Enrico, Matteo, lo zen e l’arte della manutenzione del governo
Il giorno dopo aver invocato per sé la Provvidenza, Enrico Letta si proclama zen. Sul piano delle scelte personali niente da dire, forse un po’ di eclettismo, questo sì, ma si può capire, sono tempi confusi e munirsi di talismani dà qualche conforto. Senonchè c’è questo particolare, che il nostro Enrico è, nel momento almeno in cui scriviamo, presidente del consiglio di un paese che figura, al tempo stesso, come il sesto tra i più industrializzati al mondo e insieme quello dove diseguaglianze e povertà divampano impetuosamente come da nessun’altra parte. Cioè un paese da corto circuito permanente. Per questo avremmo tanto preferito dicesse qualcosa del tipo: “sono keynesiano”, oppure “proporrò il reddito minimo garantito”, o anche “a questo punto ci vuole una patrimoniale”.
Insomma, sappiamo di essere esigenti, ma da chi ci governa vorremmo sapere se ha delle soluzioni circa la funzione pubblica che in quel momento sta assolvendo. Tocca dirlo, fin qui il suo governo, nato all’insegna dell’emergenza che mette insieme il giorno dopo forze politiche che il giorno prima si erano presentate agli elettori con programmi, alleanze e candidati premier contrapposti, ha galleggiato fino ad impaludarsi. Tolta, naturalmente, la scoppiettante vicenda dell’Imu che di questo governo finirà per essere la cifra più unica che rara, come per Monti gli esodati della Fornero. Ieri poi è successo qualcosa di unico nella storia politica moderna e contemporanea: Enrico Letta ha presentato il suo programma di governo proprio nel momento in cui, a detta di tutti e a cominciare da chi l’ha fin qui sostenuto, dovrà lasciare l’incarico. Un paradosso? Si, se ragioniamo politicamente. No, se ragioniamo zen. Perché da quel po’ che ne sappiamo il metodo zen, in sostanza un’arte meditativa che si compie stando seduti, ha il suo motto che recita: “Il vero vedere è quando non c’è più nulla da vedere”.
Dunque, se prendiamo sul serio l’adesione di Enrico al metodo zen e la poniamo in relazione alla sua responsabilità di uomo di governo, la coerenza la si trova tutta ed è, potremmo anche dire, provvidenziale. Ora succede che, nove su dieci, la “staffetta” del governo tra qualche ora passerà olimpionicamente a Matteo. Il cui programma è, sin dai tempi delle primarie, racchiuso in una chiara parola: “Adesso”. La riforma elettorale? Adesso. Lo job act? Adesso. L’abolizione del Senato? Adesso. La riforma del Titolo V della Costituzione? Adesso. Matteo, dicono tutti i giornale d’Europa, giurerà già domenica sera, cioè adesso. La lista dei ministri è già pronta. Mancano due sbavature: un programma e una maggioranza. Ecco, noi, siamo lì, in quelle due sbavature che vorremmo conoscere. Adesso.
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Alessandro Bucari
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Guido da Torino