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Martedì, 8 marzo 2016

Gestazioni per altri: nel vociare scomposto io dico libertà

maternità

Quanti sproloqui, invettive, insulti, volgari dichiarazioni nei giorni in cui si è resa pubblica la paternità di Nichi Vendola e Ed Testa. Maschi preoccupati dello sfruttamento del corpo delle donne, del futuro dei bambini, dei destini di questa nostra società. Maschi così sensibili al tema dello sfruttamento che, quando si tratta di vedere cosa accade alle donne nelle nostre strade, nelle case e nei nostri campi, si voltano dall’altra parte. Fieri oppositori della povertà nel mondo, tanto da volerla respingere ai confini, ricacciarla nei teatri di guerra e di morte. Maschi che vogliono così bene ai bambini da invocare l’arresto dei genitori che li avessero avuti in un Paese nel quale la maternità surrogata è legale. Maschi che pontificano dal loro pulpito, grondante dell’innocenza violata negli oratori e nelle sacrestie. Maschi così concentrati sulla morale e sui valori sacri della famiglia da accorgersene solo quando si tratta di coppie omosessuali. Maschi tanto preoccupati dell’educazione del bambino da non riuscire a staccare l’occhio dal buco della serratura della camera da letto dei genitori.

È etico spaccarsi la schiena in un campo, perdere i denti a trent’anni per malnutrizione e lavoro. Business as usual. È etico affittare il proprio corpo e morire di silicosi in una miniera. Nessuno si scandalizzi se ci si guadagna da vivere soffocati da fibre d’amianto, se un bambino di cinque anni è costretto a lavorare in una fabbrica di mattoni, se facciamo affari con dittature sanguinarie. È etico bombardare civili inermi per conquistare un pozzo di petrolio, produrre armi da esportazione, lavorare per le fabbriche di morte. È etico vendere una compagnia aerea a chi finanzia Daesh. Ma la maternità surrogata no.

È vero che la libertà di scelta non può essere considerata in astratto, che essa è variabile di un contesto socioeconomico dato. Che non si è mai completamente liberi, se non lo si è dal bisogno. Ma se si supponesse la circostanza che una donna indigente liberamente decidesse che preferisce donare un figlio ad altri, impegnare il suo corpo e nove mesi della sua vita per emanciparsi dalla povertà. Se questa donna preferisse tale via piuttosto che “vendersi a padrone”. Cosa dovremmo dire noi, grassi occidentali, della sua scelta? Che diritto avremmo noi ed in ragione di quali valori universali?

E se per generosità, una donna volesse donare la gioia di un bambino a una coppia che non può concepire. Se ritenesse gratificante per sè esaudire questo desiderio, certo egoistico ma naturale, di paternità e maternità. Perché giudicare una donna che sceglie?

“Se lo fa autonomamente e consapevolmente, allora è nella sua libertà”, sono le parole di Ettore Cannavera, prete degli ultimi e di frontiera.

Nel vociare scomposto di maschietti isterici e spaventati, ho provato a fare ciò che consiglierei a ogni politico e a ogni maschio – innanzitutto di sinistra – prima di prendere posizione in curva sud o in curva nord. Ho provato ad ascoltare la voce delle donne. E ho capito una cosa: che vietare è sbagliato, che punire è folle, che comunque sia è sempre meglio essere liberi e misurarsi con una possibile scelta, consapevole e responsabile, con la propria coscienza ed i propri valori.

Commenti

  • http://detestor.blog.com/ Detestor

    Io l’ho ascoltata, la voce delle donne (perlomeno di qualcuna). Mi hanno detto tutte che la gravidanza è una faticaccia, e non lo farebbero neanche per soldi, figurarsi a gratis. Certo, se una donna non mangia, il parere cambia… …e noi, al posto di cercare di garantirgli un lavoro dignitoso, le diciamo di vendere l’utero?