Gli attacchi al lavoro e alla Costituzione: tappe di una vendetta sociale
Da oltre venti anni assistiamo a un attacco spudorato, violento, al mondo del lavoro e alla sua dignità, e che ha visto una spaventosa accelerazione negli ultimi anni, coincisi con l’affacciarsi sulla scena internazionale della più poderosa crisi economica registratasi dal Secondo Dopoguerra.
Un attacco studiato a tavolino e pianificato dai poteri forti, dalle lobby economiche, dalle banche e in generale dal padronato internazionale, con la complicità totale di governi fantoccio figli di una politica sempre più artificiale… cui va ad aggiungersi la totale subalternità dei grandi mass media, questi ultimi definitivamente assoggettati attraverso il tramonto di qualsiasi forma di autonomia: non è un caso se, il nostro Paese, si colloca al settantesimo posto di una classifica internazionale sull’informazione libera. Ecco come si è potuto consumare un tale sfregio al mondo del lavoro, dei suoi diritti, delle sue tutele e dei suoi protagonisti.
Dividi et impera: un motto vecchio secoli ma sempre attuale fra i potenti e le Lobby, che evidentemente poco gradito quelle conquiste dei lavoratori che hanno attraversato tutto il Novecento; che male hanno sopportato l’affermarsi di quei diritti che vanno dalla Costituzione Repubblicana – e dal contributo che la classe operaia diede durante la Resistenza antifascista –allo Statuto dei lavoratori, passando per tutte quelle tutele conquistate con sacrificio e spesso anche con lo stesso sacrificio della vita.
La crisi come opportunità di restaurazione da parte dei padroni: quale migliore occasione per attuare una serie di controriforme volte a colpire ancora una volta i più deboli? Quale migliore momento storico per fare i conti con quante e quanti hanno preteso di alzare la testa esigendo dignità? Tutto più facile quando è in corso una crisi, perché in essa i lavoratori sono più facilmente divisibili, perché più soli, più deboli… perché prevale in loro la paura, e quando agisce la paura, è più facile metterli gli uni contro gli altri: nei luoghi di lavoro come all’interno della società.
Si pratica così un protocollo sperimentato, quello della guerra tra poveri o, meglio, guerra degli ultimi conto i penultimi: il disoccupato contro il migrante o contro il precario; il precario contro l’operaio della catena di montaggio, che vede come ‘privilegiato’, anche quando va in cassa integrazione (e magari, nello stesso periodo, alcuni suoi compagni di lavoro sono costretti a straordinari indecenti), o quando conserva il minimo dei diritti. Il circo del ricatto che si riproduce continuamente, sempre con rinnovata violenza e sempre con ispirazione dalle peggiori pagine di storia patria: quando il ‘cafone-lavoratore’ era costretto a levarsi la ‘coppola’ davanti al padrone e al signore. Quando tutto questo non basta più, la famelicità è sempre in agguato, perché esiste pur sempre la delocalizzazione: altro strumento per rinnovare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il ricatto contro il lavoratore. E se pensate che sia finita sbagliate: perché nel protocollo della lotta degli ultimi contro i penultimi non poteva mancare la lotta generazionale tra lavoratori, disoccupati e pensionati.
È solo in questo quadro che ha potuto trovare – come ha trovato – attuazione lo scempio del Jobs Act. Che si badi bene: è solo l’atto finale di una decostruzione che ha conosciuto diversi attori e protagonisti. La battaglia contro i diritti del lavoro e la dignità dei lavoratori ha una storia, come si diceva all’inizio di questo articolo, oramai più che ventennale. Attacchi che ora vedono, nella distruzione della Costituzione Repubblicana solo l’atto finale, ma che ne frattempo ha dovuto conoscere tappe e ‘funzionari’ adeguati: dall’attacco alla scala mobile da parte di Craxi fino al Jobs Act di Renzi – passando per il pacchetto Treu e per gli “esodati” della ministra ‘piagnuccona’ di Monti – i tornanti dell’attacco non sono stati pochi. In questo excursus matura la vergogna dei vaucher e la meschina cancellazione dell’articolo 18. Ma per tutto questo serviva l’oblio della memoria, perché se memoria fosse ancora viva, si scoprirebbe come molte delle schifezze che ci impongono non sono proprio originalissime: si vada a consultare a tal proposito la Carta del lavoro varata nel 1927 dal fascismo.
Oggi però il gioco comincia a essere chiaro anche agli occhi di chi ha creduto alle menzogne nascoste dietro la narrazione di Renzi e dei suoi prodi. Le elezioni amministrative dimostrano che la favola del paese che cresce e di una sinistra – che della sinistra non conserva nulla, essendosi trasformata socialmente in una delle peggiori destre – al governo che risolve i problemi è oramai solo una favola… molto fantasiosa e, soprattutto, molto lontana dalle disperazioni sociali che le politiche messe in campo fin qui hanno prodotto. Che Renzi e il Pd non abbiano più nulla in comune con la storia della sinistra – anche solo quella moderata – è un dato che leggono anche i bambini. Questo però non significa che i problemi siano risolti.
Tutto quello che in questi anni di socialmente devastante è avvenuto trova responsabilità anche nella sinistra, che nel frattempo non ha saputo rappresentare quante e quanti andavano occupando i gradini più bassi della piramide sociale; di quante e quanti denunciavano il peggioramento continuo delle condizioni di vita nei luoghi di lavoro, ma anche nelle periferie abbandonate e degradate. Una sinistra che ha rinunciato ha rappresentare una pancia sempre più vuota, etichettandola come populismo; una sinistra incapace a parlare a coloro che non erano più in nessun luogo di lavoro perché posti ai margini e/o fuori dalle catene produttive… che ha frequentato lei stessa più i salotti televisivi che l’agire i conflitti che pure si producevano. Una sinistra capace di reagire senza tentennamenti e con forza, producendone le dimissioni, alle vergognose tesi dell’amministratore delegato di Enel – Francesco Starace – secondo cui in un’azienda «bisognerebbe creare malessere e poi colpire le persone che si oppongono al cambiamento in modo da suscitare paura nell’intera organizzazione».
Oggi di una sinistra che torni ad ascoltare e parlare a coloro che in questi anni si sono allontanati c’è urgente necessità, a patto che i disastri fin qui prodotti tornino a essere il suo primo obiettivo. Una sinistra che torni a mettere in capo alle sue priorità la questione sociale – lavoro e reddito e garantito – declinandola con un nuovo modello che metta al centro insieme la salute e l’ambiente. Solo se sarà capace di fare ciò risulterà utile.