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Lunedì, 18 maggio 2015

Dagli studenti, professori e lavoratori della scuola buone proposte sulla scuola. Renzi perché non le ascolti?

bari

Il premier, camicia, lavagna e gessetto, dice di voler discutere seriamente, senza ideologismi, di come cambiare la scuola. E lo fa, giustamente smentendo un po’ dei suoi corifei. Non è una riforma sono solo alcune misure concrete per rendere la scuola migliore. Cambia i toni- lo sciopero e la mobilitazione a qualcosa servono!-guardiamo se cambia la sostanza.

Ammette che la buona scuola esiste già, e la evoca attraverso alcune figure ad effetto. Ma trascura il fatto che quella buona scuola reale ha prodotto in questi anni proposte e pratiche di cambiamento, che il Premier non prende in considerazione. Ancora una volta parla delle sue proposte, e non prende in seria considerazione quelle degli altri. Come se il problema fosse di comunicazione dei suoi e di scarsa capacità di comprensione di chi si oppone. In realtà la buona scuola reale che si è messa in movimento non solo ha capito, ma ha avanzato anche proposte che il Premier ancora una volta non prende in considerazione. Quanto segue è un tentativo di raccoglierle e di sintetizzarle.

ALTERNANZA SCUOLA LAVORO:

Di questo hanno parlato soprattutto gli studenti. La vogliono, in tutti gli ordini di scuola. Ma vogliono che avvenga su un progetto della scuola, estesa a tutti i lavori e non solamente alle imprese-e su questo il disegno di legge registra qualche avanzamento rispetto al documento originario- , e con uno statuto degli studenti in stage che definisca i loro diritti, i tempi della formazione, e quali sono le imprese in grado di fornire loro un’occasione formativa reale, che accresca davvero le loro competenze e la loro occupabilità. Imprese che rispettino l’ambiente e la salute dei lavoratori, lontane dai circuiti della criminalità e della corruzione, che siano ambienti di apprendimento perché fanno formazione permanente dei loro lavoratori, e che non pratica l’usa e getta dei lavoratori. Che l’alternanza posa di per sé generare più occupazione giovanile non ci credono. Pensano all’alternanza come a un modo per rafforzare nelle imprese e nella società la cultura dei diritti e la qualità del lavoro. Attendono su questo una risposta.

IINSEGNANTI E DIRIGENTI.

Il recupero della dignità sociale e professionale del personale della scuola ha bisogno di una cosa semplice, che si rifaccia il contratto di lavoro che intanto cominci a recuperare il potere d’acquisto che in questi anni senza contratto gli insegnanti hanno perso. E il contratto è la sede giusta per affrontare anche il tema della valorizzazione della professionalità insegnante. A partire da un principio. La sviluppo della professionalità insegnante non è una gara. La competizione il buon insegnate la fa con se stesso e in cooperazione con gli altri. Ma Renzi non sa rinunciare all’idea della valutazione come competizione. Abbandonata l’ipotesi, davvero surreale, di una valutazione per premiare scuola per scuola i due terzi, che più che altro puniva il terzo che ne rimaneva fuori, si è passati ai 200 milioni per premiare i pochi, fino al 5% per scuola, che il Dirigente, aiutato o meno da un comitato di valutazione, considererà migliori . Se lo sviluppo professionale è migliorare la propria capacità di insegnare e di apprendere, di contribuire all’attività di ricerca e sperimentazione, che è decisiva per caratterizzare una scuola come scuola dell’autonomia, e di partecipare alle attività di formazione permanente necessarie a questi scopi, questo sviluppo deve essere consentito a tutti. Si potrà poi valorizzare l’assunzione di responsabilità collegiali, dal coordinamento dei dipartimenti e al coordinamento della didattica per il Collegio dei docenti, e di attività aggiuntive funzionali al progetto di scuola, dall’orientamento, alla gestione delle biblioteche, alle attività di tutoraggio degli studenti in alternanza, alla cura dei giovani insegnanti. Attività che sono interne al profilo professionale di tutti, , ma che non possono essere svolte da tutti. Attività che non possono che essere definite dal Collegio dei docenti. Su questa idea dello sviluppo professionale, rinunciando all’idea del Dirigente come preposto a sorvegliare e punire, e ritornando alla idea, che era del resto quella della legge dell’autonomia continuamente richiamata, del dirigente come leader educativo, che orienta e rende esecutive le deliberazioni del collegio e del Consiglio d’ Istituto, che sarebbe possibile aprire un confronto con i sindacati e superare l’anzianità come unico criterio per la progressione economica.

LA FORMAZIONE DEI DOCENTI.

