Il trucco della politica come ce lo racconta Ida Dominijanni
Nella stagione contrassegnata in Italia dal vitalismo giovanilistico di Matteo Renzi – corpo maschile che si mette in gioco come significante del nuovo che avanza – e nell’imperante smemoratezza di che cosa abbia rappresentato per la sinistra la lunga stagione del berlusconismo, il libro di Ida Dominijanni intitolato “Il trucco”, sottotitolo “Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi” (editore Ediesse), potrebbe apparire fuori tempo massimo, inattuale. Non viviamo forse in un bulimico presente, che tutto metabolizza e archivia nello spazio di un mattino? E Renzi non è l’espressione di questo tempo, anzi di questo “momento”, da cogliere rapidamente, “adesso”?
“Il trucco”, invece, proprio per tutto ciò che oggi appare ingannevolmente di senso contrario, è un libro di straordinaria attualità, iper contemporaneo. Nel raccontare infatti la complessa vicenda politica di Berlusconi l’autrice ne mette in chiaro il trucco che ha concorso ad alimentare il suo prolungato successo e nello stesso tempo costruito il contesto del suo declino: l’artefatta costruzione di se stesso come corpo virilmente rinnovato e dunque ancora politicamente potente. E nell’analizzare questi aspetti, Dominijanni ricorda la forza dirompente della diagnosi femminista sul nesso esistente tra il personale e il politico, tra la sessualità e la politica. E’ proprio questa dimensione costitutiva della politica che la politica “ufficiale” continua a ipocritamente a nascondere, forse perché ormai le menzogne e gli autoinganni sono la materia stessa della sua decrepitezza e crisi.
L’intreccio tra vita pubblica e vita privata, tra personale e politico ha significativamente contrassegnato la stagione di Berlusconi, che è stata, anche per questo, la stagione della conclamata obsolescenza del patriarcato e della sua entrata nel post. L’irrituale, ostentato intreccio tra residenza pubblica e residenza privata del premier, tra Arcore e Palazzo Chigi, ha segnato i tempi della politica berlusconiana. Quel godurioso andirivieni, tra l’una e l’altra residenza, del grande teatro dei corpi in scena, donne ovviamente ma anche in gran numero cortigiani dell’altro sesso, ha fatto da sfondo osannante al corpo truccato e truccante del sovrano, scenario di quel “regime del godimento” del ventennio, di cui parla l’autrice in chiave psicoanalitica. Più capo che sovrano, per altro, perché l’epoca è quella che è. Che si faceva truccare sempre più nel corpo per usare dadi truccati nel gioco del potere. Sesso, denaro e potere: l’algoritmo del cavaliere, nella vana impresa di ristabilire un nesso di coerenza tra l’immaginaria potenza del suo corpo e la dissolvente potenza della politica. L’arcaico del corpo nella sua performativa contemporaneità.
Corpo del re, si sarebbe detto in un’altra epoca, quando nel corpo regale era iscritta la trascendenza del potere. Ma ora basta dire del leader o del capo, perché gli scenari sono ormai desacralizzati, sempre meno aurei e più evanescenti. Ed è proprio l’intreccio tra il personale e il politico che la politica della razionalità occidentale ha sempre ostinatamente negato e rimosso, costruendo dapprima, sulla sua negazione filosofica, la volontà di potenza del “Politico”, e oggi, sulla sua rimozione mediatica, la spettrale persistenza di se stessa come politica della crisi. Una causa non secondaria dell’incapacità della sinistra di capire ciò che è avvenuto nel mondo, e della crisi che la uccide, continua a essere questa ostinata rimozione di qualcosa che la riguarda da vicino.
Il privato è privato, è stato detto e continua a essere detto dalla politica dei palazzi, che sa solo fingere con se stessa, e quello che ciascuno fa a casa sua sono affari suoi. Facendo finta di ignorare – o forse davvero non arrivando a capire – che il focus dell’invadenza politica sulla scena pubblica di Berlusconi, il nucleo del consenso elettorale da lui guadagnato e riguadagnato fino alle ultime elezioni politiche, stava proprio nella performance del trucco della virilizzazione, nell’illusoria messa in gioco del corpo del capo, diventato, perché “esposto”, “offerto” in pasto al godimento di chi lo amava, la rappresentazione emblematica del rapporto tra il capo e il suo popolo. Alla ricerca, il Cavaliere, di un potere sempre più artificialmente attrezzato, in un’ ”apparenza di forza” – sessuale in primis – che il trucco intendeva ripristinare e veicolare. Un “virilismo virtuale”, antropologicamente e simbolicamente sessuale – sesso come potenza e potere – e da ciò i continui tentativi di ricostruire con gli artifizi dell’estetica e della chirurgia plastica l’appeal del corpo .
