Caso Regeni: se il lutto diventa politica
Ieri o l’altro ieri in Tv, in uno dei tanti fuggevoli servizi sugli statici “passi avanti” delle indagini egiziane circa la morte di Giulio Regeni, mi è capitato di vedere una signora di quel Paese che ci parlava. Aveva l’aria molto addolorata ed esprimeva la sua vicinanza alla signora Regeni. Lo faceva con molta forza, dicendo di sapere bene il dolore di quella madre e di condividerlo. Anche suo figlio, ha spiegato a un certo punto, trattenendo il pianto, è finito nei meandri mortiferi della repressione, che è terribile in Egitto e colpisce tutti, i giovani in modo particolare.
Non a caso colpisce i giovani, bisogna sottolineare – sono loro che possono cambiare davvero le cose – e basta poco perché essi divengano oggetto della repressione. Mi è sembrato, l’atto di quella signora egiziana, di un coraggio inaudito.Un atto dettato forse anche per lei dalla forza interiore di trasformare il lutto personale in un’azione pubblica. Perché di quel figlio non venga dispersa del tutto la memoria.
E oggi, mai come oggi, dire la verità è anche il primo passo perché politica ci sia. Il secondo è che alla verità si risponda con atti di verità
Su “Pagina 99” Luigi Manconi scrive che il discorso che Giulia Regeni ha pronunciato, nel corso dell conferenza stampa al Senato, qualche giorno fa, non è stata una testimonianza ma una “denuncia d’acciaio”. Nei giorni scorsi io stessa ho scritto che quelle della signora Regeni sono state parole al diamante, nel senso di qualcosa che fa luce intorno, disperdendo la montagna di indecenti costruzione di comodo che le autorità egiziane hanno ammannito alle autorità italiane; e di qualcosa che ha una forza perforante, che vuole arrivare ovunque e che nessuno può far finta di non aver capito. Giulia Regeni l’aveva detto subito,alla notizia della morte del figlio, quando aveva parlato di “lutto necessario”: non dimensione di dolore intimo, personale, domestico, ma arma politica perché giustizia sia resa.
Ho avuto occasione di parlare in questi giorni con Ilaria Cucchi, della sua straordinaria vicenda perché giustizia sia resa al fratello, ammazzato in un luogo dove dovresti essere sotto tutela dello Stato e invece ti può capitare di essere brutalizzato di botte e lasciato a morire. Può succedere anche in uno Stato di diritto come il nostro, che però, guarda un po’, non prevede il reato di tortura e dove, perché giustizia sia resa, quando ci siano di mezzo come possibili colpevoli i corpi dello Stato, lo Stato di diritto traballa da tutte le parti. Dice Manconi che c’è ormai una storia italiana fatta di molte madri e familiari di vittime di violenze, “diciamo così, dice Manconi di “Stato”, o comunque di “tragedie di cui non si conoscono i responsabili o, infine di pratiche illegali da parte di apparati pubblici e privati”.
Una storia italiana, ne parlavo anche con Ilaria Cucchii, dove alla latitanza dello Stato, allo Stato che si sottrae al suo dovere di tutela, protezione e restituzione di giustizia nei confronti di suoi cittadini colpiti dalla violenza dei suoi stessi corpi, apparati o vedete voi, si sostituisce l’azione, spesso ostinata come un chiodo conficcato nel cuore, di madri, sorelle, familiari. Qui in Italia ci sono “voci pubbliche”, come quelle di Luigi Manconi, che possono aiutare, magistrati che possono ricominciare daccapo e sanno farlo, opinione pubblica che può farsi sentire liberamente.
La signora Regeni perché giustizia sia resa a suo figlio sa che tutto è soprattutto nelle mani del governo italiano. E’ il governo italiano che non deve desistere di fronte agli evidenti tentativi del Cairo di depistare e chiudere la faccenda . Gli investigatori italiani mandati in loco hanno detto con chiarezza quello che dovevano dire, idem il Procuratore Pignatone che ha in carico la vicenda, idem l’équipe italiana che ha fatto l’autopsia del corpo straziato di Giulio. E’ Renzi che ormai ha nelle mani tutti gli elementi della vicenda e che tutto deve fare perché Al Sisi risponda. Che faccia il suo, dunque il premier Renzi. Se lo aspettano Giulia Regeni e la sua famiglia. Ce lo aspettiamo in moltissime e moltissimi.