiata, dice il ministro greco delle Finanze Yanis Varoufakis nel suo Minotauro, mitica metafora da lui evocata nel libro, a significare il mostruoso dominio iper post-moderno della finanziarizzazione globale, che inghiotte e tritura la vita delle persone. Sono le politiche neoliberiste, le stesse che producono la crisi e rendono invincibile il mostro, a dover essere smontate analiticamente, dimostrando così in modo inequivocabile a chi giovino e chi colpiscano. E devono essere contrastate alla radice, come il programma di Salonicco ha messo in chiaro.

Ed è il debito che rende impossibile rimettere in ordine le cose. Il neoliberismo ha spinto all’integrazione del sistema monetario, bancario e finanziario attraverso tecniche che, intenzionalmente, dice Varoufakis, nella sua analisi diretta e senza fronzoli, hanno fatto del rapporto tra il creditore e il debitore un decisivo campo di formidabile modifica dei rapporti di forza, a partire dall’evidente disparità di tali rapporti. L’imposizione del capestro, cioè quel debito infinito che più lo paghi più cresce, non ha solo lo scopo di trasferire risorse dalla società verso il sistema finanziario, con l’effetto di un impoverimento sociale crescente, ma soprattutto quello di proiettare l’impoverimento sul lungo periodo, dando impulso a un’irreversibile trasformazione delle condizioni lavorative e dei rapporti sociali: precarizzazione, estensione del lavoro gratuito obbligatorio, riduzione del salario complessivo, aumento dell’orario di lavoro parallelo alla riduzione degli organici. E altro che conosciamo.

Contrapposizione d’idee, analisi, proposte. Una faglia insomma si è aperta nei dispositivi della grande narrazione europea che ha costruito e veicolato il consenso alle ricette di Bruxelles; un robusto cambio di pensiero si è fatto protagonista degli avvenimenti. E di questo cambio di pensiero, che da oggi più facilmente si può estendere oltre la Grecia e rappresentare per altri una risorsa politica, Tisipras e il suo partito non solo sono stati protagonisti ma ad esso continuano a riferirsi, nell’ostile contesto in cui devono oggi operare. Le prime misure messe in cantiere dal premier greco o avviate in questi giorni alla discussione in Parlamento confermano questa impostazione e rimangono sulla stessa lunghezza d’onda anche quando, giustamente, della gigantesca questione sociale greca Tsipras e Varoufakis mettono in evidenza la natura di disastro umanitario. Di questo infatti si tratta, questo le crudeli ricette della Troika hanno provocato in quel Paese. Un disastro umanitario.

C’è oggi, in questo nuovo contesto, l’opportunità pratica di un cambio di passo della politica nel suo complesso, a partire dal suo stesso statuto epistemologico: non più un subalterno strumento a servizio dell’economia – come nel tempo della governamentalità neoliberale è diventata – ma di nuovo una forza costituente per il cambiamento delle cose. Nelle mani dei popoli, che se ne vogliano riappropriare.

Sfidare seriamente il pensiero unico e la sua ortodossia: passa da qui il necessario cambio di passo della politica in Europa e in Italia, così come è avvenuto in Grecia. Vanno rotte le clausole di convenienza sui vincoli, rovesciati i paradigmi sui bilanci, messi in chiaro gli arcani degli interessi finanziari. E’ l’Europa che ce l’insegna, sono gli antichi padri e le antiche madri delle nostre libertà che ce lo chiedono. Rovesciare le ortodossie della razionalità neoliberista, il primato della concorrenza a tutti i livelli, il signoraggio dell’impresa sull’umano, le ossificate ricette ex cathedra dell’austerità nello stesso modo in cui in Europa furono rovesciati, metaforicamente ma anche no, troni e altari, e la democrazia la libertà l’idea della giustizia sociale presero corpo: questo il terreno della sfida. Non è d’altra parte questo ciò che vale ancora la pena di rivendicare della storia d’Europa? La libertà di pensiero e di agire politico? Che cosa, altrimenti? Così dovremmo controbattere, con qualche audace sfrontatezza, a chi ci richiama ai patti e ai trattati, che le élites europee si sono scritti e cantati, nelle incontrollabili, riservatissime sedi della governance europea. E che vanno messi a nudo per quello che sono: le tappe una dopo l’altra messe in agenda per far tornare indietro la storia, esaltare gli interessi delle banche, concentrare la ricchezza dei ricchi, impoverire i già poveri o in via di impoverimento. E via così.

Mentre si archivia definitivamente la semantica stessa del cambiamento, grazie all’apporto decisivo delle sinistre novecentesche, che hanno perso più o meno l’anima nel loro farsi sempre più uguali ai cantori del neoliberismo.

