Dove’è finito il coraggio tufese della solidarietà?
Il flusso ininterrotto verso l’Europa di esseri umani disperati provenienti dai teatri di guerra dell’Africa e del Medio Oriente per sfuggire ai bombardamenti, ai massacri, alle malattie e alle carestie è destinato a crescere e a durare ancora per molti anni. Non si tratta di una emergenza improvvisa e transitoria, ma di una nuova e lunga fase della vita civile del nostro continente.
Purtroppo però, nonostante il dichiarato orientamento solidaristico, l’Italia sta dimostrando di affrontare questa sfida con le sconcezze di “Roma Capitale”, e i gravi fatti recenti che hanno interessato la nostra provincia con la chiusura di dieci centri di accoglienza da parte della Procura della Repubblica di Avellino ne sono l’ennesima conferma.
In assenza di un Piano provinciale di equa distribuzione degli arrivi nei vari paesi in rapporto al peso demografico di ognuno, è prevalsa l’idea di affidare ai soggetti vincitori delle gare di appalto dei servizi di ospitalità ed assistenza il compito di reperire le strutture sull’intero territorio.
Purtroppo le istituzioni locali, in moltissimi casi, invece di mobilitare e coordinare le energie necessarie a governare questo fenomeno, hanno preferito calare la testa nella sabbia, lasciando che a decidere ogni cosa fossero le leggi della speculazione e del mercato immobiliare.
Anche da noi è successo che alcune cooperative, divenute affidatarie del servizio di accoglienza in seguito alla gara indetta dalla Prefettura di Avellino, hanno ottenuto la disponibilità di alcuni proprietari di abitazioni sfitte ed hanno pensato di collocarvi un numero di migranti che è parso a chiunque davvero esorbitante.
Ma è falso affermare che tutto è accaduto all’improvviso e senza che nessuno ne sapesse niente. Da almeno un paio di mesi circolava la notizia che alcuni nostri concittadini si stavano dando da fare per mettere le carte a posto al fine di poter concedere in affitto a questi scopi i loro appartamenti vuoti, e più di tutti doveva esserne informato il Sindaco Nunzio Donnarumma che, avendo assunto dall’anno scorso la veste anomala di Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale, aveva anche la funzione di accertare e certificare l’idoneità delle strutture.
Sarebbe stato opportuno che il primo cittadino convocasse per tempo delle assemblee pubbliche o dei Consigli comunali aperti per rendere la cittadinanza cosciente di questa situazione, per sollecitare una riflessione collettiva, per suscitare le energie disponibili ad aiutarlo ad affrontare con animo positivo questi eventi, per chiedere ed ottenere il sostegno necessario a contrattare con la Prefettura più giuste intese circa il numero e le modalità di ospitalità dei migranti.
Invece la sua prolungata inerzia ha provocato il diffondersi di un comprensibile sentimento di preoccupazione e – all’arrivo del primo gruppo di chiedenti asilo – la reazione scomposta e violenta di frange della popolazione che hanno manifestato atteggiamenti di feroce intolleranza del tutto inediti in questo piccolo paese dell’Irpinia. La successiva e precipitosa revoca del provvedimento attestante l’agibilità della struttura di Campetelle, che era stato emesso dallo stesso sindaco appena qualche giorno prima, ha solo aggiunto un tocco di ridicolo a tutta la vicenda. Tale decisione del resto è stata definita pubblicamente dal Prefetto di Avellino “quantomeno inopinata e incoerente”.
Così ci è toccato constatare che oggi Tufo ha paura del “diverso”.
Eppure in un passato non troppo lontano questa comunità ha vissuto esperienze di solidarietà che furono apprezzate in ambito nazionale ed europeo, con uno spirito costruttivo grazie al quale amministrazione e opposizione dell’epoca si ritrovarono unite nell’intento e nello sforzo di favorire il processo di integrazione e riabilitazione di una dozzina di persone detenute.
Purtroppo questo avanzato e condiviso spirito di civiltà solidaristica negli anni successivi è stato sacrificato alla ricerca ossessiva del consenso elettorale da parte di coloro che volevano sconfiggere la Sinistra, con la inevitabile conseguenza che sono andati smarriti forse per sempre quei valori che pur tra tante difficoltà erano stati comunque percepiti come nobile patrimonio identitario dei tufesi.
Sarebbe invece proprio dal recupero di quegli antichi modi di sentire che occorrerebbe ripartire se si volesse sinceramente ricercare un punto d’incontro tra le forze locali di ispirazione democratica per impedire che il fiume carsico del populismo irresponsabile, emerso in questa incresciosa vicenda dei migranti, si trasformi in un nuovo e duraturo pensiero dominante.
Per un paese che ha ben conosciuto nelle sue carni vive la storia dell’emigrazione, con i duri sacrifici all’estero di molti dei suoi figli che dovettero calarsi persino nelle miniere di carbone della Vallonia, a Charleroi a La Louvière a Marcinelle, sarebbe davvero una triste prospettiva quella di sbarazzarsi della propria memoria e di voltare le spalle a dei ragazzi capitati in mezzo a noi soltanto per fuggire da incombenti pericoli di morte e atroci sofferenze.