Il documento approvato dall’Assemblea Nazionale di Sinistra Ecologia libertà
L’Europa ferita a Calais, a Ventimiglia, muta di fronte al corpicino di Alyan in fuga dal fronte di Kobane, lontana dalle bombe di Ankara, l’Europa delle vergogne appese sugli scogli di Lampedusa assiste silente ad un evento di portata storica, l’attraversamento di migliaia di persone in fuga da guerre e povertà. Evento che da un lato rafforza le paure alimentate dagli impresari del terrore e dunque dal fuoco razzista. Dall’altro la straordinaria vicenda dei cittadini viennesi accorsi in soccorso di una umanità in cammino ci consegna nuove speranze e nuove responsabilità. La storia si è rimessa in cammino, sulle gambe di un esodo in cerca di pane e futuro.
Una Europa che non riesce a cogliere il drammatico ritorno della guerra come strumento brutale di composizione di controversie tra Paesi e soprattutto come leva di un neocolonialismo nazionale che nutre i sogni di gloria e di egemonia dei governo di Russia, Francia, Gran Bretagna, Turchia e anche degli Stati Uniti. Il ritorno della guerra come unica politica capace di affrontare il groviglio medio orientale, scelte strumentali che, spesso, invece di combattere la pervasività e la forza dello Stato islamico, ne utilizzano il portato di terrore per regolare conti storici, come fa la Turchia in Kurdistan, o per cambiare le mappe geografiche e le sfere di influenza.
Una Europa matrigna che ha tradito il proprio compito storico e che assiste distratta all’apertura di questi scenari bellici senza neanche provare a svolgere la funzione di mediazione e dialogo tra le due sponde del Mediterraneo. Una Europa violenta anche verso i popoli che la compongono.
Come è accaduto in Grecia dove la vittoria straordinaria di Syriza ripristina uno spazio dialettico dagli esiti, tuttavia, ancora incerti. La partita che l’oligarchia europea a guida tedesca sta giocando contro la Grecia di Tsipras è ancora in corso ed è tutta politica, per nulla tecnica, ideologia pura, volontà di potenza per reprimere sul nascere qualsiasi contagio democratico.
Persino la razionalità tecnica avrebbe consigliato maggior cautela, come dimostrano le parole degli economisti Stiglitz e Piketty, su come mettere la Grecia nelle condizioni di pagare l’1,6 miliardi al FMI favorendo uno swap del debito con titoli BCE in cambio di bond dal fondo di salvataggio con scadenze più lunghe e tassi d’interesse più bassi. O la insistenza dello stesso Piketty sulla convocazione di una conferenza sulla ristrutturazione del debito. Solo per dire che le soluzioni tecniche esistono. Così come sul piano politico si aprono squarci nel granitico fronte dell’austerità, come dimostrano i sommovimenti che attraversano il mondo socialista dal Portogallo alla Francia fino alla stessa Germania.
O ancora meglio lo scenario inedito che la crisi finanziaria cinese offre per rovesciare l’assetto economico imposto al continente dall’austerità. La svalutazione dello yuan voluta da Pechino potrebbe aprire uno spiraglio per il rilancio di politiche espansive nell’Eurozona.
L’eurozona, sin qui, ha tentato una strategia di uscita dalla crisi identica a quella cinese: puntare al surplus delle partite correnti spingendo sull’export in modo sbilanciato rinunciando allo sviluppo della domanda interna. Una strategia vulnerabile e per nulla cooperativa, perché basata sui propri guadagni a scapito dell’altro, è fallita in Cina come in Europa.
E la piega distruttrice che ha preso l’Europa non c’entra con la moneta e la sovranità monetaria, non c’entra con il primato tecnocratico, c’entra con la politica, con scelte esclusivamente politiche. Oligarchiche e politiche. E non c’è salvezza nella inversione ad U che riconsegna l’orizzonte agli Stati nazionali. Meglio, molto meglio continuare a battersi sul terreno europeo, l’unico possibile, l’unico che può determinare una qualche inversione di tendenza di lunga durata. Magari prendendo sul serio l’elaborazione che ha portato i curdi, a cavallo del limes, ad abbandonare l’idea del potere connessa allo stato nazionale, avviando invece una rielaborazione straordinaria che pone l’accento sulla dimensione territoriale, la democrazia integrale e la cooperazione tra comunità, generi, vivente umano e non umano. Non comunità di destino né piccole patrie ma l’esercizio quotidiano dell’autogoverno e dell’autoeducazione al cambiamento, alla democrazia paritaria. Praticare l’orizzonte europeo significa partecipare a questa impresa rafforzando i presidi territoriali presenti in ogni singolo Paese.
