Il Colosseo, il dito e la luna
Il terribile disagio causato da un’assemblea sindacale, convocata com’è d’obbligo tre giorni prima, ma malamente comunicata da chi di dovere alla città, ai cittadini e ai turisti, con le terribili ed evitabili ripercussioni su quanti quella mattina avrebbero voluto visitare il Colosseo, è diventato l’occasione per colpire e criminalizzare quanti lavorano nei beni culturali e ogni giorno garantiscono l’apertura dei nostri siti archeologici. Luoghi tanto decantati nei discorsi pubblici, quanto poco sostenuti e valorizzati nelle scelte politiche. “La misura è colma”, è stato detto. E questo ri-sentimento nei confronti dei lavoratori è rimbalzato di palazzo in palazzo. Da palazzo Chigi al Campidoglio, passando per il Mibact. Fino alla sottosegretaria alla cultura che si lascia sfuggire addirittura un’ipotesi di reato. La corsa era a chi si indignava di più per la figuraccia internazionale fatta fare alla città di Roma e all’Italia.
E di chi è la colpa? C’è qualcuno che, governando, pensa di assumersene le responsabilità? Non sia mai detto. La colpa è di chi osa riunirsi in assemblea perché dal novembre 2014 non riceve i soldi dovuti per il lavoro prestato nei pomeriggi e nei giorni festivi. Che lo Stato non paghi non fa scandalo. Che l’investimento in cultura continui ad essere minimo, lo 0,19% del PIL, cosa importa. Che si facciano le riforme dei ministeri e poi ci si preoccupi delle piante organiche, a chi interessa. Il problema del Paese si sa, sono i lavoratori. Quelli pubblici poi, signora mia, sono i peggiori.
Persino Gian Antonio Stella, noto per essere un fustigatore degli sprechi nel pubblico e dei fannulloni che vi si annidano, sulla colonne del Corriere della sera ha dovuto riconoscere che “scaricare la responsabilità dell’ennesima figuraccia agli occhi del mondo sui soliti custodi, i soliti sindacati, i soliti agitatori, però, è troppo comodo.” (Corriere 19/9/2015)
A voler essere buoni, è un po’ come guardare il dito e non la luna. Ma tant’è, e i giornali, salvo poche e lodevoli eccezioni, raccontano dei disagi subiti dai turisti, ma poco o nulla del perché della protesta.
A chi importa che gli addetti ai servizi di vigilanza garantiscano le aperture lavorando la maggior parte dei giorni festivi. Con il personale che c’è oggi si potrebbero tenere aperti i musei nei festivi solo fino ad aprile. I restanti otto mesi dell’anno la domenica sarebbe tutto chiuso. Ma per fortuna non succede, perché qualcuno in questo paese lavora, nonostante lo scarso riconoscimento sociale del proprio impegno e le offese continue da parte di chi governa.
La cultura diventa un servizio essenziale? E’ cosa buona e giusta se si sostanzia in un impegno che assume la cultura come priorità, ma la scelta fatta ieri dal governo ha più il sapore di una rivalsa nei confronti dei lavoratori. Ci auguriamo di essere smentiti, leggeremo il decreto. Vogliamo vedere investimenti conseguenti. La cultura va garantita con fondi e personale adeguato e non sfruttando e maltrattando i pochi che ci sono.
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Nando Sciampi
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francesco
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Maurizio