Già decollati i primi Tornado britannici. Ma in Gran Bretagna cresce il partito contro la guerra
Dopo un intenso dibattito durato oltre 10 ore, il parlamento britannico ha votato ieri la mozione che autorizza il governo conservatore di David Cameron ad intervenire militarmente contro lo Stato Islamico in Siria. La House of Commons si è “divisa” 397 a 223 in favore dell’intervento.
Jeremy Corbyn ha guidato l’opposizione dei laburisti prendendo una posizione di netta contrarietà ai bombardamenti sulle città siriane occupate dal’ISIS. Una larga maggioranza di deputati laburisti ha condiviso la scelta del loro leader, che aveva concesso libertà di voto ai suoi in seguito alla defezione di alcuni ministri del governo ombra. Nel gruppo laburista 66 deputati (su 232) hanno votato a favore della proposta del governo, mentre 14 su 331 deputati conservatori non hanno appoggiato Cameron. La deputata verde Caroline Lucas e i 54 nazionalisti scozzesi si sono opposti insieme a Corbyn che ha dato voce a un sentimento di profondo scetticismo verso l’intervento militare in Siria che cresce ovunque nel Regno Unito.
Il voto porta a compimento il ribaltamento della politica estera del Labour Party, che con Blair leader e primo ministro, si schierò al fianco di Bush nella sua “guerra al terrore” nelle campagne in Afghanistan e Iraq. Nel 2003 quando il governo Blair chiese al parlamento un voto (blindato) sull’intervento militare in Iraq, Corbyn si oppose insieme ad altri 121 deputati laburisti, un numero quasi doppio di quelli che non l’hanno seguito nel voto di ieri, a testimonianza di un partito che sta seguendo la svolta di Corbyn (iniziata in parte anche con Ed Miliband, feroce critico della guerra in Iraq) più di quanto raccontato da molti commentatori.
Con la forza della sua storia, Corbyn ha potuto sfidare Cameron ricordando il forte mandato ricevuto per “rigettare 14 anni di guerre disastrose in Medio Oriente” che hanno permesso all’ISIS di crescere ed espandersi. Una posizione coerente e argomentata che riscatta il Labour dalla sciagurata stagione della guerra preventiva e illegale, che aveva lasciato enormi strascichi nel partito e tra i suoi elettori.
Proprio in virtù del trauma iracheno, il dibattito sulla Siria ha avuto un forte impatto emotivo all’interno del Labour Party, dove fortissime sono state le pressioni della base contraria all’intervento e del sistema mediatico prevalentemente a favore. Corbyn è stato determinato nel prendere una posizione chiara contro ogni intimidazione dei membri del parlamento, al contrario di Cameron che si è ripetutamente rifiutato di scusarsi per avere definito “simpatizzanti dei terroristi” chi aveva dichiarato che si sarebbe opposto alla mozione, scatenando l’ira anche dei laburisti “interventisti”.
Corbyn ha pronunciato un discorso molto deciso nella House of Commons in cui ha ricordato come prioritario sia il blocco dei flussi finanziari e di armi all’ISIS dei quali non si vede ancora traccia, e ha denunciato la totale mancanza di strategia nei bombardamenti in Siria, che rischiano di ostacolare i negoziati politici del processo di Vienna e non prevedono un piano per la stabilizzazione di un paese attraversato da un conflitto complicatissimo.
Cameron, al quale due anni fa il parlamento negò l’autorizzazione ad un azione militare in Siria contro il governo di Assad, propone stavolta di bombardare le forze dello stato islamico che si oppongono ad Assad, andando ad aggiungere i suoi caccia all’impresa militare della Francia colpita dagli attentati, che vede il tiepido supporto degli USA e dalla quale il Canada si è appena ritirato, in una missione che potrebbe durare anni.
Appena terminato il dibattito, i primi Tornado della Royal Air Force sono decollati per dare il via all’intervento militare britannico. Nel mirino sarà presto Raqqa, la roccaforte dello stato islamico nel nord della Siria, una città di 200 mila abitanti, dove sarà davvero difficile evitare vittime civili e dove si rischia di produrre un escalation di un conflitto che ha già prodotto oltre 250 mila morti e oltre 4 milioni di rifugiati. Una tragedia annunciata, l’ennesima incosciente avventura militare alla quale opporsi non (soltanto) per pacifismo, ma per quel che Jeremy Corbyn ha chiamato hard-headed common sense, cocciuto buonsenso.
Non ha futuro un’Europa che reagisce alla minaccia terroristica facendosi travolgere dalla sete di vendetta, rinunciando a costruire una visione comune su come risolvere i problemi del Medio Oriente in fiamme. Non ha futuro una sinistra, come la minoranza Labour o il governo socialista di Hollande, che si fa sedurre dallo schema della guerra alla barbarie, cadendo nel tranello del nichilismo islamista la cui propaganda non avrebbe presa senza grappoli di bombe occidentali su suolo islamico. Non ha futuro un continente che mostra solo i segni della paura e della rabbia, timido nell’offrire accoglienza alle masse in fuga da conflitti di cui siamo corresponsabili.
Per chi non vuole rassegnarsi alla ripetizione ossessiva degli stessi schemi fallimentari dell’austerità e dei bombardamenti preventivi, per chi ha ancora la passione, i valori e i principi per impegnarsi a costruire un futuro di speranza per il nostro continente, il cocciuto buonsenso di Corbyn è esattamente quello di cui l’Europa ha bisogno.
*Coordinatore Sel Gran Bretagna