Cambia la Grecia, cambia l’Europa
La formazione di un governo come quello di Alexis Tsipras costringe tutti a fare i conti con questioni di fondo che riguardano il futuro dell’Europa. Al di là di quanto il leader greco riuscirà ad ottenere di concreto per il suo Paese, nel defatigante contenzioso che si è aperto tra lui e le autorità di Bruxelles, e al di là dei passaggi, dei passi avanti o a lato o indietro che potrà o dovrà fare – perché i rapporti di forza, allo stato delle cose, sono quelli che sono – l’esistenza del nuovo governo di Atene mette tuttavia in chiaro che in Europa si è prodotto un decisivo mutamento politico. Cambia la Grecia, cambia l’Europa.
L’indiscutibilità del canone ordoliberista, che dalla Germania ha indirizzato fino a oggi con teutonico rigore le politiche economiche della Troika, è messo seriamente in discussione da un governo nato per via democratica, dalla volontà democratica di un popolo. Questo è avvenuto ed è la prima forte novità da sottolineare. La seconda è che un serio, impegnativo conflitto tra due visioni del mondo – e del “che fare” della politica – si è aperto. L’ordine del discorso economico-politico dominante si è ormai incrinato nei punti essenziali.
Non è la crisi che deve essere in primis fronteggiata, dice il ministro greco delle Finanze Yanis Varoufakis nel suo Minotauro, mitica metafora da lui evocata nel libro, a significare il mostruoso dominio iper post-moderno della finanziarizzazione globale, che inghiotte e tritura la vita delle persone. Sono le politiche neoliberiste, le stesse che producono la crisi e rendono invincibile il mostro, a dover essere smontate analiticamente, dimostrando così in modo inequivocabile a chi giovino e chi colpiscano. E devono essere contrastate alla radice, come il programma di Salonicco ha messo in chiaro.
Ed è il debito che rende impossibile rimettere in ordine le cose. Il neoliberismo ha spinto all’integrazione del sistema monetario, bancario e finanziario attraverso tecniche che, intenzionalmente, dice Varoufakis, nella sua analisi diretta e senza fronzoli, hanno fatto del rapporto tra il creditore e il debitore un decisivo campo di formidabile modifica dei rapporti di forza, a partire dall’evidente disparità di tali rapporti. L’imposizione del capestro, cioè quel debito infinito che più lo paghi più cresce, non ha solo lo scopo di trasferire risorse dalla società verso il sistema finanziario, con l’effetto di un impoverimento sociale crescente, ma soprattutto quello di proiettare l’impoverimento sul lungo periodo, dando impulso a un’irreversibile trasformazione delle condizioni lavorative e dei rapporti sociali: precarizzazione, estensione del lavoro gratuito obbligatorio, riduzione del salario complessivo, aumento dell’orario di lavoro parallelo alla riduzione degli organici. E altro che conosciamo.
Contrapposizione d’idee, analisi, proposte. Una faglia insomma si è aperta nei dispositivi della grande narrazione europea che ha costruito e veicolato il consenso alle ricette di Bruxelles; un robusto cambio di pensiero si è fatto protagonista degli avvenimenti. E di questo cambio di pensiero, che da oggi più facilmente si può estendere oltre la Grecia e rappresentare per altri una risorsa politica, Tisipras e il suo partito non solo sono stati protagonisti ma ad esso continuano a riferirsi, nell’ostile contesto in cui devono oggi operare. Le prime misure messe in cantiere dal premier greco o avviate in questi giorni alla discussione in Parlamento confermano questa impostazione e rimangono sulla stessa lunghezza d’onda anche quando, giustamente, della gigantesca questione sociale greca Tsipras e Varoufakis mettono in evidenza la natura di disastro umanitario. Di questo infatti si tratta, questo le crudeli ricette della Troika hanno provocato in quel Paese. Un disastro umanitario.
C’è oggi, in questo nuovo contesto, l’opportunità pratica di un cambio di passo della politica nel suo complesso, a partire dal suo stesso statuto epistemologico: non più un subalterno strumento a servizio dell’economia – come nel tempo della governamentalità neoliberale è diventata – ma di nuovo una forza costituente per il cambiamento delle cose. Nelle mani dei popoli, che se ne vogliano riappropriare.
