Interrogarci sul fattore umano è chiedere alla politica, dunque a noi stessi, un diverso sguardo sul mondo
Benvenuti. Cominciamo i nostri lavori e facciamolo prendendoci il respiro che serve. Siete in questa sala dall’allestiemento volutamente scarno, siete qui perchè hanno valore i vostri occhi e le vostre parole, non siete qui per assistere ad uno show o ad una kermesse. Siamo qui per pensare e poi agire, e quindi fermiamoci un attimo.
Per un attimo dimentichiamo ciò che abbiamo letto sui giornali questa mattina e proviamo a guardare la realtà con gli occhi vergini di un uomo che venga dallo spazio e veda per la prima volta la terra e gli umani che la abitano: vedrebbe che ci sono alcuni che vivono nell’agio, curati dai medici migliori, padroni delle tecnologie più avanzate e dei patrimoni più sconfinati;
e altri, molti altri, l’enorme maggioranza del pianeta, che vive invece in condizione di assoluto bisogno, senza diritti, persino senza quei diritti la cui passata conquista riempie le pagine più belle dei nostri libri di storia.
Vedrebbe uomini e donne che non possono coltivare nemmeno il più piccolo sogno, e bambini privati degli strumenti che servono a poter realizzare pienamente le proprie potenzialità.
Vedrebbe l’umanità consumare il proprio pianeta, distruggere interi ecosistemi, mettere a rischio la naturale fisiologia del proprio corpo in una competizione sfrenata per la produzione e lo sfruttamento delle risorse naturali.
Vedrebbe con stupore che non abbiamo sufficiente cura dei luoghi in cui conserviamo e produciamo ogni giorno, ciò che di più bello e di più originale gli esseri umani abbiano prodotto: l’arte, la cultura, il sapere. E che non diamo valore a quelli in cui i giovani apprendono ad essere uomini e donne, soggetti pensanti e critici, personalità capaci di emancipazione e liberazione.
Vedrebbe che non rispettiamo i maestri di vita e gli insegnanti, che li dileggiamo chiamandoli ‘professoroni’ e che non rispettiamo nemmeno i giovani, perché avere rispetto è finirla di trattarli come bestie da soma: ti prendo quando mi servi, ti uso, ti pago poco e poi ti mollo appena non servi più.