Il parco nazionale più grande del mondo sarà in Sud America
Il Summit Onu sul Clima di Parigi si avvicina e dal Sud America arriva la proposta del Presidente colombiano Juan Manuel Santos: creiamo l’area protetta più grande del mondo. Si parlerebbe di un accordo riguardante un corridoio biologico di 135 milioni di ettari sul territorio di Brasile (62%), Colombia (34%) e Venezuela (4%). L’area dovrebbe esser realizzata nei prossimi 5 anni secondo il suo ideatore, Martin von Hildebrand, esperto di biodiversità, direttore e fondatore della “Gaia Amazonas Foundation”.
L’importanza del progetto, se esso dovesse andar in porto, riguarderebbe non solo la lotta ai cambiamenti climatici, con l’importante ruolo che le riserve boschive giocano quotidianamente nella lotta all’accumulo di Co2eq in atmosfera, ma anche la salvaguardia della flora e della fauna del polmone verde del nostro Pianeta che ad oggi sembra sempre in continua minaccia.
Ovviamente il sogno del corridoio Ande-Amazzonia-Atlantico sarà tutt’altro che facile da realizzare. Non solo si potranno verificare ostacoli di natura politica tra i diversi Stati ma anche difficoltà riguardanti la necessità di unificazione degli Standard di sicurezza adottati già nelle singole aree protette nazionali, ad oggi scollegate tra loro e con grosse aree prive di tutela.
Negli ultimi anni, inoltre, la continua deforestazione illegale messa in atto da gruppi criminali organizzati, ha posto fine ad un trend precedente, periodo 2004-2011, che sembrava sottolineare l’arresto dell’attività distruttiva della foresta amazzonica. I dati provenienti dal New Scientist registrano, infatti, un trend negativo che, iniziato dall’anno 2013 con l’aumento dell’attività illegale del 29%, negli ultimi sei mesi sembra essersi ulteriormente aggravato. Ma quali sono le motivazioni di tale accanimento contro la foresta sudamericana? Esclusivamente il commercio illecito di legname?
Con il recente arresto di Ezequiel Antonio Castanha, capo di quella che le autorità brasiliane ritengono una della “gang” più grandi del territorio amazzonico, si è messo sempre più in evidenza come tale attività di disboscamento avvenisse anche a seguito di un profondo aumento della domanda di territorio che, una volta privato del manto boschivo, sarebbe stato rivenduto ad allevatori e agricoltori per il pascolo bovino e per la coltura della soia, fruttando così ai criminali decine di milioni di dollari.
Insomma siamo sempre in presenza del grande problema ambientale del nostro tempo. L’aumento della popolazione mondiale porta con sé la richiesta sempre maggiore di cibo, con un aumento delle colture intensive che erodono il suolo e dei grandi allevamenti di bestiame. A farne le spese per la necessità di maggior “spazio vitale” sono ormai sempre di più le aree rurali e le aree rimaste “vergini”, con una loro progressiva diminuzione (62% per le foreste tropicali).
L’uomo lascerà con il ritmo di produzione e consumo attuale sempre di più un’impronta indelebile su questo pianeta che diverrà sempre più “piccolo” e sempre più povero di risorse. Secondo il Living Planet Report 2014, la decima edizione del rapporto del WWF, che ha studiato l’incidenza dell’uomo sul pianeta, per far si che l’Europa mantenga il suo stato di benessere attuale sarebbero necessari 2,6 pianeti Terra. Ma sebbene il tempo a nostra disposizione stia per scadere ancora nulla è irreversibile, e le nostre speranze rimangono appese al Summit Onu di Parigi di quest’anno, nel quale porteremo le nostre istanze, e nel quale tutti i governi mondiali dovranno scoprire le loro carte e magari fare i conti con la cruda realtà di una crisi ambientale ormai evidente e che coinvolge tutti indiscriminatamente.