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Martedì, 25 febbraio 2014

Da Mcluhan a Sanremo e dove Renzi dovrebbe mettere la faccia

Non sarà originale, ma dopo aver ascoltato il Renzi al Senato è venuto un’altra volta il momento di tornare a citare McLuhan. E’ la terza volta in trent’anni che questo inevitabile atto s’impone dentro il ginepraio (gorillaio nel lessico del nuovo premier) della politica italiana, se vogliamo tentare di capirci qualcosa.

La prima volta il guru canadese della comunicazione servì a tutti noi per decifrare Bettino Craxi, che citava Caterina Caselli a proposito dei suoi atti di governo (“Nessuno mi può giudicare” e, quand’era già troppo tardi, “Perdono”). La seconda ci aiutò non poco con Silvio Berlusconi che citava Tony Renis a proposito del milione di posti di lavoro promessi (“Quando, quando, quando”). Adesso è la volta del Renzi che cita Gigliola Cinquetti a proposito del conferimento del suo nuovo incarico (“Non ho l’età”). A noi, sanremisti fino al midollo, piacerebbe un mondo proseguire con le citazioni canore e abbinare, che so, a Gianni Morandi il governo Letta (“Si può dare di più”) e a Enrico Ruggeri quello Monti (“Mistero”, ivi inclusa la Fornero). Ma qui siamo davanti a un evento epocale per il quale ci può venire in soccorso solo lui, Marshall McLuhan. E da dove partire se non da quella sua legge fondamentale su cui si reggerebbe ogni teoria dell’informazione e della comunicazione che recita apoditticamente “il mezzo è il messaggio”?

Osserviamo i commenti del giorno dopo e, tolte poche eccezioni, ecco che la teoria del nostro sociologo detta il metro di misura del discorso renziano. Ci dice come interpretarlo davvero, come capirlo nel verso giusto, ci svela il senso ultimo. Manca un vero programma? E’ lui il programma. Discorso a braccio e l’altro in tasca? Parla alla gente fuori, non all’aula dentro. Governo di destra o di sinistra? Categorie da lui entrambe superate. Il Renzi viene da Firenze, questo è lo “stil novo” della politica italiana d’ora in poi. E si omette, forse non a caso, di dire che quello fu prima di tutto “dolce”. Non c’è più alcun bisogno del messaggio, perché il messaggio, lo stile, il contenuto, il merito, il programma, i conti, i tempi, tutto questo e tanto altro si racchiude e si spiega in lui e con lui, punto.

Lui che, si aggiunge rifacendogli il verso, “ci mette la faccia”. Vince o perde, non c’è via di mezzo. E allora mettiamoci comodi e aspettiamo, assistiamo, è solo questione di tempo. Alt, è il caso di dire subito, prima che vada a Treviso domani, che così non funziona. Non funziona proprio per niente. E’ il caso di dire che la faccia, dentro il gorgo della crisi, ce la stiamo mettendo noi da diversi anni, sotto i colpi delle politiche europee di austerità della BCE e con l’ossequiosa compiacenza dei governi italiani che si sono fin qui retti, ieri come oggi, sulla stessa maggioranza politica che adesso proprio lui ci ripropone per altri quattro anni.

Ci vuole dire lo stilnovista una parola, una sola, su quando e come intende staccare la spina a quelle politiche di austerità che portano la colpa del massacro sociale di milioni di facce perse? Ci vuole dire, adesso che è il premier di uno dei più importanti paesi europei, che dirà e che farà l’Italia a proposito del fiscal compact? C’è una certa urgenza di saperlo, perché potrebbe toccare proprio a lui di iniziare ad applicarlo. Ricordiamogli un attimo le cifre italiane: sono 50 miliardi di euro l’anno che deve trovare. Per vent’anni. E sempre che ci sia mai un giorno quella “crescita” che né con Monti né con Letta abbiamo visto. Delle due l’una: o pronuncia finalmente la parola “patrimoniale” o dovrà fare insieme tre cose. Mettere altre nuove tasse, ridurre fin quasi ad azzerare lo stato sociale, svendere quel che resta del patrimonio pubblico.

Ma il Renzi è un ragazzo fortunato, toccato come pochi da quella “buona fortuna” di cui ci ha parlato cinquecento anni orsono proprio il suo concittadino Machiavelli. Gli tocca in sorte di essere premier e subito dopo di dover guidare il semestre europeo. Dica, nel bel mezzo della sua presidenza, che l’Italia mette in discussione il fiscal compact e propone agli altri paesi comunitari di sostituirlo con il social compact. Faccia pure un altro discorso a braccio alla Merkel, a Hollande, agli altri leader europei e non ci sarà bisogno di tornare a citare McLuhan. La “svolta radicale” di cui ha parlato ieri sta lì. E’ lì che deve mettere la sua faccia. E se avrà il “coraggio” di farlo, incontrerà tutte le nostre.

 

 

 

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