La vittoria di Syriza alle elezioni con quasi due milioni di voti e oltre il 35% dei consensi è un’affermazione costruita nel tempo, investendo sulla credibilità di Tsipras e la presenza capillare del partito nelle pieghe della società. In barba a tutti i sondaggi più o meno interessati. I greci hanno dimostrato, ancora una volta, di volere il cambiamento e che non hanno alcuna intenzione di farsi governare da chi li ha portati nel baratro.
In questo contesto il protagonismo di Syriza e il coraggio del popolo greco hanno squarciato il velo dell’ipocrisia: un atto politico, democratico come il voto greco non solo sancisce che la sovranità popolare non è soggetta a nessun vincolo tecnocratico, ma apre un tenace scontro politico tra politica ed economia, tra democrazia ed oligarchia.
Così ha chiosato Alexis Tsipras, rivolgendosi alla piazza,
“Un mandato per la dignità del popolo, in Grecia e in Europa. Da domani inizia la lotta. Siamo duri a morire.”
Il terzo successo consecutivo in meno di un anno. Una sfida, la sua, contro la destra tecnocratica europea che ha provato ad umiliare la Grecia in ogni modo, e contro la sinistra incapace di fare i conti fino in fondo con il vincolo di popolo.
Tsipras e Syriza hanno riaperto la partita: oggi è possibile agire apertamente il conflitto contro un sistema economico che impone la diseguaglianza e che è stato raccontato come ineluttabile; contro coloro che in questi anni hanno fatto la guerra ai poveri invece che combattere la povertà. Contro l’oligarchia dei pochi per la democrazia dei tanti. Tsipras non si può dimettere dal suo popolo.
Per questo ribadiamo quanto già espresso in altri dispositivi:
“occorre una conferenza europea sul debito, non solo per la Grecia che ne ha necessità, ma per tutto il sud Europa. Serve un nuovo modello di sviluppo, basato sulla giustizia climatica, sui diritti del lavoro e di libertà.
Perché questo obbiettivo sia credibile è necessario rimettere radicalmente in discussione i trattati che hanno condannato l’Europa ad un puro spazio mercantile e contabile, incapace di uscire dalla crisi con politiche espansive e redistributive.”
In questo contesto e nel vivo di questa battaglia su scala continentale si colloca la possibilità di ridare forza e dignità alla politica e alla sinistra anche nel nostro paese. Il tema non è la fusione a freddo della galassia che è proliferata sulle divisioni, i risentimenti e il minoritarismo. Si tratta piuttosto di cogliere segnali di controtendenza che arrivano da diverse parti d’Europa.
Segnali, possibilità di una controtendenza capace di attraversare l’Europa scossa da una crisi di visione e di identità. Come il vento antirazzista che scuote muri e pensieri corti. Come la vittoria alle primarie Labour di Corbyn. Come Podemos in Spagna e il riposizionamento del socialista Sanchez sempre nella penisola iberica. Come in Portogallo dove il partito dell’austerity perde oltre 30 seggi e il Bloco de Esquerda, guidato da Caterina Martins e Mariana Mortágua, ottiene il 10,2%, riaprendo per questa via persino la dialettica per il governo del Paese da realizzare con i socialisti. Come le parole di papa Francesco a L’Avana sulla centralità della persona. Come l’importante conferenza di Parigi sul clima dove si concentreranno sul piano istituzionale e non movimenti e intelligenze pronti a battersi contro le scelte che determinano il riscaldamento globale e le emissioni di gas serra. Molti semi e qualche frutto capaci di dare fiato ad una battaglia che deve dispiegarsi sul piano europeo e anche in ogni singola comunità locale.
Come scrivevamo già a luglio
“si tratta di raccogliere i semi che quel vento può portare: semi di democrazia prima di tutto, ma anche semi di uguaglianza e di libertà da far crescere come originali e peculiari azioni politiche. Semi i cui frutti restituiscano al lavoro la dignità che le riforme imposte ai paesi del sud dalle istituzioni europee stanno distruggendo, cancellando diritti e tutele, desertificando il terreno del welfare tradizionale e sterilizzando le forme di nuovo welfare che sorgono spontaneamente come strategia di alternativa alla crisi, come auto-organizzazione, e anche nella forma di rivendicazione di futuro avanzata dai corpi sociali iper-precarizzati, figli del ventennio neoliberista.”
