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Mercoledì, 22 luglio 2015

E se invece esistesse tra austerity e politiche pubbliche una terza via per la Grecia?

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Nei giorni caldi del negoziato tra UE e Alexis Tsipras la discussione a sinistra è sembrata centrata sulla grexit o sulla permanenza o uscita dall’euro, sull’illeggittimità delle istituzioni europee e sulla spietata determinazione della cancelliera Merkel o forse ancor più di Schauble o sul supposto tradimento di Alexis Tsipras. Nel frattempo seppur sullo sfondo di questa discussione tutta nostrana sono emerse alcune ipotesi di lavoro e di iniziativa politica che meritano di essere prese in considerazione. Tra queste la proposta di un piano “C” per la Grecia ripresa nei giorni scorsi in un interessante articolo pubblicato dal Guardian, sul fallimento dello sviluppo sostenibile e le alternative possibili al capitalismo. Facendo riferimento alle esperienze zapatiste, del municipalismo libertario-ecologista del Rojava, alle pratiche di autogoverno ed autogestione e conversione ecologica dal basso, gli autori rilanciano l’urgenza di una via altra rispetto all’austerity o alle politiche pubbliche di tipo keynesiano.

Propongono cioé di capovolgere i termini di riferimento. Sembra invece che la discussione, a sinistra o meno, sia viziata da un punto, quello di svolgersi dentro quel paradigma e quel modello o accettandolo o rigettandolo. Tertium non datur. Al contrario sarebbe forse necessario immaginare un’altra via. che immagina altri percorsi, di riappropriazione della cosa pubblica, di recupero di sovranità dal basso, non nazionale ma popolare, di autogestione e mutualismo. Insomma praticare resistenza e attuare pratiche di sopravvivenza, riscoprire il comune, i commons. Cosa significa questo in termini concreti?

Significa che se si vuole aiutare la Grecia e non solo, ma anche possibili esperimenti di rottura con il dogma dell’austerity, si deve passare dalla sua negazione alla costruzione di altro. E questo altro passa attraverso il ripudio del debito da una parte, e la costruzione di relazioni di mutuo soccorso e solidarietà dall’altra. Eppoi, perché non pensare che questa crisi non possa rappresentare un’opportunità? Ad esempio costruendo una proposta dal basso per un Green new Deal per la Grecia che faccia da esempio per tutti i paesi del Sud dell’Europa? Un Green new Deal che preveda un piano pubblico di conversione dei sistemi produttivi, la creazione di reti di produzione energetica rinnovabile e su piccola scala, rispettando la vocazione territoriale e la possibilità di costruire modalità di autogestione ed autoproduzione.

Eppoi come suggerisce la rivista the Ecologist, sostenere un piano di riforestazione e rimessa a dimora dei territori e dei paesaggi. Invece di rimanere ingabbiati nella logica dell’austerity, seppur negandola, spostare l’asse su altri concetti ed ipotesi. Quello dei diritti e dell’autodeterminazione, quello del mutualismo e dell’altra economia, quello della giustizia ecologica.

Sviluppare capacità e trasferire tecnologia pulita, non tecnologia per estrarre minerali o petrolio o per centrali a carbone. Ultimo punto: come far sì che da ciò derivi un impulso per un’altra Europa? Ancora, la via da perseguire è quella della riappopriazione degli strumenti normativi e giuridici da parte dei popoli attraverso una costituente dal basso, per un Trattato dei Popoli per l’Altra Europa, da costruire attraverso le pratiche di conflitto, resistenza e mutualismo.

Insomma, forse il punto vero è che oltre ad essere subordinata – volente o nolente – alla cultura dell’austerity, senza riuscire a immaginare un altro quadro di riferimento, tutta questa discussione resta imbrigliata in un conflitto tra pubblico e privato, tra finanza e politica. E così facendo viene tralasciata o messa in secondo piano la centralità di un approccio fondato sulla vita degna, sulla giustizia ecologica, sul recupero di pratiche mutualiste e dei “commons”. Temi che rischiano – ahinoi – di essere irrilevanti anche nel dibattito in corso sulla nuova sinistra nel nostro paese.

Per approfondire :

http://roarmag.org/2015/07/greece-plan-c-commons-solidarity/

Commenti

  • farncesco

    Scusi Martone, concordo sulla necessità di un approccio alla vita degna ed al recupero di pratiche mutualistiche (come ovviamente sulla necessità di un diverso approccio al tema ecologico), ma questo vale per tutti o solo per alcuni? La Grecia di cui oggi lei lamenta un trattamento ingiusto non esce da un terremoto o altro evento calamitoso non dipendente dalla volontà dei suoi cittadini, come non esce da una dittatura (non dipende infatti da quella avuta negli anni ’70 lo stato di crisi attuale) ma da una gestione quantomeno non oculata delle risorse da parte die suoi stessi cittadini per mezzo dei governi che essi stessi hanno democraticamente eletti. Certo aver sbagliato non equivale ad una condanna eterna ed è giusto che l’Europa sia solidale con i cittadini greci per aiutarli ad affrancarsi dalle loro difficoltà, ma parimenti occorre che i cittadini greci in primis si adoperino per rimuovere gli ostacoli e rimediare agli errori passati (anzichè pensare che con un no ad un referendum surreale si possano risolvere tutti i problemi), a partire dall’evasione fiscale diffusissima ed una gestione clientelare della pubblica amministrazione. O si pensa che se qualcuno produce un redditto allora questi abbia meno diritti e diritto ad una vita degna di chi pensa che in fondo sia giusto ricevere anche senza dare? Se tanti discorsi retorici sui diritti (da assicurare sempre e solo con il lavoro e l’impegno di altri) iniziassero con elencare ciò che prima deve impegnarsi a cambiare il soggetto della causa che peroriamo (rivolgendosi prima a lui anzichè accusare gli altri) sarebbe più credibile e probabilmente più ascoltato. Perchè a fare i generosi ed i difensori di diritti con i soldi e le fatiche egli altri siamo buoni tutti. Ed oltre ad essere ipocrita dubito anche che sia veramente di sinistra.
    Francesco l’altro