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Martedì, 10 febbraio 2015

Fronti di guerra e l’incapacità dell’Europa

Russia

L’Europa è stretta tra due fronti di guerra, entrambi in piena ebollizione. Il primo è quello che va da Kabul a Tripoli, eredità, da una parte, dei disastri bellici che le guerra di Bush hanno provocato, con la frantumazione degli assetti mediorientali e la formazione dell’Isis, dall’altra delle nuove strategie di potere che, nell’attuale caotico contesto, animano élites e potentati del mondo arabo, contrapponendo sunniti e sciiti. Il terrorismo globale di ispirazione fondamentalista è parte integrante di queste vicende e, come i fatti dimostrano, ci tocca da vicino.

ll secondo fronte, che ha il suo focus direttamente sul territorio europeo, si concentra intorno alla questione ucraina, di cui le cronache da tempo sono piene. Esso mette a rischio la pace nel vecchio continente, come mai era accaduto dal secondo dopoguerra. Più pericoloso, l’attuale contesto, dei rischi che si sarebbero potuti ipotizzare durante la Guerra fredda, ha scritto Lucio Caracciolo alcuni giorni fa sulla Repubblica.

Oggi nell’Ucraina orientale, in particolare nel ribollente Donbas a ridosso del confine russo, si combatte un conflitto, sempre più al limite della deflagrazione totale, tra gli opposti nazionalismi fanatizzati del Paese: da una parte i filo-occidentali dall’altra i filorussi.

Ma i veri protagonisti del conflitto sono gli Stati Uniti e la Russia, con gli europei ridotti al ruolo di spettatori di una rischiosa escalation bellica, che l’Europa non ha saputo né prevedere né contrastare, e col ruolo chiave, ancora una volta, della Nato in supplenza di tutto, persino di quella visione di politica estera di cui l’Europa è priva e che l’assegna al ruolo subalterno di mediatrice in conto terzi, per non soccombere.

Si pagano oggi vecchie inadeguatezze europee, ritardi strategici e pigrizie intellettuali che si sono manifestate di fronte alle questioni nuove che i mutamenti storici via via sollevavano. Resta tra tutti, in particolare evidenza, la negativa scelta dell’Europa di non rimettere discussione, rinegoziandone i termini del rapporto con gli Stati Uniti, la funzione strategica dell’Alleanza atlantica, nel momento storico in cui la caduta dell’Urss faceva decadere le stesse storiche ragioni di esistenza di quell’Alleanza di fronte all’Europa.

La ricerca di una nuova vision strategica della Nato, nei vari summit che si sono succeduti dalla fine dell’impero sovietico, la sperimentazione sempre più azzardata di missioni “fuori area”, soprattutto quella in Afghanistan, per riprendere credibilità internazionale, il ruolo di surrogato dell’inesistente politica di difesa e relazioni col mondo dell’Europa: sono stati questi i terreni su cui la Nato, sotto il potente impulso statunitense, ha riacquistato ruolo e legittimità negli ultimi due decenni. La geopolitica di Yalta aveva definito le zone di influenza tra Usa e Urss. Oggi sembra di ritornare a quel punto, ovviamente in un contesto del tutto cambiato, ma, di nuovo, con la regia di fatto di primo piano degli Stati Uniti e il ruolo di antagonista degli Usa della nuova Russia.

E i campo in cui si misurano i rapporti di forza è di nuovo l’Europa.

Odessa & Slavyansk, Ukraine Map

Si sconta, in tutto questo, l’incapacità dell’Europa di costruire a tempo debito la “sua” politica estera – il ruolo di prestigio da operetta dell’Alto Rappresentante dell’Ue, al di là di chi lo ricopra, è fin quasi imbarazzante – pensando i modi di un passaggio politico, nel nuovo quadro determinato dai fatti dell’89, che rimettesse insieme gli interessi storico-strategici dell’Europa occidentale con la sua parte orientale, inventando le pratiche per gestire, secondo una logica di pace e amicizia, la complicata fase della transizione post sovietica.