Contemporaneamente il governo Renzi porta a conclusione un primo imponente processo di controriforme, a partire da quella della scuola, dove l’etichetta ‘buona’ suona come un beffardo ossimoro, in un Paese in cui i processi di dequalificazione degli apparati formativi producono lo scandalo del sistematico definanziamento della ricerca e dell’università; il Job Act, dove l’ultimo presidio di lavoro tutelato trova un crepuscolo lungo tre anni o la recentissima approvazione del DDL Boschi che marginalizza il Senato e nel combinato disposto con l’Italicum fa saltare gli equilibri democratici e affida ogni decisione al premier.
Inoltre l’interruzione da parte di Confindustria delle trattative sul nuovo modello contrattuale sono un vero e proprio invito al governo ad intervenire unilateralmente sulla materia . Tale intervento non solo produrrebbe un taglio drammatico delle retribuzioni, ma renderebbe il ruolo sindacale del tutto irrilevante. Muterebbe la natura del conflitto sociale nel paese fino a renderlo marginale ed ininfluente.
La legge di stabilità,al di là della becera propaganda, non inverte la tendenza alla svalorizzazione del lavoro. Abbiamo il dovere, in sintonia con le organizzazioni sindacali, di promuovere una mobilitazione democratica al fine di provare a mutarne l’indirizzo. Si regalano risorse ingenti ai proprietari di grandi e lussuose abitazioni, ville e castelli e si nega la flessibilità pensionistica necessaria dopo le ingiuste misure della Fornero. Una miseria destinata ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego dopo anni di blocco dei salari e nessun investimento pubblico in grado di dare lavoro stabile e qualificato e magari mettere in sicurezza il territorio devastato dalle conseguenze dei mutamenti climatici. Si taglia sulla sanità pubblica e si porta incredibilmente, nel paese con il più alto livello di evasione e corruzione, la possibilità di utilizzo del contante da 1000 a 3000 euro in controtendenza rispetto a tutti i tentativi di contrasto dei fenomeni illegali e malavitosi. Non si sfugge all’odiosa considerazione che si privilegia la rendita immobiliare e finanziaria in danno del lavoro.
Dunque, il nostro giudizio sull’azione del governo Renzi rimane drasticamente negativo.
Per contrastare questo processo di chiusura di spazi democratici intorno alla verticale del potere che sostiene Renzi, Sel investe tutte le proprie forze, energie e cultura politica in un nuovo inedito processo. Un percorso fondato su cultura politica, processualità democratica e ambizione di governo, di alternativa di governo. Il centro-sinistra non c’è più, scassato dall’affermarsi di una interpretazione trasversalista, personalista e opportunista dello spazio di governo: spinta fin sulla soglia di una spericolata e inedita legittimazione dei fenomeni di trasformismo. E’ dunque a partire da questa novità e dentro questo quadro che si colloca la stagione delle prossime elezioni amministrative. Il voto in molte città tra le quali alcune delle più grandi e importanti del Paese rappresenta un passaggio di particolare importanza. In quelle elezioni si deciderà della vita delle città e di chi le abita ma contemporaneamente un voto di queste dimensioni assumerà il senso di un voto sulle politiche di governo della crisi e sulle loro conseguenze locali e nazionali. Per noi non si tratta di stabilire regole astratte che da Roma calino sui territori in modo automatico e meccanicistico. Consideriamo necessario difendere e lavorare per dare continuità a quelle esperienze che nel governo concreto delle città hanno saputo guadagnare le caratteristiche di laboratori politici e amministrativi. Proprio per questo però è necessario che, ovunque non si verifichino queste condizioni, l’impegno di Sel sia rivolto alla costruzione di percorsi innovativi e autonomi che, a partire da qualificate proposte di governo locale e dalla definizione partecipata di percorsi plurali, mettano in campo un punto di vista alternativo e competitivo.
Per farlo sarà necessario avere il coraggio dell’innovazione e del cambiamento, a partire da un grande lavoro di ricerca culturale e programmatica, autonomo e alternativo. La connessione tra saperi e politica, tra competenze e soggettività, da realizzare in un grande evento da mettere in scena entro dicembre. Evento preceduto da un primo passo fondamentale, l’unificazione dei gruppi parlamentari.
