Caro Poletti, il reddito garantito è un’altra cosa
Finalmente se ne parla, ed è una buona notizia: il tema del reddito garantito, finora tabù, è salito nelle ultime settimane alla ribalta della cronaca politica. Ma come se ne parla? Ci ragionano in tanti, associandogli diversi aggettivi e definizioni, spesso in maniera confusa. Per non creare equivoci il modo migliore sarebbe innanzitutto intendersi sul senso di questa misura, per evitare di usare la parola “reddito” come sinonimo di salario o di social card.
Per farlo basterebbe in realtà guardare fuori dai nostri confini nazionali. All’Europa che spesso nominiamo quando ci chiede di fare “sacrifici”, ma che ci dimentichiamo quando dice che c’è un “diritto all’esistenza” da garantire a tutte e tutti. Quell’Europa, con una risoluzione del Parlamento europeo, chiede a tutti gli stati membri di dotarsi di misure di reddito garantito. E indovinate chi non ha ascoltato questa richiesta? Solo Italia e Grecia, ironia della sorte. Bene, oggi anche il ministro Poletti, buon ultimo, si esprime sul tema. Per dirci che non si può fare. No, non pensate ad una conferenza stampa sui motivi che impedirebbero di dare all’Italia uno strumento che la rimetterebbe al passo con gli altri paesi europei. Una misura che – per inciso – renderebbe più sostenibile le politiche precarizzanti a cui ci hanno abituato e che restituirebbe un po’ di fiducia alle persone e dunque ai consumi. Già, perché il ministro del Lavoro dovrebbe saperlo: se non ripartono i consumi, il lavoro non si crea. Cambia nome, ma non si crea. No, niente di tutto questo.