Il cambio di passo del Labour party
Jeremy Corbyn è stato rieletto segretario del Labour a furor di iscritti, diventando leader indiscusso del partito che in questi giorni a Liverpool celebra il suo congresso. Alla prima elezione,aveva subito lo smacco della sfiducia d un rilevante numero dei suoi parlamentari, ed era stato criticato dalle élites di ogni dove, comprese quelle dello stesso Labour, schieratissimo ufficialmente per il “no”, per non aver contrastato a dovere il fronte favorevole alla Brexit. Sembrava insomma aver imboccato definitivamente e in poco tempo la via discendente. E invece le cose sono andate diversamente, e vince ricevendo un mandato plebiscitario, il 61% del voto totale contro il 38,2% che è andato al suo avversario Owen Smith, fatto scendere in campo all’ultimo momento dall’ala centrista del partito, impaurita dalla piega che avevano preso le cose. Un sacco di nuovi iscritti al partito, una straordinaria affluenza al voto per designare il segretario, un’impressionante numero di preferenze andate a lui. Un mandato definitivo insomma – a differenza del primo – che oggi apre una nuova e anche, bisogna dirlo, complicatissima fase per il Labour, e potrà avere influenza anche in Europa, non fosse altro perché si tratta di un partito che da Blair in poi è stato puntello della rivoluzione neoliberale e ha creato un malefico adeguamento della sinistra in tutta Europa. Il famoso blairismo osannato anche in Italia.
Corbyn insomma questa volta ha vinto alla grande ma vince non solo perché è una testa dura. Il carattere di incerta transizione della fase che viviamo è continuamente confermato anche dagli esiti inattesi di certe vicende, dall’improvviso esplodere di dinamiche che, apparentemente, mostrano il segno di altri tempi. Corbyn, un signore d’antan, capace di parlare solo ai suoi coetanei della perduta età dell’oro, quando la sinistra era sinistra? Ma il suo elettorato è anche giovane in realtà, di una certa fascia sociale di giovani, bisogna subito aggiungere, perché le categorie che fanno leva solo sull’età sono sempre ingannevoli, come chimere. Tutto quello che succede oggi – sia che sia ormai scontato, come la voglia di nuove frontiere o di nuove misure anti immigrazione, sia che sia inatteso, come la durissima e lunghissima straordinaria lotta dei lavoratori e delle lavoratrici francesi, che Hollande ha potuto sconfiggere con mosse da stato di eccezione – tutto è espressione del tempo che viviamo e delle molte crisi che assediano la contemporaneità. Crisi e tentativi di risposta a queste crisi. Può essere una risposta della classe politica che non sa dare risposte e cerca scappatoie – come fa il capo del governo italiano Matteo Renzi, che all’improvviso, dopo aver imposto tutti i “compiti a casa” richiestigli dall’Europa, anche quelli peggiori sul piano sociale e del lavoro, si gioca oggi la carta dell’euroscettico in chiave elettoralistica o comunque sperando in un facile guadagno di consenso in vista del referendum costituzionale. Ne ha fortemente bisogno e non sa che cos’altro fare. E ci sono, dall’altra parte, i tentativi di contro risposta da parte di quelle parti della società che sono stufe di dover continuare a subire. La Brexit è stata anche questo, soprattutto questo, perché determinante è stato il voto operaio, dei lavoratori da molto tempo costretti a subire la dura scuola neoliberista e dunque ostili all’Unione europea. Dai tempi della Lady di Ferro sanno infatti che cosa significhino le regole che negano qualsiasi deroga alla regola aurea della svalorizzazione del lavoro, dell’abbattimento del costo del lavoro, della riduzione dei diritti del lavoro. E dunque sono ormai disposti a dare i voti a partiti e schieramenti sostenitori della Brexit ma anche lo sappiamo bene, animati dai peggiori sentimenti dell’appartenenza identitaria, della xenofobia, del razzismo. Succede ovunque. In Italia non dovremmo meravigliarci. Ma la fuga dall’Europa appare ormai l’unica via di scampo, dopo decenni che le cose peggiorano e la vita sfugge, compresa quella dei propri figli e nipoti. Che non sia la risposta giusta, come illuministicamente in molte e molti diciamo, è forse ormai fin in troppo ovvio, Ma il problema è che bisogna trovarla, una risposta.
Il successo di Corbyn in qualche modo è una risposta, perché il nuovo segretario appare almeno lo strumento di quella risposta, o almeno un’ancora di salvataggio per provarci.
Non sarà facile per Corbyn spuntarla, a cominciare dal gruppo parlamentare, in gran parte votato alla fedeltà neoliberista, e da tutto il resto. L’ostilità delle élites politico-istituzionali del Paese, i media meanstream che non lo amano, e già pronosticano effetti negativi in rapporto all’elettorato, sondaggi a picco e sciagure di ogni tipo. E poi i ripiegamenti identitari, ostili all’ immigrazione, che segnano la base popolare del partito, fortemente indebolita tra l’ altro della sua componente operaia. E anche la necessità, nonostante tutto, di tenere insieme le varie parti del Labour per guadagnare nuova forza e credibilità. Questi e altri problemi che già ci sono o che usciranno fuori per strada. Si vedrà ma a me sembra che quella di Corbyn intanto si confermi una storia interessante per loro e per l’Europa. Una storia di risveglio, perché la sinistra toni a essere se stessa. Almeno ci provi.
Commenti
-
Alessandro
-
skanderbeg
-
Alessandro
-
skanderbeg