Egitto, piazza Tahrir 4 anni dopo si continua a morire
Sembrava ieri quattro anni fa. Piazza Tahrir piena zeppa di persone, una moltitudine che chiedeva la deposizione di Mubarak, il faraone. Ci siamo entusiasmati, abbiamo accompagnato con la mente ed il cuore quella piazza. A Madrid gli indignados occupavano Puerta del Sol, a New York Zuccotti Park, a Tunisi la Avenue Bourghuiba. Un grande slancio partiva dall’altra sponda del Mediterraneo. Giorni di tensione, confronti anche violenti, tra i mazzieri di Mubarak, e la folla,il popolo che prende la piazza, si fa potenza, sperimenta, prova, sull’onda delle mobilitazioni in Tunisia ed in altri paesi della regione, a costruirsi un futuro migliore.
Poi l’arrivo al potere di Morsi e dei Fratelli Musulmani, gli errori tattici e strategici, il voler prendere tutto e subito, islamizzare a forza il paese. Ed avvenne quello che era nell’aria. La piazza, almeno buona parte della piazza – anche forze di sinistra c’erano – chiede l’aiuto dell’esercito. Di quelle forze armate che sempre hanno determinato la storia dell’Egitto, non a caso controllano buona parte dell’economia, un potere nel potere, uno stato parallelo. Spietate come il suo generale Al Sissi. Il “tamarod”, la piazza ancora piena che chiede la testa di Morsi. Golpe o fase due di Tahrir?
A sinistra a suo tempo ci si è accapigliati anche sulla definizione degli eventi, in una discussione fine a sé stessa.Sono stati i fatti a dire che golpe fu, deposizione armata di un governo comunque eletto regolamente. Un golpe allora, un regime militare ora, che gode del sostegno delle cancellerie occidentali, inclusa la Farnesina. Intanto Al Sissi prende il controllo del paese, fioccano condanne a morte e processi sommari per i Fratelli Musulmani, Mubarak e suoi vengono riabilitati, la censura mette a tacere le voci critiche. Decine di migliaia di persone incarcerate. Lui tranquillo comanda prima dietro le quinte, inermi cittadini vengono ammazzati nelle strade del Cairo, e la comunità internazionale tace.
Oggi Al Sissi è presidente. Il nuovo faraone, è il nuovo alleato delle capitali occidentali, garante dello status quo tra Palestina ed Israele, scudo armato contro la minaccia del Califfato. Inteprete di un’ipotetico Islam moderato, dopo il suo discorso del primo gennaio all’università del Cairo. Un potere armato fondato su basi fragili, se è vero che anche i seguaci di Mubarak starebbero pensando alla maniera di disfarsene. Eppoi sotto la cenere cova la rivolta – come se nessuno avesse appreso dal passato più o meno recente, senza giustizia sociale ed economica (ma come può essere se i militari controllano gran parte dell’economia del paese?) le teste di ogni colore sono destinate a cadere. E lui il generale usa il pugno di ferro.
Così come in una nemesi storica coloro che erano scesi in piazza Tahrir per chiedere libertà oggi trovano la morte sotto il fuoco dei suoi sbirri nel tentativo di celebrare quelle giornate di quattro anni fa. Il volto morente di Shaima el Sabag poetessa attivista di sinistra tra le braccia del compagno resta lì a ricordare che ancora una volta realpolitik e interessi geopolitici prendono il sopravvento sui diritti umani. Non è la sola a cadere, sono una decina, tra cui un giovanissimo rapper Ahmed Mohsen. E noi nell’ebbrezza della liberazione di Kobane, e la vittoria di Alexis Tsipras rischiamo di cadere in una triste amnesia.
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Luca
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