Il trucco di Berlusconi alla fine non ha retto per molte e svariate cause, che ne hanno via via disgregato l’impatto mediatico e la tenuta politico-istituzionale. Tutte cause di natura politica, dicono gli esperti di analisi politiche. Intendendo ovviamente che si sia trattato di cause canoniche, quelle tipiche del canonico gioco della politica maschile. Niente a che fare con l’intreccio di privato e politico, con l’algoritmo di sesso e potere che ha informato la politica del Cavaliere. Irrilevanza politica dei comportamenti personali del capo del governo, come ebbero a ribadire in più occasioni i leader del Pd e esponenti vari della sinistra. Tutt’al più materia di interesse delle procure o delle parrocchie, come più o meno chiaramente argomentavano molti di loro, comprese esponenti di sesso femminile. E, ovviamente, irrilevanza politica dell’atto dello smascheramento pubblico del trucco, quando avvenne per la presa di parola pubblica di alcune donne e per il taglio che esse vollero operare, pubblicamente, nei loro rapporti con Berlusconi. Perché, , mette in luce Dominijanni, in un capitolo centrale del libro, il tempo della fine di Berlusconi si è avviato – soprattutto e in prima battuta – perché la scena pubblica, ormai occupata da tempo da donne libere, è stata attraversata dalla mossa politica di alcune di loro, decise a dare un altro senso e un altro significato alla vicenda pubblica del premier. Donne vicine a Berlusconi capaci però di fare scelte in autonomia e anche di rompere legami, sodalizi, complicità. Sono state loro a dare inizio alla fine. Sono state le loro a dire parole di verità su Berlusconi e a mostrarne la nudità senza orpelli di fronte alla corte, al popolo, all’opinione pubblica. Chi d’altra parte meglio delle donne che lo conoscevano avrebbe potuto svelare i trucchi, le menzogne, la politica truccata?
Tre donne, Veronica Lario, Patriza D’Addario, Sofia Ventura, diversissime per storia e collocazione: questi i nomi, che nessuno ricorda più in relazione al tramonto di Berlusconi, Hanno deciso di dare un taglio netto alla storia che le legava a Berlusconi e così hanno impresso una svolta all’intera stagione politica, molto tempo prima che Berlusconi decidesse di salire al Colle per dimettersi. Nessuna di loro veniva da una storia femminista e tuttavia, scrive Dominijanni, “è attraverso di loro che ritorna pressante e inaspettata, l’eco della diagnosi femminista sul nesso che lega, nel bene e nel male, sessualità e politica.”
La sinistra, incapace fin dal ’68 a leggere i mutamenti di fondo che avvenivano in quegli anni – come Dominijanni mette in luce – ha interpretato la stagione del berlusconismo soltanto in chiave di vittimizzazione delle donne e di lamentazione moralistica sulla dignità offesa delle medesime. Ha ignorato l’essenziale, cioè i radicali spostamenti di senso avvenuti nella società, a partire dal decisivo cambio di passo delle donne, dalla loro volontà di uscire dalla zona d’ombra della loro storia, dai perimetri della famiglia e del familismo, dallo stigma della minorità. La loro rivoluzione, insomma. E spesso per questo disposte,pronte, attrezzate a tutto, anche all’arrembaggio. A tutti i livelli e per le ragioni più diverse.
Scavando nelle pieghe di quella che può apparire cronaca minuta, “politica o quasi”, come diceva la sua rubrica sul Manifesto, Ida Dominijanni restituisce così all’ emblematica dimensione di significante politico il ventennio che abbiamo alle spalle e con ciò va al cuore delle vicende politiche dell’oggi, collocandole nella cornice dell’ antropologia neoliberale e nell’intreccio inestricabile di “fattori sociale e psichici” che garantiscono la tenuta tutta biopolitica della “nuova ragione del mondo”. E’ questa cornice, sono questi fattori che spiegano perché e come, senza soluzione di continuità, si sia passati dal teatro dell’osceno priapesco del premier impresario all’oratorio della morigerata malinconia del premier professore; dai ristoranti traboccanti di vitalismo, della narrazione berlusconiana, agli uffici della Troika ossessionati dal debito, delle reprimende montiane e delle lamentazioni lettiane. E, repentinamente, il gioco sia passato di mano a un nuovo esperto dell’arte del trucco: orditore di oscure trame si sarebbe detto una volta del Renzi defenestratore di Letta, ma oggi la politica dell’impotenza lo accoglie come l’ultimo possibile salvatore della nazione. E via così. Senza il minimo cambiamento dei programmi, che non servono più a niente.
E’ l’identificazione col leader che conta oggi, la passione del leader, l’affidamento al leader: anima, corpo, rispecchiamento in esso, nel senso delle cose e nei sentimenti che da lui e per lui prendono corpo. Ed è, anche, il collasso della democrazia a cui assistiamo quotidianamente, che si manifesta nel corto circuito tra rappresentanza in crisi, nel suo essere ormai residuale partecipazione dal basso, e presenza incombente dall’alto, nella mossa epifanica del leader, unica provvidenziale risposta alle attese.
Quel che oggi domina la scena pubblica, dopo Berlusconi, continua a essere la maschera di una potenza della politica che non c’è più ma finge di esserci, perpetuandosi nel nuovo leader, Matteo Renzi, quintessenza della finzione. Che può fare d’altra parte il nuovo leader, se non acconciarsi alla governamentalità neoliberale, mentre inventa lo spettacolo mediatico del competere con Angela Merkel e Bruxelles? E la giovinezza è il suo artificio, il suo trucco. La sua plastica facciale.
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V.Tola