Il carattere politico del voto greco
Un cambio di approccio mediatico alle cose, intanto, che già fa la differenza. Siamo di fronte a un rapido processo di riconfigurazione dell’opinione pubblica europea, in Italia già evidente oltre ogni previsione. Forse perché da noi più che altrove, come una sorta di ancestrale vizio nazionale, piace saltare sul carro del vincitore. Magari solo per fare scena mediatica, ma intanto anche questo è sintomatico del cambio di atteggiamento mentale che si è avviato e che sarà difficile da qui in avanti rettificare indolormente.
Ciò che prima era soltanto sussurrato qua e là in modo incidentale – o sostenuto con veemenza soltanto da chi poteva infischiarsene o sopravvivere all’essere tacciato di populismo deteriore o di essere messo tra le file delle inutili anime bella di una sinistra testimoniale – adesso è la materia prima della caotica discussione che ha fatto seguito alla smagliante vittoria del no in Grecia. Adesso è chiaro che i sacrifici non servono a nulla, adesso le misure del rigore sono servite soltanto agli interessi della Germania, adesso la Baviera è la sentinella dell’affarismo teutonico, adesso l’asse franco-tedesco non può più decidere per tutti, adesso questa Europa non reggerà alla prova del malcontento popolare, che cresce da tutte le parti. E Bersani, con grinta improvvisa, adesso tacita l’economista ordoliberista amica di Angela Merkel, che in un talk show della solita 7, affollato dei nuovi dilemmi, si ostina a sciorinare le penitenziali ricette sull’efficacia del morire di rigore.
E altro, altro ancora, di senso e significato nuovo entra da tutte le parti del dibattito, mentre il premier Renzi è sparito dalla scena, dopo essere stato in scena all’ombra della Cancelliera, fino al giorno prima del referendum, e prono da sempre ai suoi desiderata. In sua vece sono comparsi nei momenti cruciali della giornata di ieri ma anche oggi soltanto pallide figure di quarta fila , incapaci di imbastire il benché minimo ragionamento né nel senso di difendere le politiche di ieri né di immaginare i passi di domani. Cade a pezzi il mantra che fino ad ieri occupava il chiacchiericcio mediatico sulle magnifiche sorti e progressive dell’euro. E riceve colpi la rappresentazione della Grecia allo sbando, prigioniera dell’estremismo ideologico di Tsipras, un “comunista”, oddio! come a un certo punto di una diretta di ieri sera, nel momento in cui la vittoria del no assumeva le proporzioni che sappiamo, ha urlato un preoccupatissimo Gaetano Quagliariello, noto altrimenti per l’aplomb britannico che lo contraddistingue.
E, questa mattina, una giovane corrispondete della 7 da Atene, Francesca Fanuele, chiarisce puntigliosa che in città non si avverte nessun clima di panico, che la vita trascorre tranquillamente, i servizi pubblici funzionano, la metropolitana va, piazza Sintagma, indicandola a alla sue spalle, è stato ripulita di ogni traccia della festa notturna. E aggiunge, con tono apparentemente casuale ma mica tanto, che i media italiani si sono dilettati a presentare in modo distorto la Grecia e quel popolo come fosse allo sbando. Le cose stanno diversamente e lei si esercita in un giudizio politico contro ciò che fino ad allora era stato sostenuto, nello studio televisivo, sul carattere confuso dei quesiti referendari. Nulla di confuso, dice, la gente che ha votato no ha voluto confermare idi aver fiducia in Tsipras, di sapere che lui farà il possibile per ottenere tutto il possibile. Sostegno tutto politico al premier. La tecnica del voto non c’entra nulla. Il messaggio infatti è univoco: vogliamo stare in Grecia ma cambiandola.
Il punto è infatti questo: il carattere politico del voto greco, la sostanza politica della mossa di Alexis Tsipras, e la partita politica iper politica che si sta cominciando a giocare chiaramente in Europa da ieri grazie a Tsipras e al coraggio di quel popolo. Le prime parole di Alexis Tsipras sono andate dritte al cuore del problema: la questione del debito da ieri sera è davanti all’Europa, piazza Sintagma è diventata il cuore pulsante non di un’Europa utopica ma di un’Europa in carne ed ossa, che scommette sulla giustizia sociale, la solidarietà e la democrazia dal basso come pratica non reiterativa di una democrazia rappresentativa alle corde, ma costituente di un destino in comune tra i popoli europei. Perché solo una democrazia diffusa su larga scala può innescare prospettive promettenti, se davvero vogliamo l’Europa, un continente denso di storia ma in cui si giocano anche differenze e diversità di grandissimo peso, tra gli Stati e il corpo sociale di ogni Paese, che hanno il carattere dell’attinenza al potere e ai poteri, alla ricchezza a disposizione di ognui singolo e alla collocazione sociale dei diversi comparti della società.
Questione di classe, questione dell’alto e del basso, per dirla con Podemos, che è un modo per ridare materialità incarnate all’ormai esangue modo di dire la parola sinistra. La cruciale questione del debito è ormai davanti a tutti in maniera stridente – come gesso che stride su antiche lavagne – sottratta all’esclusiva disponibilità delle élites finanziarie.
Questione invece di riappropriazione della decisione democratica, che è ancora il top di un agire politico degno di questo nome, che riapre il futuro perché il pensiero non conforme e il conseguente’agire del leader greco ha messo al centro esattamente la questione centrale. Da qui forse si può ricominciare, avendo ovviamente Tsipras come protagonista al tavolo delle trattative. Non al più come ospite alla porta. Questo sarà il dilemma delle socialdemocrazie europee sul che fare. Stefano Fassina ne ha giustamente decretato la fine proprio sulla vicenda greca prima, il giorno prima del referendum. Ma come sempre la partita è aperta o si riapre, quando entrano in gioco elementi nuovi di grande rilievo. È questa la possibilità che il referendum greco presenta all’Europa: la riconquista del futuro. Proprio gli Europeisti più convinti dovrebbero essergli grati.
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