Ancora una volta la Grecia segnala all’Europa, immemore di se stessa, il cuore della questione chiamata Europa, quella che Ulrik Beck indicava con forte disagio nel suo “L’Europa tedesca” come un paradosso della democrazia sotto dettatura dell’economia: il Bundestag tedesco che vota, nel 2012, quello che un altro Parlamento – quello di Atene – deve votare. Quel “decidere a Berlino di Atene”, scrive Beck, è stato accolto in Germania senza battere ciglio, come per un’assuefazione improvvisa al capovolgimento delle regole della democrazia.

Ma in Grecia, le elezioni politiche si sono riempite di nuovo della spinta democratica, della voglia di uomini e donne di essere protagonisti delle scelte, dell’idea che la politica possa essere ancora strumento nelle nostre mani. Anche questo è segno di qualcosa che va oltre la Grecia, qualcosa insieme fragile e potente. Fragile come rischia di essere ormai il destino della democrazia, nell’epoca del disincanto democratico che segna un po’ ovunque l’Europa; potente come può essere ancora la voglia di democrazia quando essa incontri di nuovo la politica e l’aspirazione al cambiamento trovi per affermarsi la strada della battaglia democratica. Quanto insomma la democrazia abbia a che vedere con la politica e quanto la politica sia necessaria perché le norme e le procedure della democrazia non decadano definitivamente nell’apatia popolare, come inutili residualità: anche di questo parla la Grecia.

L’azione del nuovo Governo greco, finché dura la rigida perimetrazione neoliberista delle politiche della Troika, non può che essere una sfida continua e una continua ricerca di mediazione. Per non soccombere. Che Tsipras si eserciti su un tale contraddittorio e infido terreno è la dimostrazione della forza che la politica può riconquistare, se qualcuno trova il coraggio, la voglia, la strada di rimetterla in azione. Che Tsipras e il suo Governo poi ce la facciano dipenderà anche dal fatto che la loro azione coraggiosa svegli qualcuno dall’incantamento ipnotico in cui la grande svolta neoliberista di qualche decennio fa ha scaraventato, senza significativi contrasti da parte di nessuno, le sinistre novecentesche, sia socialdemocratiche sia comuniste. E soprattutto che una sinistra della contemporaneità trovi in altri Paesi dell’Europa le forme, i modi, le pratiche e le parole per decollare e sperimentarsi nel cambiamento delle cose. Come in Grecia.

 

Commenti

  • francesco

    Articolo davvero inconsistente, privo di qualsiasi analisi socio-economica e politica concreta.

    Un rosario di luoghi comuni e buone intenzioni che non aggiungono o sottraggono niente se non certificare ancora una volta l’inutilità e l’inconsistenza della classe politica (a partire dall’articolista) che la esprime. La chiosa finale (sulla base della quale la tesi espressa dall’articolo si fonda) ne è poi la massima apoteosi: “una sinistra della contemporaneità trovi in altri Paesi dell’Europa le
    forme, i modi, le pratiche e le parole per decollare e sperimentarsi nel
    cambiamento delle cose. Come in Grecia”.
    Come se la Grecia rappresentasse un caso virtuoso di pratica politico-governativa efficace ed efficente che ha prodotto risultati significativi e dunque da seguire. Mentre che sinceramente la Grecia ha solo cambiato governo ma ad oggi non ha prodotto propiro niente, se non un teatrino poco edificante in cui si mette in scena l’ipocrisia di oggi cerca di alzare una cortina fumogena su promesse elettorali che si sapeva benissimo non in grado di mantenere. Un teatrino che sia chiaro non potrà che comportare un prezzo in termini di credibilità e collaborazione da parte dei partner europei ai quali si chiede il sostegno indispensabile a non naufragare (e dunque un prezzo da pagare da parte proprio della popolazione ellenica che si sostiene di voler aiutare dato che, più saranno i pugni sbattuti sul tavolo da parte de governo greco – che è solo un teatrino dato che la Grecia non ha alcun potere negoziale – più saranno alte e stringenti le garanzie richieste dalla controparte, comunque la si voglia rinominare).
    Tzpras ha fatto promesse che sapeva benissimo di non poter mantenere e le ha fatte semplicemente per poter vincere le elezioni, pur non avendo alcuna idea su come gestire realmente il paese in caso di vittoria (e questo è la sua colpa più grave), come è plasticamente dimostrato dalla scelta degli improbabili ministri a cui ha deciso di affidare dicasteri strategici.
    Eccolo qui il modello in “salsa greca”, tanta demagogia e poche capacità concrete. Magari tante buone intenzioni questo si, ma oltre queste poco più se non tanto dilettantismo e sete di potere (come sostengono molti autorevoli conoscitori della realtà greca a partire dallo scittore Petros Markaris e adesso, anche se con un certo ritardo e perchè deluzo, l’ex partigiano ed eurodeputato Manolis Glezos). E se è questo a modello che SEL e la Deiana aspirano, allora non c’è proprio da aggungere altro.

