Campagne preventive
“L’altra Europa con Tsipras” è una lista dichiaratamente europeista. Ma è anche fortemente ostile alle politiche liberiste della Troika ed è mossa dall’idea che la battaglia per un’altra Europa nonché la rimessa in discussione di trattati e vincoli siano la sola risposta che si debba dare alla crescente ondata di antieuropeismo che attraversa il vecchio continente. E’ dunque una lista euro insubordinata, per dirla come la dice Barbara Spinelli, che così grandemente ha contribuito alla sua realizzazione in Italia. Per questo “L’altra Europa con Tsipras” già non gode di buona fama presso l’establishment nazionale, del tutto consapevole che di diktat della Troika l’Europa può morire ma che non sa, non può, non vuole, soprattutto, fare altro che acconsentire alle politiche di Bruxelles dei conti in ordine e dello schianto sociale.
Per questo la lista è già diventata – e sempre più diventerà – l’oggetto di una campagna preventiva, che ha lo scopo di mettere insieme, in un unico sacco, partiti, liste elettorali, soggetti vari che abbiano in comune almeno “quel” punto, cioè la critica all’Europa. Per i motivi e le logiche politiche, le prospettive ideali e le proposte programmatiche più varie e divaricanti, ma associabili ad arte, grazie alla messa in evidenza di quell’unico punto in comune. Che poi si tratti di forze orientate a sinistra o a destra, europeiste critiche o antieuropeiste ostili, solidali o razziste, democratiche o autoritarie, tutto questo non ha alcuna importanza, non è materia su cui si voglia davvero fare né informazione né spiegazione.
Il punto è di veicolare preventivamente un pacchetto di opinioni che concorrano a formare, presso i settori di opinione pubblica a cui quei commenti sono diretti, un riflesso di diffidenza verso l’indistinta e indistinguibile galassia dei populismi e dei nazionalismi. Un primo esempio di questa preventiva costruzione mediatica, è l’articolo pubblicato due giorni fa su la Repubblica a firma di Andrea Bonanni. Il titolo dice la cosa in modo diretto: Euroscettici, estremisti e nazionalisti alla presa del Parlamento di Strasburgo. Il titolo e l’articolo nel suo complesso suggeriscono l’idea che l’Europa non possa che essere quella che è e criticarne le attuali politiche sia la stessa cosa che ipotizzare l’uscita dall’Unione europea e l’abbandono dell’euro.
C’è l’Europa della Troika, dei commissari, di Bruxelles, che decide secondo i trattati, e c’è un’eresia di pensiero. Non ci sono posizioni politiche circostanziate e diversificate, non c’è lo spazio di una ricerca alternativa, non ci sono i premi Nobel dell’economia che criticano le politiche adottate e i guai provocati. O forse ci sono, perché anche su la Repubblica compaiono posizioni critiche verso le strettoie dell’euro. Ma sono opinioni “illustri”, fanno parte di una dialettica del pensiero che si svolge a livello di élites. Non disturbano il manovratore né possono essere ovviamente inibite.
La lista Tsipras è invece il frutto di un’ipotesi politica e ha tutte le potenzialità di sviluppare un’azione politica, una messa in movimento di energie sociali che possono costruire rapporti di forza diversi nella sede del nuovo Parlamento europeo. Così la tentazione di fare di tutte le erbe un fascio è facile perché facilita i compiti dell’informazione conforme al dominus del momento o del tempo che viviamo. L’Europa dell’eurozona, appunto. Fa allora parte del gioco mediatico-politico che anche la lista “L’altra Europa con Tsipras” non sia in fondo troppo differente dalle liste euroscettiche, estremiste o nazionaliste che in tutti i Paesi dell’Ue affolleranno l’appuntamento delle elezioni di maggio. L’articolo di Bonanni non a caso dà conto in modo dettagliato delle varie formazioni anti-europee di stampo reazionario che sono cresciute in Europa, dai Paesi scandinavi al Regno Unito, dall’Olanda all’Austria, passando per la Francia di Madame Le Pen e non dimenticando l’Ungheria dell’ultranazionalista Viktor Orban. La lista Tsipras nell’elenco. Estremista per le sue ricette di stampo keynesiano.
