Europa, la nuova “vecchia” governance ai nastri di partenza: tante le promesse ma la realtà è più dura
Il socialdemocratico Martin Schulz, presidente uscente dell’Europarlamento, è stato riconfermato all’incarico. La designazione è avvenuta nel corso di vari conciliaboli diplomatici e seguendo la ferrea logica degli accordi intergovernativi, che da sempre guida l’Europa.
L’elezione nell’Aula di Strasburgo è avvenuta già dalla prima sessione di voti, con 409 voti a favore, che sono più dei 376 richiesti per la maggioranza assoluta, ma meno dei 479 previsti. ll sostegno annunciato di popolari, socialisti e liberali avrebbe dovuto infatti consentire a Schulz di arrivare a quota 479. Ci sono state defezioni d’altra parte prevedibili, visto l’ampio ventaglio di forze politiche – vere e proprie larghe intese europee – che ha consentito a Schulz di essere riconfermato alla Presidenza. E’ la prima volta da quando il Parlamento è eletto direttamente dai cittadini dell’Ue che un presidente uscente viene rieletto.
Con la designazione dell’esponente del Ppe Jean Claude Junker alla guida della Commissione Europea – la nomina definitiva di Junker avverrà soltanto il 16 luglio, con l’elezione da parte del Parlamento – e l’avvenuta elezione di Schulz a presidente dell’Assemblea, la nuova mappa della governance europea sta prendendo forma nelle caselle essenziali, mettendo subito in luce sia gli elementi di continuità che ne contraddistinguono l’ispirazione politica e la logica strutturale – sovranità dei governi nazionali in quanto nazionali e sovra determinante egemonia tedesca – sia le contraddizione che la nuova composizione dell’Europarlamento porta con sé.
Gli euroscettici e gli euro fobici sbarcati a Bruxelles vorranno probabilmente far pesare la loro presenza, anche se la stampa italiana, al momento, pare intenzionata a mettere la sordina sugli aspetti problematici. Il semestre italiano impone un’atmosfera il più possibile positiva nei confronti di quello che, grazie a Renzi, siamo chiamati ad aspettarci dall’Europa. Un mantra. A proposito di governance va anche sottolineato che nulla è stato fatto da Renzi, come dagli altri capi di governo, per valorizzare appieno il voto degli elettorati nazionali collegato alla scelta del candidato alla presidenza della Commissione. Poteva essere un momento importante per una riflessione tout azimut sulla necessità di un processo di democratizzazione, di coinvolgimento popolare, di popolarizzazione della semantica istituzionale dell’Ue. Qualcosa insomma quanto mai necessario oggi per salvare l’Ue e rilanciarla. Invece anche questo passo è stato depotenziato subito.
I capi di governo hanno escluso senza tanti complimenti l’automaticità della designazione che ha perso subito significato e peso nella girandola di incontri e conciliaboli di Palazzo. E’ uscito Junker che aveva ottenuto più voti ma dalla porta dei governi non da quella degli elettori.
In gran Bretagna l’attenzione della stampa è massima proprio sui problemi e le contraddizioni di cui si va caricando la governance europea. C’è stata un’ostilità radicale a che il presidente della Commissione Europea fosse Junker che la designazione intergovernativa passasse al voto dell’Europarlamento. Il premer Cameron ha fatto di tutto per contrastare questo esito ma le convenienze europee sono state altre. Una sconfitta per Cameron e la Gran Bretagna sono pesanti soprattutto per ragioni interne, alle prese come sono con lo straordinario successo dell’eurofobico Neil Farage . Gli eletti del suo partito, l’Ukip, hanno voltato le spalle mentre nell’Aula di Strasburgo risonavano le note dell’Inno alla gioia che è l’inno europeo.
La stampa ipotizza ormai che la Gran Bretagna sarebbe oggi più vicina all’uscita dall’Unione Europea. Cameron è attaccato da tutti senza mezzi termini per la subalternità dimostrata nella trattativa sulla presidenza della Commissione e il Daily Mail lo chiama “il Rooney d’Europa”, riferendosi allo scivolone dell’Inghilterra ai Mondiali di Brasile. Ma è la maggior parte dei media britannici a essere su questa lunghezza d’onda, dal Times al Guardian, al Sun e a molti altri. I titoli battono sul disastro di Cameron, sull’uscita imminente del Regno Unito dall’Ue, sui conflitti irriducibili – per altro tali da tempo – della Gran Bretagna con l’Europa. Il Financial Times parla di “cambiamento storico di potere all’interno della Ue” e di “un momento pericoloso per le relazioni del Regno Unito con l’Europa”. Temono insomma il rafforzamento dell’Europarlamento che, se davvero avvenisse, minerebbe la logica strutturante della governance fondata sulla tecnocratica intergovernatività che domina Bruxelles.
In Europa si gioca una partita forse decisiva per la sopravvivenza della stessa Unione. L’assedio delle forze contrarie o scettiche non sembra fino ad oggi aver prodotto ripensamenti significativi in merito alle grandi questioni dei pareggi di bilancio, dei vincoli, delle necessarie modifiche che dovrebbero essere apportate perché il rilancio non sia soltanto un pio auspicio ma un programma concreto sostenuto da un altrettanto concreto impegno di chi in Europa può decidere. Il ruolo di Matteo Renzi rischia di essere, nei rapporti con l’Europa, soltanto una chicca di natura estetica. Il suo dinamismo, la sua determinazione, la sua grinta giovanile piacciono. Promette di cambiare tutto in Italia e gli fanno delle grandi pacche sulla spalle.
Una volta eletto, Schulz ha rassicurato il presidente del Consiglio italiano sul fatto che si darà da fare per trovare nel Parlamento europeo “un’ampia maggioranza nell’interpretazione più flessibile delle regole europee relative alla disciplina di bilancio”. Ma le voci contrarie si sono fatte subito sentire. Una sceneggiata che si ripete. Non sarà insomma un pranzo di gala, il tanto atteso ed evocato semestre italiano. Come non è tale soprattutto la prospettive più generale che si apre, in particolare quella riguardante il Trattato transatlantico sul commercio e sugli investimenti (TTIP), con gli Usa. Nelle negoziazioni già in atto con gli Stati Uniti, la Commissione Europea sembra infatti impegnata soprattutto nella difesa degli interessi del settore finanziario. Parola d’ordine? Indebolire la regolamentazione finanziaria su entrambe le sponde dell’Atlantico. Non c’ è da meravigliarsi. L’Europa della Troika rimane l’Europa della Troika. Cambiare davvero la cose rimane la scommessa. E anche questa, più del resto, non ha niente a che vedere con un pranzo di gala.
Nella foto a sinistra il futuro presidente della Commissione europea Jean Claude Junker e a destra il neo presende dell’Assemblea parlamentare Martin Schulz
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