Il Consiglio d’Europa all’Italia: aborto troppo difficile, i medici non obiettori sono discriminati
Il Consiglio d’Europa rimprovera l’Italia perché, nonostante la legge 194/78, l’accesso ai servizi di interruzione volontaria è complicato. Lo ha affermato il Consiglio d’Europa, dichiarando “ammissibile” un ricorso della Cgil alla Corte sulla violazione dei diritti alla salute delle donne che intendono accedere all’interruzione di gravidanza (secondo le modalità previste dalla legge) e dei medici non obiettori di coscienza. “Le donne che cercano accesso ai servizi di Aborto -si legge nelle conclusioni- continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge”.
Il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa denuncia una situazione in cui “in alcuni casi, considerata l’urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un Aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture (rispetto a quelle pubbliche), in Italia o all’estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall’accedere ai servizi di Aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78”. Secondo il Comitato, questo tipo di situazioni possono “comportare notevoli rischi per la salute e il benessere delle donne interessate, il che è contrario al diritto alla protezione della salute”.
Lo stesso comitato ha osservato che il governo “non ha fornito virtualmente nessuna prova che contraddica quanto sostenuto dal sindacato e non ha dimostrato che la discriminazione non sia diffusa”.
La legge 194, a 38 anni di distanza, è ancora largamente disapplicata in varie zone del Paese, complice soprattutto l’alta percentuale di medici obiettori di coscienza che, in alcune aree, raggiunge il 90% del totale.
Secondo una relazione del Ministero della Salute dello scorso anno, in Italia 7 ginecologi su 10 si rifiutano di effettuare interventi di aborto volontario. Nel Molise sono obiettori il 93,3% dei ginecologi, il 92,9% nella PA di Bolzano, il 90.2% in Basilicata, l’87,6% in Sicilia, l’86,1% in Puglia, l’81,8% in Campania, l’80,7% nel Lazio e in Abruzzo.
Su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, solo 62 effettuano interruzioni volontarie di gravidanza. Solo il 65,5% del totale. Ma vediamo cosa accade in altri Paesi europei. In Francia tutti gli ospedali pubblici hanno l’obbligo per legge di rendere disponibile il servizio di interruzione di gravidanza. In Inghilterra è obiettore solo il 10% dei medici e tutti gli operatori che decidono di lavorare nelle strutture di ‘pianificazione familiare’ non possono dichiararsi obiettori. In Svezia il diritto all’obiezione di coscienza non esiste. Lì gli specializzandi ostetricia e ginecologia che pensano che l’aborto sia una scelta sbagliata vengono indirizzati verso altre specializzazioni.
Così davanti a una Legge nei fatti bistrattata e non applicata, Sinistra Italiana non tentenna:
«Adesso anche l’Europa riconosce che in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza è un percorso a ostacoli per le donne e che i medici non obiettori vengono sistematicamente discriminati. Finalmente. Da tempo Sinistra Italiana sostiene la stessa cosa. Il Ministro Lorenzin intervenga per garantire il diritto delle donne a poter scegliere liberamente e in difesa del personale medico non obiettore». Lo afferma la deputata di Sinistra Italiana Marisa Nicchi, componente della commissione Affari Sociali.