E’ evidente a tutti che la qualità della professionalità docente dipende in primo luogo dalla formazione iniziale. Ci sono su questo ritardi da recuperare e cattive pratiche da rimuovere. Una situazione la cui responsabilità non può essere certo attribuita a coloro che nella scuola sono entrati in questi anni e hanno fatto i percorsi abilitanti che soni stati loro proposti. Occorre per farli entrare i ruolo un piano poliennale che faccia i conti con i diritti maturati, ed eviti la “soluzione finale”, il dentro- fuori che oltre tutto esporrebbe, vista la sentenza della Corte di Giustizia europea , a una catena infinita di ricorsi, col rischio di far fare ai Tar e ai tribunali il reclutamento reale. Ma intanto si potrebbe accompagnare l’ingresso in ruolo di qualche migliaio di precari, che di questo si tratta e non di assunzioni, perché gli interessati lavorano nella scuola da anni, con un progetto f di formazione intensivo, volto a preparare chi entra in ruolo alla cultura e alle pratiche dell’organico funzionale. Si, della cultura dell’organico funzionale, perché se non lo intendiamo come un semplice tappa buchi l’organico dovrà servire a superare la rigidità delle classi e della lezione frontale, ad allungare e ad arricchire il tempo scuola, a collegare la scuola con il territorio, ad aprire la scuola ai cittadini come sede di formazione permanente, a rendere più fluidi i confini tra le discipline, e sarà necessaria una formazione specifica e mirata. E a questi scopi dovrà essere finalizzata la formazione degli insegnanti del futuro, prendendo atto che l’Università così com’è non è stata e non è in grado di svolgere questo compito, che occorre pensare a facoltà per l’insegnamento in cui si valorizzi la ricerca e gli insegnanti che nella scuola fanno ricerca. Anche questo potrebbe essere un solido terreno di sviluppo professionale.

AUTONOMIA SCOLASTICA.

All’autonomia scolastica il mondo della scuola ci crede quanto e più di Renzi. E vorrebbe che fosse ripristinato nelle sue quantità originarie il fondo a sostegno della progettazione dell’offerta formativa delle scuole, depredato negli anni dai governi. E che le scuole autonome fossero scuole decenti e pulite. Sono un pò stanchi, insegnati, studenti, personale tecnico e amministrativo, di sentire annunciare miliardi per l’edilizia scolastica e di non vedere succedere niente. Anzi, veder diminuire persino le risorse a disposizione della manutenzione ordinaria per il modo un po’ improvvisato in cui sono “evaporate” le Province. Vorrebbero che ci fossero risorse esplicitamente dedicate alla riduzione del numero di studenti per classe. Gli studenti dell’ UDS pongono poi un tema di assoluto rilievo. “Autonomia non vuol dire autarchia”. L’autonomia scolastica funziona se si collega alla molteplici occasioni formative e culturali presenti nel territorio. Se vive in un territorio che vede in essa l’investimento fondamentale per il proprio futuro. Del resto una recente ricerca delle Fondazione Agnelli ci dice che i risultati delle scuole dell’autonomia sono segnati da quanto investono gli enti locali su di esse. Soprattutto dai comuni. Non solo soldi, ma azioni mirate a mettere in rete le scuole fra di loro e c collegare la scuola ai centri culturali presenti nel territorio, all’associazionismo che fa mediazione culturale e che è elemento indispensabile nei percorsi interculturali. La scuola dell’autonomia misura anche la capacità delle città di essere città educative. Di questo non c’è traccia nel disegno di legge, e i tagli agli enti locali rischiano di privare le scuole di risorse preziose. Come del resto non c’è traccia delle Regioni, se non per qualche rituale e dovuto riferimento alla Conferenza Stato Regioni , ma alle Regioni spetta, a Costituzione vigente, il compito della progettazione dell’offerta formativa complessiva a livello territoriale, con il problema delicatissimo del raccordo con la formazione professionale. Tra i dirigenti scolastici e il Ministero c’è il vuoto. Il disegno di legge fatto per rafforzare l’autonomia ci presenta un sistema scolastico anco più centralista.

IL DIRITTO ALLO STUDIO EIL CONTRASTO ALLA DISPERSIONE SCOLASTICA.

