In quella scuola di Peshawar è morta una parte della nostra civiltà
Dopo 20 anni di guerra al terrorismo, il mondo è un posto più sicuro? E’ questa la domanda a cui dovremmo rispondere guardando in faccia le vittime di questo ennesimo atto di barbarie.
Non bastavano i tagliagole dell’ISIS a ricordarci il frutto avvelenato di un ventennio di guerre senza senso che hanno trasformato il luoghi in cui è nata la nostra civiltà nella culla dell’inciviltà e della barbarie. Serviva il sangue dei bambini del Peshawar a ricordarci che i Talebani non sono stati sconfitti con Bin Laden, che l’effetto perverso della guerra in Afghanistan è il loro sconfinamento in Pakistan, che la violenza e la guerra portano con se altra violenza ed altra guerra.
No, il mondo non è un posto più sicuro e la responsabilità è prima di tutto nostra, dei nostri governi, di chi ha pensato che con le bombe si esportasse la democrazia e si potessero anche fare dei buoni affari.
Oggi siamo tutti attraversati dall’orrore e dal cordoglio per la brutalità di un attentato così vigliacco, ognuno di noi vorrebbe vendicarsi della violenza che proprio perché esercitata su dei bambini sentiamo sulla nostra carne come se in quella scuola ad essere uccisa fosse stata l’umanità intera. Ed in effetti è così, in quella scuola di Peshawar siamo morti un po’ tutti, è morta una parte della nostra civiltà. Per questo domani dobbiamo avere la capacità di rinascere, di scongiurare nuove guerre, di porre fine a quelle esistenti, di favorire processi di pace e di pacificazione. Nessuno pensi che l’ISIS si possa sconfiggere solamente con la forza, nessuno immagini di trascinarci ancora una volta in una guerra senza fine in Iraq come in Afghanistan, dove tornano a suonare i tamburi di una guerra che, come dimostrano i fatti di oggi, pare destinata ad allargarsi al vicino Pakistan.
Non è un caso che ad essere colpita oggi sia una scuola, non è un caso come non lo è stato quando ad essere colpita fu l’attuale Premio Nobel Malala Yousafzai. Perchè i signori della guerra sanno che la cultura e la conoscenza sono le armi più forti, non per vincere una guerra, ma per sconfiggere la guerra.
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