Il Presidente Emerito e la riforma
In concomitanza con le mosse che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi sta elaborando, in vista della grande sfida del referendum costituzionale – e che va annunciando in questi giorni con raffiche di artiglieria mediatica – l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – senatore a vita e Presidente emerito – fa anche lui la sua parte a sostegno della campagna renziana. Nella lunga intervista comparsa sul Corriere della sera il 2 maggio, a cura di Aldo Cazzullo, Napolitano sposa infatti con fermezza il sì alla riforma e anche il sì alla identificazione di quel sì con la figura del capo dell’esecutivo, e dunque con la sopravvivenza del governo. Il realismo della sfera del “politico”, che, non da solo ovviamente, ma in grande parte, ha concorso a uccidere la politica, viene sempre fuori quando l’ex Presidente fa sentire la sua voce. Spiega anche Napolitano che nel fronte del no ci sono almeno tre posizioni o attitudini mentali: quella conservatrice, che non ammette modifiche alla Costituzione, che va bene così come fu concepita dai padri costituenti; quella politico-strumentale, messa in pista solo per colpire Renzi, colpendo la sua riforma; quella infine perfezionista, che è di quanti – soprattutto competenti per mestiere della materia – non si accontentano mai di nulla, in nome di un’astratta e irrealizzabile perfezione da raggiungere. Si capisce che lui è contrario a tutte e tre le attitudini ma particolarmente piccato dalla terza, che è poi il mondo dei professori.
Giorgio Napolitano, da Presidente della Repubblica, in inusuale carica di secondo mandato, è stato anche una sorta di Lord Protettore di Matteo Renzi, nella fase della scalata al potere del nuovo capo del Pd, nonché in tutta la fase successiva; e delle riforme costituzionali, nella direzione che hanno preso col testo Boschi, è stato il mentore e l’ispiratore, non certo dell’ultima ora. Nella baraonda dei risultati elettorali del 2013 e di fronte alla convulsa richiesta, rivoltagli dai partiti allo sbando, di accettare un secondo mandato presidenziale, Napolitano mise sul tavolo, come materia per discutere il suo sì al pressante invito, la richiesta che il Parlamento assumesse l’impegno a che le riforme costituzionali fossero fatte. Quindi niente di nuovo sotto il cielo nell’intervista che Napolitano “ha concesso” al Corriere della Sera. Intervista che, per una parte, è anche a tutto campo: dall’Europa in crisi all’austerità che non passa; dalla Germania, che (lo dice Cazzullo ma Napolitano non è ovviamente d’accordo e lo contraddice) si fa un po’ troppo gli affari suoi, all’immigrazione, che è ormai un problema permanente; dalla Libia a Obama; da Mani pulite alle accuse di interventismo che allo stesso Napolitano vengano rivolte da varie parti. E via così.
Ma il cuore dell’intervista è la riforma della Costituzione, detta anche deforma, da chi voterà contro, ma che bisognerebbe denominare meglio come controriforma, recuperando e riappropriandosi delle parole e risignificandole, prima che vengano del tutto cannibalizzate. Il testo Boschi infatti non deforma ma snatura, fino a uno stadio avanzato, il nesso costituzionale tra rappresentanza e sovranità popolare, tra rappresentanti e rappresentati, tra potenti e im-potenti, che era condensato negli obblighi della Repubblica Prima parte della Carta, e attivato nel voto, nella partecipazione al voto e nella ricerca di far pesare davvero e al meglio quel voto nelle scelte politiche del Paese.
L’articolo 49 doveva essere questo – secondo lo spirito democratico della Costituzione – e non la pista per l’occupazione dello Stato da parte dei partiti. Come è avvenuto da un certo punto in poi – molto presto in verità ma allora, per altri motivi, i partiti erano “credibili”. Il voto come espressione del popolo sempre più invece è andato depotenziandosi ed è stato depotenziato nei fatti dalle scelte della politica partitica, svalorizzato politicamente, banalizzato a fronte dell’invocato primato dell’esecutivo o di una prassi di distanziamento crescente tra società, vita delle persone e politica. L’Europa c’entra come c’entra la svolta neoliberale di trenta anni fa, tanto per stare al calendario tanto amato dai rinnovatori renziani.
La seconda Camera non è affatto cancellata con il testo Boschi, bisognerebbe ricordarlo all’ex Presidente, che per altro lo sa benissimo, e farlo capire da subito. Sussisterà, invece, con funzioni malamente definite, come spiegano una grandissima parte dei costituzionalisti italiani, che creeranno non pochi malintesi interpretativi e dunque anche allungamenti dei tempi, ricorsi e via discorrendo (ne abbiamo l’esempio con quello che è successo con un’altra frettolosa legge di modifica costituzionale, quella del Titolo V), e continuerà a costare più o meno o poco meno ci quanto sia costata sino ad oggi. La differenza vera e sostanziale sarà – dovessero gli elettori e le elettrici dichiarare il loro voto favorevole alla riforma – che al rafforzamento dell’esecutivo o, per meglio dire, della maggioranza del premier/leader (se, come vuole Renzi, col sì al referendum, la riforma si sposasse con l’Italicum), corrisponderà un ulteriore indebolimento del voto popolare. Questo è un punto essenziale.
Autocrazia del sistema dei partiti, va chiamata e poiché i partiti sono entità ormai evanescenti e sempre meno, in quanto partiti, rispondono ai loro sostenitori, iscritti, attivisti e simpatizzanti – categorie anch’esse evanescenti o, quando ci sono, in transito per cercare a chi dare un voto utile, -voglio dirla come va detta: autocrazia di una casta fidelizzata al capo o ai capi di turno. “Deforma” tipicamente all’italiana, si può anche dire. Per questo tutti i “no” oggi sono importanti perché è dallo spazio che quei “no” potranno produrre che si può riprendere la discussione sulle necessarie riforme della Costituzione, sulla chiarezza delle funzioni, il monocameralismo secco accompagnato da un forte riequilibrio dei poteri, per esempio, e il valore della partecipazione popolare all’effettiva decisionalità delle scelte, immaginando come questo possa avvenire davvero – in opposizione a ciò che succede per vanificare l’istituto referendario – anche immaginando nuovi meccanismi istituzionali. E soprattutto ricostruendo tra le giovani generazioni il valore radicale che ha il principio della limitazione del potere verso l’alto e della sua rimessa a tema e a pratica democratica verso il basso. Nuova passione costituzionale va chiamata, da misurare sull’oggi ovviamente – ci sarebbe molto da discutere su questo – e in rapporto stretto col migliore costituzionalismo democratico del Novecento. che nella imitazione del potere aveva il suo baricentro.
Napolitano la pensa molto diversamente. Mi piacerebbe che gli potesse dire a un certo punto: “Pazienza Presidente: ce ne faremo una ragione. E’ il bello di avere una Costituzione come si deve”.