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Giovedì, 24 aprile 2014

Il trendy pop del potere

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Maria Elena Boschi, 33 anni, è ministra della Repubblica per le Riforme Costituzionali e i Rapporti col Parlamento. Nella fase attuale, per come si è arrivati al punto in cui siamo, si tratta di un ruolo decisivo per la vicenda politica del nostro Paese, per il destino del governo Renzi e il futuro della democrazia italiana. Non è uno scherzo: basti pensare alla posta in gioco che la Grande Riforma costituzionale rappresenta, con la sua logica iper maggioritaria, una Camera superaccessoriata di funzioni fondamentali, tutta a disposizione dell’esecutivo, e una semplificazione verso l’alto dei poteri. Di tutto questo è responsabile, per funzione istituzionale e per elaborazione del progetto – “ci mette la faccia”, insomma – la ministra Boschi, che discute del progetto col Presidente della Repubblica, risponde in Parlamento, fa spallucce di fronte alle critiche che vengono avanzate verso le “sue” riforme. Non le piacciono i “soloni” e i “parrucconi” e lo dice col sorriso sulle labbra, con un’impudenza che se fosse solo giovane ok ma è anche ministra e allora il suo modo di fare non si può dire che non strida col ruolo.

Oppure no, perché è il nuovo format della politica all’epoca di Renzi e il conformismo accondiscendente e gattopardesco e il sistema mediatico si adegua. Annunci a gogò, tweet a inondazione, spallucce quando servono. Dobbiamo arrenderci: ogni stagione politica ha il suo format comunicativo, i suoi vezzi estetici, i suoi capricci esistenziali. Renzi è un condensato di tutto questo. E’ un format, un vezzo, un capriccio. La sua squadra non potrebbe essere diversa. Ciò che è diverso disturba Renzi e disturba loro. Le diversità ricchezza della sinistra? Tutto finito, solo parrucconi, rompiballe, residui del Pleistocenico superiore. Velocità versus lentezza. “Ci metto la faccia!” e via così.

E in ogni stagione politica tutto bruscamente diventa conforme, grazie alla stretta connessione e interdipendenza che c’è tra il sistema mediatico e il sistema politico: il grande circo dell’entertainment che dalla mattina alla sera riempie lo schermo televisivo di un’inarrestabile flusso di chiacchiere a ruolo intercambiabile, tra giornalisti e conduttori, che sanno tutto o si piccano di sapere tutto, e politici che non sanno niente e neanche fingono di sapere qualcosa. Chiacchiere in libertà, alimentate dal desiderio di esserci, blaterare, rappresentarsi. Ogni stagione ha anche il suo main streaming femminile, le sue figure, figurine, controfigure. Dalle allegre compagnie che ruotavano intorno a Silvio Berlusconi alle compunte signore dell’era montiana e anche lettiana, alle giovani compagne di squadra di Matteo Renzi, tutte promosse d’embleé ai vertici di tutto, tutte padrone di un plain and basic (un po’ di inglese è sempre cool) format comunicativo, che diligentemente reiterano in ogni occasione.

Ma la giovane ministra è anche alla ricerca di un tocco personale che contraddistingua il suo ruolo pubblico, forse pensa che sia ora di contribuire in prima persona a far vivere una nuova idea della femminilità, dopo le nefandezze berlusconiane e le cupezze montiane. Così, da giovane pop amante del trendy –Renzi ha fatto scuola anche in questo – si racconta a Vanity Fair, patinata rivista gossipara, parlando di sé col “cuore in mano”, come una giovane donna qualunque, desiderosa di trovare il suo spazio, di dare senso ai suoi sogni e desideri. Che sono tipici: un amore, una famiglia, dei figli, almeno tre. Le manca un compagno di vita, è single, le pesano, dice lei, le giornate passate a discutere di emendamenti e le serate solitarie, a bersi in solitudine una tazza di latte.

Boschi, in tutto questo, tende a dimenticare di essere, per le cose di cui sopra, una donna di potere. Per questo c’è qualcosa che stona nel quadretto di Vanity Fair: l’essere troppo quadretto dei buoni sentimenti e l’essere impudentemente in contrasto, proprio il quadretto, rispetto alla supponenza di cui la stessa Boschi fa mostra nel suo ruolo pubblico e che la induce a liquidare come vane e d’antan tutte le critiche. Infine il quadretto, insieme alla sua dichiarazione, sempre sulla rivista, di cattolica credente, fa da supporto a un approccio alle cosiddette tematiche eticamente sensibili piuttosto moderato, teso a mettere in risalto la complessità “etica” delle problematiche, sottacendo o affrontando solo di sguincio la tormentata vicenda dei diritti procrastinati ad infinitum (vedi convivenze e nozze gay), delle leggi negate de facto (vedi la 194) dei progetti di famiglia con figli resi veni ( vedi legge 40).

Raccontarsi a Vanity Fair, per una donna che è oggi soprattutto un personaggio pubblico tout azimut e esercita un importante ruolo di potere, non può essere visto solo come un fatto privato. E’ anche, forse soprattutto, che lei lo voglia o no, un modo di dirsi sul piano politico. Perché, come il femminismo ha insegnato, il nesso tra la vita e la politica è denso, quello tra i sentimenti pubblici e i sentimenti privati strutturante e sempiterno. E la personalizzazione della politica, che Renzi eredita e implementa senza pudore, porta tutto alle stelle.

Per finire: Boschi dice che la feriscono gli attacchi personali ricevuti dalle donne, perché “tutte le donne, in tutti i campi, sanno benissimo che per ognuna di noi, rispetto agli uomini, la fatica è doppia. Dobbiamo dimostrare di essere due volte più brave.” Sono, ahinoi, argomenti un po’ triti, con cui in altri tempi le donne in politica hanno battagliato per imporre norme antidiscriminatorie, contrattare quote rosa, stringere alleanze ad hoc. Lei dovrebbe guardare meglio le carte della politica. Maschile e femminile. Quella della complicità femminile con il potere maschile è la carta sempre più giocata dalle donne, soprattutto in un Paese come l’Italia, dove i gruppi di potere politico sono ancora “al maschile”, nonostante la crisi dell’identità maschile e l’incapacità degli uomini di darsi un ordine e contribuire a fare ordine nelle cose. In che fase siamo arrivate, in quel gigantesco processo di femminilizzazione della società che oggi, a ogni tornante, rischia di essere più quantitativo che qualitativo? Che ci aspettiamo che avvenga dal cinquanta e cinquanta?

La complicità femminile nei confronti del maschile ha avuto il sopravvento sulla libertà femminile nei rapporti con gli uomini. Una bella differenza politica. La libertà femminile vive in altri ambiti. E’ il segno dei tempi, nonostante tutto. Andrebbe recuperata alla grande alla politica e sarebbe un bene per le donne e gli uomini. Soprattutto per le nuove generazioni. Ma l’epoca di Renzi non lo consente: è l’epoca per antonomasia delle donne, tante ma a seconda delle postazioni, e intese come un valore aggiunto seppure in apparenza forte. Le cose stanno così, semplicemente. E le critiche femminili fanno parte della partita. Ci mancherebbe.

 

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