Il pop corn è americano, il socialismo è europeo
Renzi è un animale politico, su questo non esiste dubbio alcuno. Ha fiuto, è scaltro, capisce al volo l’aria che tira. E si muove con la rapidità di un felino quando annusa il topo. Ti spiazza, scarta di lato e non lo trovi dove lo cerchi ma già più in là, più in su. L’altro ieri, per esempio, mentre Enrico Letta l’hanno visto ciondolante ai giardinetti, il premier aveva davanti un’altra di quelle giornate campali che iniziano con un twitter verso le sei del mattino e finiscono con un hashtag a notte fonda. Quello che recitava “enricostaisereno” è partito, ad esempio, alle due meno un quarto, nel cuore della notte.
La giornatina prevedeva due appuntamenti politici di spessore: l’inizio del congresso, a Roma, del Partito del Socialismo Europeo, e la direzione del Partito Democratico. Nella quale direzione si doveva sciogliere l’annoso nodo che aveva segnato il carattere del partito sin dalla sua nascita: deve il pd far parte della famiglia socialista europea oppure no? Nel corso degli anni questo nodo è stato sempre rinviato. Ma, si sa, non è certo l’unico e l’elenco sarebbe chilometrico.
La parte proveniente dalla sinistra storica, prima il PCI e poi il PDS e fino ai DS, propendeva per farne parte. Blandamente e surrettiziamente. La parte proveniente dalla DC e poi dai Popolari fino alla Margherita propendeva per starne fuori. Decisamente e nettamente. I socialisti europei, dentro i quali come si sa è prevalente il pragmatismo nordico, hanno esercitato in questi anni la virtù della paziente attesa, fino al punto, per non perdere l’apporto italiano così decisivo per essere la famiglia politica maggioritaria in Europa, di cambiare addirittura il nome storico. Così hanno scritto un Manifesto per l’Europa di ben dieci punti, nel quale negano quelle politiche di austerità e di rigore allo stato puro che hanno praticato, e continuano a praticare in tanti paesi dove sono al governo con i conservatori che invece le difendono a spada tratta, e sono venuti a Roma col chiaro proposito di sciogliere quel nodo una volta per tutte. Manca poco alle elezioni europee di maggio e Martin Schultz, persona autorevole, europeista convinto, uomo senz’altro di sinistra, è il candidato dei socialisti di tutto il Continente alla presidenza dell’Unione, ogni particolare va curato nei dettagli. Sul piatto l’offerta verso gli italiani è invitante: cambiare appunto lo storico nome, da Partito del Socialismo Europeo a quello, allargato, di Socialisti & Democratici. Probabile che si siano avvalsi di un consulente italiano, circa il nome. Perché la loro propensione è piuttosto tradizionalista.
Gli inglesi, ad esempio, da quasi centocinquant’anni si chiamano allo stesso modo, Labour Party, al massimo ci aggiungono una new. Partito socialdemocratico tedesco, così esattamente dal 1890. Stessa cosa per quello austriaco o svedese. In Italia no. Dopo la fine del PCI, stiamo parlando degli ultimi venticinque anni, piuttosto che cercare di definire una politica italiana della sinistra, si è lavorato sul nome. Logo, ergo sum. Partito dei Democratici di Sinistra, poi Democratici di Sinistra, infine Democratici, tout court. E chissà se è finita. Il Partito Democratico si fa trovare all’appuntamento preparato e rinnovato. Nuovo segretario, nuovo premier. E quel che non è riuscito con Veltroni segretario, né con Bersani, scatta irrefrenabilmente con Matteo Renzi. Il nodo è finalmente sciolto, l’adesione alla famiglia dei socialisti (e democratici) è cosa fatta, la direzione approva alla quasi unanimità. Non è cosa da poco. Del resto Renzi aveva fatto le cose per bene al fine di giungere preparato a quell’appuntamento. Prima una prefazione alla riedizione di un classico della filosofia politica contemporanea, il libro di Norberto Bobbio Destra e sinistra, nella quale afferma che quelle due sono categorie superate. Le nuove categorie dell’oggi sarebbero movimento/stagnazione. Lui è il movimento, Letta, e Bersani, la stagnazione. Geometricamente non fa una grinza.
Poi un suo personale manifesto pubblicato, va da sé, su Repubblica, in cui sostiene che il socialismo è morto e l’eguaglianza sociale non definisce più alcun discrimine politico. Forte di queste due premesse entra spedito in direzione e aderisce alla famiglia europea del Partito Socialista, diventato nel frattempo dei Socialisti & Democratici. Ecco, ci siamo, dopo tanto tempo di surplace. Alle europee noi di qua, la destra di là, questo si dirà agli elettori. Ma prima di lasciare i lavori per incontrarsi con Alfano, suo partner di governo di larghe intese con la destra per i prossimi quattro anni, Renzi si fa portare un canestro di pop corn e si mette comodo e rilassato. D’Alema da una parte e Fioroni dall’altro duettano di politica e lui non intende affatto rinunciare allo spettacolo. Angelino aspetterà, che può fare d’altronde? Beh, meno male che noi abbiamo Alexis.
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SandroS