Sul diritto allo studio si promette un decreto delegato, che dovrebbe finalmente fissare gli standard minimi a cui le diverse Regioni, a livello di trasferimenti e di servizi, dovrebbero attenersi. Ma non sono stanziate le risorse per renderlo effettivo. Eppure sappiamo che la crescita dei bambini e dei ragazzi poveri, soprattutto nel Mezzogiorno, è causa primaria della dispersione scolastica. Che è la grande assente del disegno di legge. Bonus fiscali e 5 per mille alle singole scuole aumenteranno ancora di più le disuguaglianze fra le scuole frequentate dalla famiglie benestanti e quelle della povera gente, vista la dischiarata impossibilità da parte del Governo di mettere in campo le risorse per finanziare in maniera adeguata l’insieme delle scuole dell’autonomia sull’intero territorio nazionale. Il bonus fiscale- tolto di mezzo il 5 per mille che rischia tra l’altro di entrare in concorrenza con le risorse che dal 5mille ricavano le associazioni impegnate nel sostegno alla ricerca e nel contrato alla povertà- dovrebbe essere riservato a un grande progetto nazionale contro la dispersione scolastica, a sostegno delle scuole più direttamente impegnate su questo fronte.

LE RISORSE ECONOMICHE.

Ma è proprio sul fronte delle risorse che non si fanno le scelte necessarie. Le spese per l’istruzione in Italia non arrivano al 4% del Pil, di fronte ad una media europea del 6%. E le proiezioni sulla base del DEF preannunciano una ulteriore contrazione. Il governo italiano dovrebbe essere il capofila di una seria azione politica, del resto più volte annunciata dai parlamentari europei del PSE, per togliere dal patto si stabilità le spese per l’istruzione. Un’azione politica che è stata purtroppo palesemente assente dal semestre europeo di Presidenza italiana.

NON C’E’ CULTURA, NON C’E’ DIDATTICA.

Tanti buoni insegnanti italiani, con le loro associazioni professionali, in prima fila il CIDI e il Movimento di Cooperazione educativa, si sono impegnati i n questi anni per ripensare e rendere coerente il percorso scolastico dei ragazzi dalle scuole dell’infanzia alle superiori. Per superare i salti tra i diversi ordini di scuola- nei salti com’è noto i più deboli cadono-, per costruire ponti nei passaggi, per superare in percorsi coprogettati le divisioni fra le discipline, affrontando nel concreto dei processi di insegnamento il rapporto fra cultura scientifica ed umanistica. E per rendere magari effettivo l’obbligo a 16 anni nella scuola inventando e sperimentando percorsi innovativi. Di questo non trovano traccia nel provvedimento del Governo, se non per l’aggiunta e il rafforzamento di alcune materia- la musica, la storia dell’arte- certamente sensato, ma non destinato a produrre risultati se non è contestuale a un ripensamento dell’intero impianto formativo. La secondaria superiore che è il nodo più debole e diseguale, secondo tutte le rilevazioni internazionale, del nostro sistema educativo, resta sostanzialmente immutata. La buona scuola reale che ha lavorato in questi anni ha l’impressione, leggendo il disegno di legge, che niente di quel che ha fatto e innovato sia arrivato alle orecchie di chi li governa.

EDUCAZIONE DEGLI ADULTI.

E’ dell’anno scorso la presentazione del rapporto OCSE sulle competenze degli adulti in 29 paesi. L’Italia, quella che secondo il Presidente del Consiglio dovrebbe diventare una superpotenza culturale, si colloca in tutte le graduatori fra l’ultimo e il penultimo posto. Il lavoro, se è povero e precario, fa perdere competenze, invece che acquisirne. Ci fu allora una qualche apprensione per quei dati, e i Ministri Carrozza e Giovannini convocarono una commissione di esperti, presieduta da Tullio De Mauro per affrontare il problema e per gettare le basi di un vero sistema di formazione permanente e di educazione degli adulti. Nel lavoro e nella scuola. Ma di educazione degli adulti nel disegno di legge del Governo non si parla. Le proposte degli esperti restano sulla carta. Del resto di formazione permanente non si parla nemmeno nel job act.

PER CONLUDERE.

Tante altre cose si potrebbero raccogliere dalle proposte del movimento che sta attraversando l’Italia in questi giorni di maggio. La scuola ha preso sul serio la centralità proclamata da Renzi. Ma è difficile che una discussione seria si possa riaprire nei tempi fissati per il dibattito parlamentare. L’unica soluzione possibile, se Governo e Parlamento vogliono davvero parlare con la buona scuola reale, è stralciare e approvare al più presto, con le dovute modifiche, la parte sul precariato e consentire una discussione seria e distesa sugli altri punti, partendo proprio dalle proposte che dal mondo della scuola vengono avanzate. E ritirare la mole enorme di decreti delegati previsti. Che tra l’altro sarebbero scritti, senza più una possibilità di confronto, proprio da quelli che hanno scritto alcuni dei veri e propri strafalcioni presenti nel disegno di legge che lo stesso governo è stato costretto a ritirare e a correggere.

 

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