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Venerdì, 8 maggio 2015

Il decreto attuativo del Jobs Act cancella l’indennità per gli iscritti alla gestione separata INPS

inps

Storia di un’imprecisione divenuta fattore inumano di disuguaglianza. Accade nel tempo del renzian-riformismo: alleggerimento in salsa blairiana delle tutele per i meno garantiti, così da renderli più ricattabili e maggiormente disponibili a condizioni degradanti d’impiego. I soggetti in questione sono gli assegnisti di ricerca e i dottorandi d’Italia: figure a metà fra il soggetto in formazione e il giovane ricercatore precario. Parliamo di soggetti che hanno pagato il costo della crisi in maniera durissima: la IV indagine dell’ADI – Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca Italiani ha evidenziato come dal 2008 al 2014 il numero di posizioni di dottorato banditi dagli Atenei italiani sia calato da 15325 a 12338, con una perdita del 19%. Cala anche il numero delle borse, che passano da 8422 a 7075, con una perdita del 16%: nell’anno analizzato, solo il 57,2% dei dottorandi dispone di una borsa. In materia fiscale, il Decreto Ministeriale n. 45 del 2013 ha modificato il DM 224 del 1999, eliminando l’esonero dai contributi per l’accesso e la frequenza dei corsi: figure già fragili sono dunque sobbarcata da nuovi oneri fiscali, siano essi beneficiari o meno della borsa di dottorato. Una tassazione aggravata dall’assente modulazione del contributo sulla base del reddito, secondo una scelta compiuta da molte università del Paese. Dopo il conseguimento del titolo di Dottore di Ricerca, l’ADI ha calcolato che l’accesso (eventuale) al mondo della ricerca universitaria come RTD avviene solo dopo almeno 12 anni di precariato. L’età anagrafica minima in cui un titolare di dottorato con esperienza come assegnista o borsista di ricerca ottiene la stabilizzazione sono 40 anni.

Quanti sono dottorandi, assegnisti, borsisti dediti alla ricerca?

Sono stati calcolati circa 28 mila dottorandi, 15300 assegnisti di ricerca, 8 mila collaboratori di programmi di ricerca: il 50,9% di tutto il personale complessivo per didattica e ricerca delle università italiane. Definanziamento progressivo e blocco del turn-over hanno ingrossato l’esercito di soggetti ricattabili, su cui si regge una quantità vastissima di attività istituzionali delle comunità accademiche.

L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale aveva chiarito negli anni passati che sono iscritti alla gestione separata INPS i titolari di assegni di ricerca, così come stabilito dalla Legge n. 449 del 1997, art. 51 comma 6, i beneficiari di borse di studio per la frequenza dei corsi di dottorato di ricerca (Legge n. 315 del 1998, art. 1, comma 1, lettera a) con decorrenza dal 1° gennaio 1999; la disposizione è stata precisata con circolare INPS n. 101 del 1999) e quelli di assegni per attività di tutorato, didattico-integrative, propedeutiche, di recupero (ex art. 13, Legge n. 341 del 1990, precisato con circolare INPS n. 133 del 2003 e n. 88 del 2008) oltre ai dottorandi. In particolar modo, per questi ultimi, è sancita dalla legislazione vigente l’esenzione fiscale dei redditi percepiti ed un imponibile contributivo pari all’intero ammontare della borsa/assegno.

Oltre al danno della precarietà, ecco la beffa. Il Decreto Legislativo n. 22 del 4 marzo 2015 recante “disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati”, attuativo della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (il Jobs Act), ha posto in essere una indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata: all’art. 15, infatti, per un periodo transitorio ossia “in attesa degli interventi di semplificazione, modifica o superamento delle forme contrattuali previsti all’articolo 1, comma 7, lettera a), della legge n. 183”, è istituito un indennizzo rapportato “al reddito imponibile ai fini previdenziali risultante dai versamenti contributivi effettuati, derivante da rapporti di collaborazione [..] relativo all’anno in cui si è verificato l’evento di cessazione dal lavoro e all’anno solare precedente, diviso per il numero di mesi di contribuzione, o frazione di essi”. È la cosiddetta DIS-COLL.

L’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, attraverso la circolare n. 83 del 27 aprile 2015 “recante indennità di disoccupazione per i collaboratori con rapporto di collaborazione coordinata (DIS-COLL)” ha ripreso il testo del Decreto menzionato senza fornire una chiara interpretazione, ossia senza specificare se queste figure essenziali per la ricerca e la didattica delle Università (dottorandi e dottori di ricerca, borsisti e assegnisti di ricerca) fossero compresi fra i riceventi l’indennità. Giovani che hanno conseguito titoli di studio specialistici, de facto parte dell’organico di ricerca degli Atenei italiani, de iure figure in formazione senza un futuro mai perfettamente chiaro.

Eppure, il testo del Decreto indica chiaramente che fra i percettori dell’indennità figurano coloro che “a) siano, al momento della domanda di prestazione, in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 181 del 2000, e successive modificazioni; b) possano far valere almeno tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno solare precedente l’evento di cessazione dal lavoro al predetto evento; c) possano far valere, nell’anno solare in cui si verifica l’evento di cessazione dal lavoro, un mese di contribuzione oppure un rapporto di collaborazione di cui al comma 1 di durata pari almeno ad un mese e che abbia dato luogo a un reddito almeno pari alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione”. Ossia, come indicato al paragrafo 2.1 dalla menzionata circolare INPS, “sono destinatari della indennità DIS-COLL i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto – con esclusione degli amministratori e dei sindaci – iscritti in via esclusiva alla gestione separata presso l’INPS, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione”. Come riportato in una nota della FLC – CGIL, pertanto, “la Circolare non chiarisce i nodi principali: sono ammessi oppure no i parasubordinati che versano alla gestione separata INPS, ma hanno un contratto nominalmente diverso dal co.co.co. e co.co.pro.? E per quanto riguarda i comparti della conoscenza: sono ammessi oppure no assegnisti di ricerca, dottorandi e borsisti dell’Università e degli Enti di Ricerca? Queste domande, sorte all’indomani dell’approvazione del Decreto, rimangono identiche oggi”.

Attraverso l’impegno della parlamentare di SEL Alessia Petraglia, senatrice della VII commissione “istruzione e cultura”, siamo al lavoro con ogni mezzo per avere chiarimenti netti, espliciti e pubblici da parte del Ministero. Sarebbe ingiusto ed insensato che i giovani su cui poggiano in maniera decisiva attività strategiche delle Università italiane, già soggetti ad una precarietà continuativa, siano beffati con l’esclusione da questo strumento minimo di inclusione sociale.

*Dipartimento SEL Saperi

Firma la petizione online che FLC-CGIL e ADI-Dottorandi

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