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Mercoledì, 14 gennaio 2015

Intervento in Assemblea capitolina per illustrare la delibera sulle unioni civili

DA OGGI NON SONO PIÙ OMOSESSUALE, MA ‘CHARLIE LESBICA!
E’ iniziato così il mio intervento in Assemblea capitolina di illustrazione della delibera sulle unioni civili, di cui sono prima firmataria.
E’ un momento di grande fermento, quello che stiamo vivendo. Forse per la prima volta, e purtroppo a causa dei gravi attacchi integralisti a Parigi di cui ricordiamo le vittime, abbiamo assistito al risveglio dell’orgoglio occidentale sul tema della libertà. Libertà che abbiamo conquistato con secoli di lotte per uscire dall’oscurantismo, dai razzismi, dalla xenofobia e dall’omofobia. Tra le comunità e le minoranze che hanno caratterizzato le battaglie della libertà e dell’uguaglianza del nostro secolo sicuramente la mia comunità, la comunità omosessuale ha avuto, nel nostro Paese, il ruolo di sentinella e stimolo dei diritti civili.
La comunità ha lottato per uscire dal buio in cui l’integralismo culturale e sessuofobico l’aveva sepolta per secoli; per decenni è stata in prima linea per costruire un’Italia più accogliente, più attenta, più libera, più uguale rivendicando il diritto all’amore come priorità per essere felici. Essere omosessuale non è più una malattia da nascondere, ma una caratteristica importante e dominante della nostra vita che ci rende diversi ma uguali nei diritti. I temi dell’affettività e delle famiglie di fatto sono al centro di questa piccola grande rivoluzione civile che ci rende orgogliosamente occidentali e che deve unirci in questa guerra contro ogni ideologia e teologia integralista e conservatrice. In questo quadro politico internazionale, dobbiamo affrontare la discussione di oggi in aula Giulio Cesare e mi auguro che in questa chiave si faccia un dibattito serio, costruttivo e condiviso sui valori cristiani di libertà, uguaglianza, fratellanza e solidarietà che contrapponiamo alla xenofobia e al razzismo dell’Isis e di Al Qaeda. E’ questo per me oggi il mio essere non più omosessuale, ma ‘Charlie lesbica’. Io, Charlie, sono assoldata per la difesa delle nostre tradizioni e dei nostri valori e per questo mi auguro che si possa accelerare il percorso di uguaglianza rivendicato dalla comunità glbtqi come elemento caratterizzante della società occidentale e dell’Europa dei diritti. Diritti che ormai non possono più attendere, come ci dimostrano le sentenze dei giudici ordinari, i magistrati, la Consulta e la Corte europea dei Diritti dell’uomo.
I vantaggi pratici dell’iscrizione al registro sono contenuti. In alcuni Comuni l’istituzione del registro è stata un atto meramente simbolico. L’obiettivo, però, per quanto riguarda Roma, è di estendere alle unioni civili tutti i benefici, e gli oneri, previsti per le coppie regolarmente sposate. Questo perché a Roma, come in Italia, vivono coppie che stanno insieme da decenni e che hanno assoluta necessità di venire riconosciute dal Comune. Il registro per loro resta il solo strumento a disposizione per vivere la propria vita quotidiana alla luce del sole, per essere tutelati rispetto ad aspetti molto importanti dell’esistenza: per poter continuare, ad esempio, a vivere nell’abitazione di residenza anche in caso di decesso di uno dei due partner, succedendo nel contratto di locazione, elemento non trascurabile in tempo di crisi; o per poter esibire in ospedale un attestato di conferma di convivenza per poter accedere alle informazioni sanitarie concernenti il partner. E poi: quanti sono i figli di coppie omosessuali già iscritti agli asili nido? Quanti bambini di coppie omogenitoriali avrebbero bisogno di maggiori tutele e riconoscimenti? Ancora una volta è stato un tribunale – stavolta quello di Roma – ad aver dato una lezione di civiltà quest’estate riconoscendo l’adozione di una bambina da parte della compagna della mamma.
Basta quindi con le strumentalizzazioni che sono anacronistiche persino rispetto alle posizioni di papa Francesco, che ha rilasciato importanti dichiarazioni sull’evoluzione della società civile. E’ venuto una volta per tutte il momento di ammorbidire la dialettica in un dialogo senza ideologie. Noi che cosa aspettiamo? Questa è un’occasione irripetibile per Roma, anche perché, in tempi di crisi, non prevede esborsi di particolare entità per il Comune a seguito dell’istituzione del registro. Né il registro si pone in concorrenza con gli uffici dell’Anagrafe, né prevede vantaggi superiori rispetto a quelli previsti per le famiglie tradizionali. Esso tende unicamente a garantire un principio fondamentale e cioé che situazioni identiche vengano trattate in maniera identica. Nessun pregiudizio potrà derivare quindi alle famiglie tradizionali dal momento che l’erogazione di un servizio o la concessione di un beneficio sarà sempre legata alla valutazione delle esigenze specifiche della coppia. Il registro delle unioni civili non è in contrapposizione alla famiglia, ma per il riconoscimento di essa in tutte le forme sociali in cui si struttura.
Sebbene la materia sia di competenza del legislatore nazionale, il Comune, nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze, può stabilire i criteri ed i requisiti per l’erogazione dei servizi ai cittadini. Infatti, il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (decreto legislativo del 18 agosto 2000 numero 267) prevede espressamente l’autonomia delle comunità locali. Né risulta che le delibere adottate da moltissimi Comuni in Italia siano mai state impugnate e revocate. Se fosse vero che la materia non rientra nelle competenze comunali, le delibere adottate a Milano, Napoli e Firenze sarebbero state tutte annullate. Il fatto che le delibere siano ancora in vigore e che gli oppositori del registro non siano riusciti a farle invalidare è la prova della infondatezza della critica e del fatto che Roma può dare un segnale forte di cambiamento.

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