  • Elettra Deiana

    Gentile lettore,

    lei non può non aver capito che la scelta di scrivere l’articolo che ho
    scritto e che lei critica non era quella di fornire un quadro della condizione
    economico-sociale della Grecia. Condizione nota a chi abbia un minimo di
    dimestichezza con l’informazione e per altro continuamente messa al centro dei
    dibattiti mediatici anche a mo’ di spauracchio per Paesi come il nostro, fino a
    un po’ di tempo fa anch’esso in bilico sul burrone. E oggi forse miracolato grazie alle robuste misure di svalorizzazione del lavoro che il governo Renzi sta portando a casa.

    Sono noti i vasti econtinui movimenti di protesta della Grecia contro le ricette di Bruxelles, lemisure draconiane del rigore imposte, gli effetti devastanti sulle famigliesulle imprese, sullo stato generale del Paese. E’ tutto noto.
    La situazione economica delle famiglie greche continua a peggiorare a vista
    d’occhio, secondo una ricerca condotta dall’Istituto per le Piccole Imprese
    della Confederazione Generale Professionisti, Commercianti e Artigiani ellenici
    (Ime-Gsevee). Si tratta della ricerca annuale della centrale sindacale su un
    campione di 1.207 nuclei familiari rappresentativi a livello nazionale condotta
    in collaborazione con la società Marc lo scorso dicembre allo scopo di
    registrare le ripercussioni della crisi economica sulle famiglie greche.

    Il Sole 24 Ore ci informa in questi giorni che il 94,6% delle famiglie ha
    subito una riduzione media del 39,47% del proprio reddito dal 2010 sino ad
    oggi, con la Regione dell’Attica in prima posizione, mentre il principale
    reddito di gran parte delle famiglie (48,6%) proviene dalle pensioni. La
    situazione si presenta ancora più drammatica per quanto riguarda il settore dei
    beni di consumo. Il 63,7% delle famiglie dichiara di aver ridotto le spese per
    l’alimentazione, il 90,3% ha tagliato le spese per il vestiario e il 90% ha
    limitato quelle per i ristoranti, i locali ed il cinema. Il 75% delle famiglie
    ha ridotto anche le spese per il riscaldamento e il 36,5% ammette che ormai
    acquista solo prodotti di qualità inferiore. Possiamo informarci facilmente. Le pagine economichde dei maggiori quotidiani ce lo permettono

    Né volevo ritornare sull’altro nodo notissimo della situazione greca:
    l’implosione delle classi dirigenti, per le notissime ragioni di malcostume e corruzione, inadeguatezza, subalternità e quello che vogliamo. Fa parte di questa implosione la crisi della sinistra tradizionale.

    Volevo solo esprimere un punto di vista politico diverso da quello corrente sul voto greco, sul presente che si apre, sulle prospettive a cui allude. Punto di vista – lo ammetto – fortemente non conforme rispetto alla vulgata prevalente – anzi ostile a tale vulgata – e dunque forse giudicabile come inconsistente, come inconsistente appare o viene interpretato o magari bollato qualsiasi punto di vista alternativo a quello prevalente.

    Un punto di vista alternativo, forse “inconsistente”, come dice lei, per il
    fatto che non sta ai criteri di realismo pervasivo e performativo, sui cui nei
    decenni che abbiamo alle spalle, si è radicato senza incontrare ostacoli la “governamentalità neoliberale”. Penso che sia questo il contesto da cui partire per capirci qualcosa di quello che avviene nel mondo e da noi. Ma che trova conforto, il mio punto di vista, nelle analisi,
    nelle preoccupazioni, negli avvertimenti di molti economisti di chiara fama.
    E trova conferma in ciò che l’Europa, tenuta insieme da Trattati e vincoli non
    riconosciuti dai popoli, ci restituisce come deficit di senso di appartenenza comune di chi vive in Europa.
    Ho chiaro il punto di vista a partire dal quale lei ha scritto quello che ha
    scritto sulla mia “inconsistenza” e ha definito la partita intrapresa in Grecia
    e in Europa da Tsipras “un teatrino”, mentre non ha nulla da eccepire sulla
    legittimità dei “partner” europei di essere i regolatori delle cose. Posizioni
    politiche diverse. Tutto qui.

