Da Parigi a Parigi. Vincere la sfida climatica come contributo per la pace globale
Gli eventi drammatici della settimana scorsa nella capitale francese sembrano toccare le tematiche del cambiamento climatico solo per l’organizzazione dell’imminente Conferenza delle Parti (COP21) organizzata dell’UNFCCC. La realtà però ci dice anche un’altra storia che proveremo a raccontare in poche righe.
La COP21 di Parigi sarà il momento che sancirà la fine del Protocollo di Kyoto e la firma di un nuovo accordo globale per la lotta al cambiamento climatico. Nelle più rosee aspettative verranno definite degli obiettivi di riduzione delle emissioni, definite delle nuove azioni per adattarsi agli impatti del cambiamento climatico (la bellissima estate di San Martino appena conclusa ha raggiunto temperature di 10°C superiori alle medie del 71’-00’, bello stare in spiaggia ma la situazione è a dir poco preoccupante).
Parigi però è anche parte della soluzione che dobbiamo mettere in campo per fronteggiare il terrorismo dell’ISIS. Proviamo a capire perché e come. Per farlo dobbiamo tornare un po’ indietro con il tempo. Possiamo sostenere che una spinta decisiva alla nascita del Califfato e del suo esercito, sia venuta dalle difficoltà nella transizione verso la democrazia dei paesi coinvolti nelle primavere arabe, oltre che dai conflitto oramai ultra decennali in Iraq e del popolo curdo per la sua indipendenza.
Vorrei però soffermarmi sulle rivoluzioni arabe, ed in particolare sull’evento scatenante. Il 17 Dicembre 2010 un panettiere tunisino Mouhamed Bouazizi si da fuoco in segno di protesta contro i soprusi del suo governo ma anche perché impossibilitato nel fare il suo lavoro, infatti in quei giorni il prezzo del grano e della farina aveva raggiunto un prezzo talmente elevato da rendere impossibile la sua trasformazione in pane. Perché il prezzo del grano era salito così tanto? Anche qui dobbiamo dare uno sguardo ad una serie di eventi accaduti a cavallo tra il 2009 ed il 2010. Nel 2009 una forte siccità, dovuto con molte probabilità all’intensificarsi del cambiamento climatico, colpisce il primo produttore al mondo di cereali, gli USA. L’impatto è devastante sul mercato, una riduzione del 30% della produzione americana fa incrementare i prezzi a livello globale. Nel 2010 un duplice evento colpisce la formulazione del prezzo dei cereali come di altre commodity. Un’ondata di calore anomala – conseguenza del clima impazzito – affligge la Russia. Le immagini televisive raccontano di Mosca e San Pietroburgo avvolte delle fiamme, la steppa russa invece arida, secca. Il secondo produttore al mondo di cereali vede una riduzione del 20% della sua produzione. Nello stesso anno ad Aprile (2010), il più grande disastro ambientale dell’ultimo secolo si materializza nel Golfo del Messico. La BP durante le operazioni di esplorazione petrolifere nei fondali del Golfo, provoca per un azzardo tecnologico, una fuoriuscita di greggio capace di modificare oltre che l’ecosistema dell’area anche il prezzo del greggio sul mercato globale.
L’incremento del prezzo del greggio provoca un’ulteriore incremento del prezzo dei cereali, in quanto moltissime commodity di prima necessità sono vincolate nella formulazione del loro prezzo al prezzo del petrolio. Sono anche questi tre disastri climatici ed ambientali, avvenuti nell’arco di 24 mesi, a portare un povero panettiere tunisino ad un gesto disperato. Ho voluto raccontare questa storia per provare a dare una chiave di lettura differente alle azioni da intraprendere dopo gli attenti di Parigi e verso la COP21 di Dicembre. Parte della risposta da mettere in campo per ristabilire la pace nel mondo arabo, come in altre zone di guerra del pianeta, passa attraverso la riconversione ecologica delle nostre economie e la lotta ai cambiamenti climatici. Se a Parigi saremo capaci di mettere in campo un accordo globale che impegni i paesi a mitigare i rischi derivanti dai fenomeni di siccità e dalle ondate di calore sempre più frequenti, intervenendo in una corretta gestione della risorsa suolo ed in pratiche resilienti in agricoltura. Se investiremo finalmente in modo convincente e globale sulle fonti energetiche rinnovabili, per evitare azzardi di esplorazioni petrolifere nel golfo del Messico come nell’Artico. Se riconoscessimo davanti ai mass-media e all’umanità intera che molti dei conflitti nati in giro per il mondo negli ultimi decenni sono stati causati anche dal cambiamento climatico, come più volte ricordato dal Presidente Obama nel caso della Siria, colpita a più riprese da forti siccità. Se ci ricordassimo che molti dei profughi in arrivo sulle coste europee del mediterraneo devono essere chiamati profughi climatici e non immigrati. Se saremo capaci di fare questo riusciremo a dare una risposta ad eventi violenti non con la violenza dei bombardamenti ma con la concretezza di risposte sostenibili e resilienti. Perché la resilienza è un più attraverso un meno, ripartiamo da Parigi il 12 Dicembre, con una manifestazione ordinata e colorata, capace di trasformare il dolore in energia propositiva. Non restiamo senza parole.
pubblicato su: Lenius.it
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Daniele