Sfidare seriamente il pensiero unico e la sua ortodossia: passa da qui il necessario cambio di passo della politica in Europa e in Italia, così come è avvenuto in Grecia. Vanno rotte le clausole di convenienza sui vincoli, rovesciati i paradigmi sui bilanci, messi in chiaro gli arcani degli interessi finanziari. E’ l’Europa che ce l’insegna, sono gli antichi padri e le antiche madri delle nostre libertà che ce lo chiedono. Rovesciare le ortodossie della razionalità neoliberista, il primato della concorrenza a tutti i livelli, il signoraggio dell’impresa sull’umano, le ossificate ricette ex cathedra dell’austerità nello stesso modo in cui in Europa furono rovesciati, metaforicamente ma anche no, troni e altari, e la democrazia la libertà l’idea della giustizia sociale presero corpo: questo il terreno della sfida. Non è d’altra parte questo ciò che vale ancora la pena di rivendicare della storia d’Europa? La libertà di pensiero e di agire politico? Che cosa, altrimenti? Così dovremmo controbattere, con qualche audace sfrontatezza, a chi ci richiama ai patti e ai trattati, che le élites europee si sono scritti e cantati, nelle incontrollabili, riservatissime sedi della governance europea. E che vanno messi a nudo per quello che sono: le tappe una dopo l’altra messe in agenda per far tornare indietro la storia, esaltare gli interessi delle banche, concentrare la ricchezza dei ricchi, impoverire i già poveri o in via di impoverimento. E via così.
Mentre si archivia definitivamente la semantica stessa del cambiamento, grazie all’apporto decisivo delle sinistre novecentesche, che hanno perso più o meno l’anima nel loro farsi sempre più uguali ai cantori del neoliberismo.
Ancora una volta la Grecia segnala all’Europa, immemore di se stessa, il cuore della questione chiamata Europa, quella che Ulrik Beck indicava con forte disagio nel suo “L’Europa tedesca” come un paradosso della democrazia sotto dettatura dell’economia: il Bundestag tedesco che vota, nel 2012, quello che un altro Parlamento – quello di Atene – deve votare. Quel “decidere a Berlino di Atene”, scrive Beck, è stato accolto in Germania senza battere ciglio, come per un’assuefazione improvvisa al capovolgimento delle regole della democrazia.
Ma in Grecia, le elezioni politiche si sono riempite di nuovo della spinta democratica, della voglia di uomini e donne di essere protagonisti delle scelte, dell’idea che la politica possa essere ancora strumento nelle nostre mani. Anche questo è segno di qualcosa che va oltre la Grecia, qualcosa insieme fragile e potente. Fragile come rischia di essere ormai il destino della democrazia, nell’epoca del disincanto democratico che segna un po’ ovunque l’Europa; potente come può essere ancora la voglia di democrazia quando essa incontri di nuovo la politica e l’aspirazione al cambiamento trovi per affermarsi la strada della battaglia democratica. Quanto insomma la democrazia abbia a che vedere con la politica e quanto la politica sia necessaria perché le norme e le procedure della democrazia non decadano definitivamente nell’apatia popolare, come inutili residualità: anche di questo parla la Grecia.
L’azione del nuovo Governo greco, finché dura la rigida perimetrazione neoliberista delle politiche della Troika, non può che essere una sfida continua e una continua ricerca di mediazione. Per non soccombere. Che Tsipras si eserciti su un tale contraddittorio e infido terreno è la dimostrazione della forza che la politica può riconquistare, se qualcuno trova il coraggio, la voglia, la strada di rimetterla in azione. Che Tsipras e il suo Governo poi ce la facciano dipenderà anche dal fatto che la loro azione coraggiosa svegli qualcuno dall’incantamento ipnotico in cui la grande svolta neoliberista di qualche decennio fa ha scaraventato, senza significativi contrasti da parte di nessuno, le sinistre novecentesche, sia socialdemocratiche sia comuniste. E soprattutto che una sinistra della contemporaneità trovi in altri Paesi dell’Europa le forme, i modi, le pratiche e le parole per decollare e sperimentarsi nel cambiamento delle cose. Come in Grecia.
Commenti
-
francesco
-
Elettra Deiana
-
francesco