E’ successo esattamente, fin dall’inizio, il contrario, con la strategia di rapido inglobamento delle ex repubbliche sovietiche da parte dell’Ue, che ha approfittato dell’iniziale debolezza di Mosca dopo la fine del regime sovietico, e l’ostile proiezione espansiva sul fronte orientale della Nato, con l’obiettivo di un suo massiccio rafforzamento ai danni della Russia. Non a caso oggi una delle ragioni che incendiano la questione ucraina è la scelta di entrare nella Nato, che Kiev è chiamata a compiere e vuole compiere, e che Putin vuole assolutamente impedire. Putin e il suo autoritario regime sono quello che sono ma l’Europa ha fatto del suo meglio per mandare in malora qualsiasi possibilità di far girare la storia da un altro verso.

Quanto sia temibile oggi rischio di una deflagrazione del conflitto ucraino, con tutto quello che ciò comporterebbe per la pace in Europa, lo dimostra d’altra parte la decisione del duo Merkel Hollande di occuparsi direttamente in prima persona della questione, andando all’incontro con Putin e Poroshenko, in programma in questi giorni (l’11 febbraio) a Minsk. Anche questa missione è un surrogato di una politica europea che non c’è, e fa seguito ad altre missioni dello stesso genere, sullo stesso argomento, i cui esiti non hanno portato a nessuna reale soluzione.

Secondo molti analisti militari e politici degli Stati Uniti, la questione ucraina non è per niente di natura contingente, tale cioè che la diplomazia degli incontri e dei vertici potrà davvero risolvere. C’è al cuore del conflitto, si dice a Washington, una precisa strategia politica da parte della Russia, che pensa, attraverso il sostegno alla parte filorussa dell’Ucraina, di giocarsi la partita della sfera d’influenza nella parte dell’Europa che ritiene di sua competenza. Al di là di come andranno i negoziati in questo periodo, una guerra resta latente, dicono ancora gli analisti del Pentagono, e potrà esplodere nei prossimi cinque sei anni. Ma gli analisti del Pentagono, parlando della Russia, parlano degli Usa. Infatti è egualmente una questione di zona di influenza quella che spinge La Casa Bianca, Obama in prima persona, a dire che gli Usa sono disposti ad armare Kiev per mettere fine all’influenza della Russia in quel Paese chiave. La natura delle questione ucraina è ormai squadernata e in Europa bisognerebbe parlarne chiaramente.

Non ci può essere Europa senza una visione di politica estera dell’Europa. Bisognerà pure prenderne coscienza, ma ormai forse è troppo tardi per tutto.

Molti Paesi europei, a cominciare dalla Germania e dalla Francia, con l’Italia al seguito e anche la Gran Bretagna, non vogliono che la scelta di armare Kiev venga fatta – per le evidenti ragioni di contiguità territoriale dell’Europa con le zone del conflitto e per gli interessi materiali in gioco. Ma la lega nordico-baltica (Svezia, Danimarca, Polonia, Estonia, Lettonia, Olanda, Norvegia e Lituania), è di tutt’altro parere, essendo estremamente ostile a concessioni e mediazioni con la parte filorussa dell’Ucraina.

Per Merkel e Hollande l’obiettivo immediato è soprattutto immediato, cioè fermare i combattimenti, prima che sfuggano completamente di mano, e l’Ucraina deflagri. Ma intanto l’Europa lascia che la Nato metta a punto nuovi dispositivi di rafforzamento tattico militare e allestisca la sua forza di intervento rapido, con l’intenzione in prospettiva di mettere rapidamente in campo 30,000 uomini. Questo mentre la Russia ammassa truppe speciale in Georgia e in Transnistria.

Le contraddizioni insomma fanno parte del risiko.

Il compromesso si potrebbe ovviamente trovare, se ce ne fosse la volontà. Forse più in là nel tempo si troverà, nello scambio fra l’integrità territoriale dell’Ucraina — salva la Crimea, ormai acquisita nell’orbita russa – e la rinuncia dell’ex repubblica sovietica a entrare nella Nato. E nella concessione di forme di autonomia per il Donbas e le altre regioni orientali dell’Ucraina e l’ apertura all’Ucraina dello spazio economico comunitario. Si vedrà, forse già da come andrà e se andrà l’incontro a quattro in programma a Minsk. Ma intanto i rischi restano acutissimi.

 

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