I conti non tornano
Le scelte di Renzi seguono il corso delle politiche europee all’insegna di austerità e neoliberismo. Quattro sono i pilastri (ben evidenti nel Def e nella legge di stabilità) di queste politiche italiane ed europee: le privatizzazioni, la precarizzazione del mercato di lavoro, il sostegno agli investimenti privati (con l’assenza degli interventi pubblici) e la riduzione della spesa pubblica.
I quattro contro-pilastri di una politica di sinistra dovrebbero essere, all’opposto: la difesa e la valorizzazione dei beni comuni e del patrimonio pubblico; un piano del lavoro fondato sulla dignità ed i diritti delle persone; il ruolo dell’intervento e degli investimenti pubblici; la difesa del welfare e dei diritti. E insieme a questi, una politica di redistribuzione del reddito fondata su una politica di giustizia e progressività fiscale.
Le politiche europee — oltre ad essere profondamente sbagliate– non hanno funzionato e non stanno funzionando: dall’inizio della crisi la disoccupazione è aumentata mediamente di 5 punti ed il debito pubblico nell’eurozona è passato dal 65% al 95% sul Pil. Crescita non ce n’è, stiamo sempre ai confini della deflazione, l’occupazione resta al palo. L’austerità non è la soluzione, è il problema.
Le politiche italiane hanno seguito l’onda europea e anche queste non hanno funzionato: la disoccupazione è arrivata ad oltre il 12%, la capacità produttiva del paese è calata del 25% dall’inizio della crisi i poveri sono diventati oltre 6 milioni di poveri.
Nel frattempo Renzi ha dato tutto quello che poteva dare alla Confindustria (abrogazione dell’articolo 18, riduzione dell’Irap, sgravi fiscali, ecc.), ha cancellato i diritti dei lavoratori e ridotto selvaggiamente la spesa sociale.
Le strade da seguire? Né Jobs Act, né Sblocca Italia né Buona Scuola
Altre sono le strade che andrebbero seguite. Non abbiamo bisogno del Jobs Act (a favore delle imprese e della possibilità di licenziare), ma –come propone Sbilanciamoci– di un Workers Act, fondato sui diritti dei lavoratori e della buona occupazione. Non abbiamo bisogno dello Sblocca Italia (a favore dei petrolieri e dei concessionari di autostrade), ma di un vero Green Act, come sostengono le associazioni ambientaliste. Non abbiamo bisogno della Cattiva Scuola (che dà soldi alle scuole private e trasforma i presidi in datori di lavoro) ma della rigenerazione della scuola pubblica, come chiedono le centinaia di migliaia di studenti ed insegnanti scesi in piazza lo scorso 5 maggio.
Sono tre le mosse immediate– nei prossimi sei mesi– per un «programma minimo» per uscire dalla crisi.
1) Rimettere in discussione i vincoli dei trattati europei, liberando risorse pubbliche per gli investimenti (pubblici). Portando il rapporto deficit-pil al 4% –come in Francia– si possono recuperare almeno 20–25 miliardi da destinare ad un piano del lavoro fondato sugli investimenti pubblici, le «piccole opere» (lotta al dissesto idrogeologico, messa in sicurezza delle scuole) e un Green New Deal capace di alimentare nuove produzioni e consumi. Si tratta di una scelta anche di carattere strategico: bisogna uscire dalla crisi in un modo diverso da quello con cui ci si è entrati, cambiando il modello di sviluppo.
2) Investire nella scuola, nella ricerca e nell’innovazione e nel welfare –portando gli stanziamenti alla media dei paesi dell’Unione Europea– rispettando gli impegni presi con la strategia «Europa 2020». Senza investimenti corposi in questa direzione, non solo vengono meno i diritti sociali, ma anche la capacità di darsi una economia di qualità. Vanno stanziati almeno 5 miliardi di euro che si potrebbero recuperare tagliando del 20% la spesa militare, cancellando gli F35 e fermando la folle impresa delle grandi opere, Tav innanzitutto.
3) Serve un piano di lotta all’evasione e di misure per la giustizia fiscale finalizzato alla lotta alla povertà. Una piccola patrimoniale del 5 per 1000 sulle ricchezze finanziarie sopra il milione di euro e una autentica Tobin Tax (che colpisca tutti i prodotti e le transazioni finanziarie) potrebbero produrre 10 miliardi di gettito che andrebbero destinati a sostenere i redditi e le pensioni più basse. In questo contesto andrebbero costruite le fondamenta per l’introduzione di un reddito di cittadinanza universale
I soldi per queste tre alternative ci sono. Quella che manca è una visione politica orientata al superamento del paradigma dell’austerità, del modello neoliberista e –nello stesso tempo– la capacità (o la volontà) di liberarsi da un groviglio di interessi subalterno ai mercati finanziari, alle grandi imprese, alle rendite di posizione e monopoliste delle corporazioni di varia provenienza.
Si tratta di costruire allora le gambe di queste proposte alternative nella mobilitazione sociale di tutti i giorni, attraverso un’alleanza tra movimenti, buona politica, protesta sociale per «cambiare rotta» ad un paese che –con le politiche di Renzi– rischia di essere condannato alle diseguaglianze, alla precarietà e alla vittoria degli interessi di pochi. L’esito non è scontato, ma cambiare si può.
fonte il manifesto