L’Europa – lo scrive Ilvo Diamanti, sempre su la Repubblica del 10 marzo – è diventato un soggetto freddo e lontano. E’ soltanto una moneta senza Stato e senza politica, lo sappiamo bene, un’entità senza identità e senza passione, creatura monetaria dei governi, vissuta dai popoli più come un problema che come una risorsa. In Italia la disaffezione o l’ostilità verso l’Europa sono fenomeni palpabili, che non hanno bisogno di dimostrazione. Il feeling antieuropeo, al momento in nuce – poi si vedrà che cosa ne verrà fuori – tra il M5S e Matteo Salvini della Lega, ci suggerisce l’idea che molte cose possono ancora succedere su questo versante della politica nazionale. I dati sono per altro netti.
Dicono che la fiducia nella Ue, rispetto al 2000 – alla vigilia dell’introduzione dell’euro – è dimezzata: dal 75% al 29%, con una caduta negli ultimi mesi, da settembre 2013 ad oggi, di cinque punti. Tutto questo ha precise conseguenze nell’opinione pubblica: un terzo degli italiani (il 32%) condivide l’idea che sarebbe meglio “uscire dall’euro e tornare alla lira”. Li trattiene la paura del salto nel vuoto, quello che il grande teatro politico-istituzionale evoca continuamente accanto al mantra ossessivo dei “compiti da fare” e del “perché l’Europa ce lo chiede”. Altrimenti cadiamo, appunto, nel baratro. Nasce dallo sfruttamento psicologico di questa cultura della paura, ormai largamente diffusa nel Paese, la tentazione mediatico-politica che si possano mettere in un unico sacco posizioni così diverse rispetto all’Europa.
La lista Tsipras si deve misurare con questo insidioso contesto, liberarsi di ogni tentazione nostalgica, residuale, paraideologica che possa venir fuori dalla complessa platea di soggetti diversi che le hanno dato vita. E’ in gioco un’idea e una pratica dell’Europa che sul piano economico-sociale, istituzionale, del sentimento popolare parli un’altra lingua, tracci un’altra prospettiva. A differenza del passato, il voto europeo di quest’anno non sarà solo una specie di maxisondaggio sugli orientamenti, ma la cartina di tornasole dei rapporti tra l’Europa e i suoi popoli. Chiarirà senza possibilità di inganno quale sia il grado di lontananza del sentimento popolare dalla Ue. Se si tratti di disaffezione, o di sfiducia o se una faglia ormai incolmabile si sia prodotta. La partita per la lista Tsipras è proprio per questo di grandissima importanza, va oltre la necessità di una sua affermazione elettorale, per altro essenziale. In Italia serve anche a restituire voce agli elettori e alle elettrice, a rimettere in gioco l’importanza di poter scegliere col voto, contro l’andazzo che si va affermando sull’inutilità di ricorrere al voto popolare per legittimare le scelte della maggioranza che governa.
La Grecia, per tante ragioni ideali e politiche, è il luogo dell’incipit della lista Tsipras: per la carica simbolica di quel Paese, uno dei luoghi che dall’inizio della storia del nostro continente ha immaginato e tentato la democrazia; per l’appartenenza geografica di quel Paese all’area mediterranea, senza la quale non c’è Europa, perché il Mediterraneo è oggi uno degli snodi fondamentali dei rapporti col mondo; e per il terribile peso materiale che sulla Grecia l’Europa ha scaricato. Ma soprattutto perché in Grecia, per il coraggio politico e civico di una nuova generazione di uomini e donne, ha preso vita una nuova sinistra, che manifesta il coraggio di essere europeista ma nello stesso tempo si dichiara contraria alle ricette del’attuale governance europea. Una sinistra che in Grecia vola nei sondaggi, e di cui Alexis Tsipras è il leader. E’ un ottimo punto di partenza. Il resto è politica nelle nostre mani. Anche convincere o far capire al sistema mediatico o a parte di esso che si può amare l’idea dell’unità europea e essere ostile alla sua attuale governance.
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