    Penso, a proposito di consistenza o inconsistenza, che la vicenda greca del dopo voto abbia
    messo in evidenza aspetti molto consistenti, con cui l’Europa dovrà fare i
    conti se vorrà trovare una strada degna di questo nome per il suo futuro. La
    volontà popolare – ricordo che il voto popolare ha premiato Siryza contro Alba
    dorata – l’esistenza di un punto di vista sulla crisi economico-finanziaria diverso e alternativo, che è ormai
    entrato nel dibattito politico oltre che in quello accademico; l’impegno di un
    governo democraticamente eletto a rispondere positivamente ai problemi sociali del Paese. Che c’è di più consistente, che però la vulgata tende a ignorare?

    Sono i punti che ho messoin evidenza. E molto altro ci sarebbe da
    dire. La vittoria di Syriza pone l’UE come mai prima di fronte a un bivio:
    perseverare nel proprio dispotismo neoliberista, e confermare così la sua ostilità
    politico-sociale nei confronti di intere popolazioni europee, o cominciare a
    cedere e a trovare lungimiranti mediazioni di fronte a un movimento di opposizione
    che prima o poi, in diversi Paesi, potrà non essere più contenibile. Il voto
    greco – e i personaggi che il voto ha portato alla ribalta,Tsipras e Varoufakis
    appunto – costituiscono in qualche
    misura uno snodo e un punto nodale Il resto si vedrà. Tutto qui.

    La saluto

  • francesco

    Gentilissima Elettra Deiana, certamente la “questione greca” presneta molti aspetti diversi tra loro ed una complessità che non può essere ragionevolmente trattata né in un articolo, né soprattutto in un suo commento.
    Rispetto il suo punto di vista e la sua posizione politica e mi scuso per essermi espresso in una forma eccessivamente dura e probabilmente ingenerosa nei Suoi confronti.
    Tuttavia appare sufficientemente evidente sia da parte sua che di SEL il tentativo di promuovere e far assurgere il caso “Tspras” come paradigmatico del cambiamento (in positivo) possibile in Europa ed i Italia e dunque come modello da emulare. Di più, non essendo ad oggi riusciti a produrre un progetto credibile (ovvero compreso dall’elettorato del paese, come certifica lo scarso consenso elettorale di cui godiamo), si sta puntando ad processo di identificazione con Tsipras/Syrizache ci permetta di accescere la nostra credibilità attraverso questa forma surrettizia di marketing politico (e non attraverso una proposta credibile e praticabile per il nostro paese).
    In altre parole la sinistra italiana (dato che non è solo SEL a farlo) sta oggi sostanzialmente puntando tutte le sue carte sulla scommessa della riuscita del governo greco e questo sinceramnete mi sembra un segnale di estrema debolezza, oltre un azzardo pericoloso.
    Un segnale di estrema debolezza perchè rafforza la convinzione nell’elettorato più attento che non siamo in grado di elaborare un progetto autonomo e considerando che la parte di elettorato che può oggi ragionevolmente guardare a sinistra è il cosidetto “ceto medio riflessivo” (ovvero proprio quella parte di elettorato più attenta) si può comprendere quanto questa scelta possa essere controproducente.
    Si tratta inoltre, a mio avviso, di un azzardo pericoloso in quanto mi sembra si stia vendendo la pelle dell’orso prima ancora di averlo catturato, riponendo nell’attuale governo greco una fiducia superiore a quella che ragionevolmente si merita e soprattutto una capacità di incidere sulla realtà molto superiore a quella reale (ciò non toglie che sia positiva la vittoria di Syriza ed il cambiamento di governo avvenuto in Grecia che sono certo sarà di maggiore sostegno e aiuto alla popolazione di quel paese, anche se non è in grado di fare alcun miracolo). Dunque puntare così tante fiche sui risultati del governo greco (non a caso il titolo dell’articolo che afferma la certezza del cambiamento o la sua chiosa finale che parla di “pratiche” e “cambiamento delle cose” riferendosi alla Grecia come se queste già fossero manifeste ed evidenti, mentre la realtà e che al momento si è solo scongiurato il peggio e si è rimandato di 4 mesi il momento della verità dove non basteranno le sceneggiate di Varoufakis o i “ma anche” di Tsipras ma si dovranno mettere sul tavolo, sottoscritte nero su bianco, impegni e decisioni che dubito saranno (non per colpa di Tsipras ma per il contesto dato) così entusiasmanti come volete far credere.
    Forse mi sbaglio, anzi spero proprio di sbagliarmi io, ma una maggiore prudenza da parte vostra vi avrebbe qualificato come una classe dirigente maggiormente capace ed all’altezza delle sfide che abbiamo davanti.
    Ma evidentemente così – forse – non è.