L’unificazione dei gruppi e l’iniziativa di dicembre come start up di un processo che dovrà inevitabilmente vivere sul territorio, nelle professioni, in ambiti tematici a noi cari, dall’ecologia ai beni comuni, dalla democrazia paritaria al municipalismo, dal lavoro dipendente all’economia collaborativa.
Non intendiamo dare vita ad un nuovo soggetto politico fondato su un meccanismo pattizio, di accordo tra gruppi dirigenti. Sempre nel dispositivo di luglio proponevamo un approccio diverso:
“la costruzione di un sentire comune e un’intenzione condivisa, quella di lasciare che si dispieghi l’intelligenza della partecipazione, della creatività sociale, della solidarietà concreta e quindi di una democrazia integrale capace di dare valore ai singoli e di costruire virtuose relazioni sociali.”
Avviare il processo con generosità e giocarsi l’eventuale contesa di linee nell’unico spazio possibile, quello dove vige una testa un voto.
Per questo proponiamo a tutte le personalità e le realtà della sinistra di affrontare insieme una nuova sfida: condividere una carta dei valori comune, un programma minimo su cui poggiare, e una pratica democratica fondata sulla centralità dei singoli, intercettati sul territorio o in rete grazie alla piattaforma digitale.
Vogliamo evitare gli errori del passato, il minoritarismo, il meccanicismo e la riproposizione di una equazione che accompagna, da una decina di anni, i fallimentari tentativi di riaggregazione a sinistra, quella fondata sulla idea di costruire un progetto politico per contrarietà, a partire da vicinanze o lontananze dal PD, come se, per battere la vocazione maggioritaria bastasse enunciare una sorta di predisposizione minoritaria. E vogliamo altresì batterci contro le derive opportunistiche e trasformistiche di quel governismo che non è cultura di governo ma solo ansia, spesso scomposta, di potere.
In questo senso sarà decisivo lavorare sulla cultura politica del nuovo soggetto, affinché possa vivere come una opzione credibile, visibile, tangibile, di una sinistra capace di “connessione sentimentale” con un popolo largo. La questione è cosa siamo, quali interessi vogliamo rappresentare, quale visione del mondo orienta la nostra agenda quotidiana, quale narrazione offriamo a corpi sociali sempre più frammentati e sempre più bisognosi di speranza. Il tema è prendere confidenza con la nostra anima (piuttosto che specchiarci di rimbalzo in quella altrui).
Cultura politica, pratica democratica e ambizione di governo sono le basi su cui poggia l’iniziativa per avviare un nuovo processo a sinistra.
Per queste ragioni, come già deciso nella assemblea di luglio, impegniamo Sel ad ogni livello nella costruzione di un soggetto politico che abbia l’ambizione di presentare al Paese una proposta di governo autonoma, e per questo alternativa e competitiva a quella di Matteo Renzi. Si tratta di ricostruire il punto di vista di una sinistra ecologista, laica, dei diritti e del lavoro che torni a parlare all’Italia e ad agire in Europa. Non amiamo le vocazioni maggioritarie e sappiamo che dirsi di governo, cioè porsi l’ambizione di una proposta all’altezza della complessità, significa porsi il tema della politica delle alleanze. Oggi, sul piano politico, un’alleanza col Pd di Matteo Renzi non è neppure immaginabile, perchè sarebbe la sconfessione delle nostre battaglie e proposte. Allora, anche perché la politica delle alleanze da fattore di cultura politica torni ad essere opportunità concreta per il cambiamento, occorre ridare forza e consistenza ad una sinistra che, come avviene in tutta Europa, cresce quando con forza e innovazione mette radicalmente in discussione le ricette che hanno caratterizzato la proposta del Socialismo Europeo nel governo della crisi, e lavorare alla costruzione di una piattaforma comune con quanti da dentro, come Corbin, e da fuori come Tsipras, Podemos e i Verdi europei indicano una strada radicalmente diversa.
Avere il coraggio di muovere in questa direzione è il compito che ci assumiamo.
Approvato dall’Assemblea nazionale di Sel a larga maggioranza nessun contrario 2 astenuti
Nel video una dichiarazione del presidente Nichi Vendola a margine dell’assemblea nazionale Sinistra Ecologia Libertà a Roma