Cari compagni, prendiamo esempio dal sindaco Zedda
Una sinistra capace di riflettere sul suo stato presente e sulle prospettive di domani dovrebbe tessere l’elogio politico di Massimo Zedda e delle donne e gli uomini della coalizione vasta che con lui, e attorno a lui, hanno rivinto a Cagliari al primo turno. Quel voto non ci consegna una formula alchemica, ma un dato di fatto, tutto politico, da cui partire e su cui occorre con urgenza tornare a ragionare. Un’alleanza ampia e plurale, dentro la quale ogni singola forza politica, col proprio autonomo profilo, dal Partito Democratico al Partito Sardo d’Azione alla Sinistra, trae un proprio incremento e lo mette a disposizione della coalizione.
Un’alleanza che si fa strumento di un’idea innovativa della città, dalla solidarietà sociale alla sostenibilità territoriale, fino alla concezione inedita di welfare urbano verso le fasce sociali più deboli ed esposte alla crisi, che morde il sud e la Sardegna ancor più che nel resto del paese. Ingredienti che portano a vincere, surclassando la destra e tenendo i 5 Stelle sotto le due cifre. Possiamo considerare tutto questo un caso e non piuttosto un insegnamento?
Viceversa, viene dato per scontato un risultato, e prima ancora un percorso, che va controcorrente rispetto alla situazione di stallo in cui si trovano tante città andate al voto e che riflette sulle amministrazioni locali, in maniera quasi ovunque negativa, le tendenze della politica nazionale. Politica nazionale che esce da questo voto amministrativo con una avviata, ancorché faticosa, riaggregazione della destra; con l’exploit, non solo di forte valenza simbolica, dei 5 Stelle a Roma e a Torino; con la netta battuta d’arresto del Partito Democratico e con una Sinistra che, come già alle elezioni europee, resta sospesa a metà di un percorso incompiuto tanto sul piano politico quanto su quello elettorale.
Possiamo partire da qui per ragionare attorno alle strategie politiche – e dunque al profilo di società – che possono disegnare il volto dell’Italia dei prossimi anni, il suo ruolo, determinante o marginale, nella complicata scommessa di ripensare a una nuova e diversa Europa? O consideriamo ineluttabile una contesa che, anche per effetto di una legge elettorale troppo debole nei pesi e contrappesi democratici, si giochi tra un “partito della nazione” allo stato già in difficoltà e un Movimento 5 Stelle in continua ascesa, con una destra che può scartare di lato e tornare egemone? Una destra xenofoba che, sia detto chiaramente, non deve vederci a casa nei ballottaggi in cui può conquistare le città.
Ma sono davvero questi gli equilibri politici in grado di dare non dico reale cambiamento, ma neppure stabilità ad un Paese che vive ormai da un decennio dentro una sofferenza sociale crescente e ancora non intravvede una via praticabile di sviluppo sostenibile? Cosa impedisce a forze responsabili, a gruppi dirigenti avveduti, di mettere a tema il capitolo del centrosinistra come prospettiva politica da imbastire e nel paese, proprio a partire dai chiaroscuri del voto amministrativo?
So bene che non si tratta semplicemente di ritessere il filo spezzato a ridosso del voto politico del 2013. Come so bene che vi è stato un peso diverso delle responsabilità e delle scelte, che dunque non metto indistintamente sullo stesso piano. Mi chiedo tuttavia sulla base di quale riflessione profonda, critica e analitica, si sia finito per azzerare per il futuro del paese una prospettiva che è ben più radicata nella coscienza politica e sociale di una parte consistente del paese di quanto non sia nelle corde della classe dirigente che oggi la rappresenta. E’ del tutto naturale che aprire questo capitolo significa non solo avere come obiettivo un nuovo quadro di alleanze ma, prima ancora, tornare sui nodi stringenti dell’agenda del paese. E quei nodi si discutono, col metro di misura dell’autonomia di ciascuno, non solo dentro il recinto dei partiti, ma nel corpo ampio della società, con interlocutori imprescindibili come il sindacato, l’associazionismo diffuso, le realtà cattoliche più aperte al sociale, dentro il nuovo magistero di Francesco.
Non ne deriverebbe una rivitalizzazione democratica del campo oggi disperso e frantumato del centrosinistra, un riavvicinamento tra politica e società, un’iniezione di speranza per chi l’ha perduta e si mette in disparte? Vorrei che, argomenti sul tavolo, mi si dicesse che no, che la strada è segnata e va da tutt’altra parte, per quelli come me che sentono il bisogno di dare vita a una sinistra autonoma, ancorata fortemente al mondo del lavoro e dell’ambiente, per quelli del PD che tracciano il perimetro della loro autosufficienza politica come risposta da dare al paese, per quelli, tanti, che non stando né con gli uni né con gli altri, finiscono per non avere rappresentanza alcuna. Ma vorrei anche che se ne discutesse a fondo, prima di dare una risposta ultimativa. E se da una simile discussione emergesse una possibilità, vorrei infine che si avesse il coraggio, la stoffa, la reciproca lealtà di praticarla.
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