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Mercoledì, 26 febbraio 2014

Italia/Europa, il ritorno del Tira&Molla

astolfo

Ci risiamo col tira & molla. Il governo del Cambiamento Rapido e Totale non è ancora veramente partito e già ci risiamo. Come prima, più di prima. Il tira & molla si gioca subito, e ancora una volta, attorno a via Venti Settembre, Roma, ministero dell’Economia. Ieri con Saccomanni e Grilli, l’altro ieri con Siniscalco (e giù giù) fino a Tremonti, adesso con Pier Carlo Padoan.

Ha sprintato a sorpresa di un’incollatura tra Del Rio e Tabellini, mentre se ne stava al G20 di Sidney per conto dell’OCSE. E’ volato in fretta a Roma, ha giurato in ritardo, ha ascoltato le scoppiettanti e leniniane linee della NEP (Nuova Politica Economica) esposte, mani in tasca e discorso a braccio, dal neopremier al Senato. Ha atteso, invano, qualche cifra a corredo, come usa di solito nelle riunioni in cui si parla di economia e alle quali partecipa da diversi anni, ed è stato fin qui in silenzio. Non ha infatti ancora proferito verbo ma già impartisce ordini. Che vanno, almeno a parole, in opposta direzione. Prendete due frasi, mettetele a confronto, e avrete la cifra di quel che sarà realmente il governo dello stilnovo renziano. Sembra proprio già tutto scritto.

La prima frase è di Olli Rehn, il numero due della Commissione Europea e recita: «Padoan sa bene cosa deve fare». La seconda è del Renzi medesimo, detta ieri alla Camera: «Vogliamo un’Europa nella quale l’Italia non va semplicemente a prendere istruzioni». Detta così, va da sé, stiamo col Renzi, e per amor di europeismo. Ma non è così semplice, non è mai così semplice.

Proviamo a tradurre in volgare la frase del Rehn. Essa equivale a: “Caro Renzi, (cara Italia), puoi dire quel che vuoi su cuneo fiscale, debiti saldati alle imprese da parte della Pubblica Amministrazione, edilizia scolastica e tutto il profluvio emanato dal tuo eloquio di debuttante premier ma ricordati che, prima di tutto questo, devi: risanare il bilancio, mantenere il deficit entro il limite che ti abbiamo imposto, ridurre in fretta il debito, tagliare la spesa pubblica con la scure sui pochi pezzi vivi rimasti di welfare, procedere avanti con le privatizzazioni. Sappi che ieri, mentre tu alla Camera facevi multitasking e mandavi in giro pizzini ai 5 Stelle, ti ho ridotto quelle stime di crescita che il governo Letta nella legge di stabilità fissava all’1,1% e le ho arretrate praticamente fino alla metà, lo 0,6%. Sai cosa vuol dire questo, vero? Che al di là delle tue parole e del mitragliamento che prometti di “una riforma al mese”, non potrai scendere sotto il tetto di quel 3% che ti darebbe un po’ di ossigeno per finanziare nuovi investimenti pubblici.” Come dire: avanti ancora e sempre con le politiche di austerità, come con Monti, come con Letta, e come se avessero dato un risultato che è uno.

Il Renzi replica in maniera inusitata, per come lo stiamo conoscendo: rallenta e rimanda. Rimanda alla “gigantesca opportunità” della sua presidenza del semestre europeo (e alle elezioni del nuovo parlamento d’Europa), affermando che l’Italia non può “prendere istruzioni dall’Europa”. Usa quel po’ di frusto orgoglio patrio che tanto scalda gli animi come fossimo a rivedere Italia-Germania 4 a 3. Già visto, già sentito con Tremonti e Berlusconi, per non dire della Lega. Visti, anche qui, i risultati ottenuti: zero. Dovrebbe essere invece più preciso e più coraggioso.

Più preciso, ad esempio sul cuneo fiscale. Dire subito qual è la soglia di reddito mensile da lavoro su cui intende agire: mille euro, duemila euro? Cambia un pochino, no? E dire subito che la riduzione del cuneo fiscale sul versante delle imprese va vincolata agli investimenti produttivi. Deve essere più preciso perché lui avrà pur avuto all’epoca i calzoncini corti ma noi ci ricordiamo che l’ultimo governo Prodi il taglio del cuneo fiscale lo fece, eccome. Ma a pioggia e senza vincoli alle imprese. Che infatti anziché reinvestire il risparmio in produzione e nuova occupazione, se lo intascarono tutto, come ci dicono oggi i dati Mediobanca.

E dovrebbe essere più coraggioso e pronunciare, al momento del suo debutto come presidente di turno del semestre europeo, più o meno queste parole: “Cara Europa, dall’Italia, paese fondatore dell’Unione, ti dico che così non va e che dobbiamo tutti cambiare in fretta. Non vanno le politiche di austerità e di rigore che fin qui abbiamo praticato. Nessuno dei nostri patti di stabilità e di crescita ha funzionato, infatti ci ritroviamo nel nostro Continente con l’economia più instabile, la disoccupazione più elevata, la crescita più lenta. Allora dobbiamo fare una cosa, per la quale siamo già in ritardo. Rivedere le fondamenta dell’Unione, a partire dalla riscrittura dei Trattati e dall’azzeramento di quel fiscal compact che, pur privo di una valenza giuridica comunitaria, abbiamo addirittura messo nelle nostre rispettive Costituzioni. O facciamo qualcosa di simile adesso, o tra vent’anni diventeremo colonie di quei nuovi paesi egemoni che ci tallonano ai fianchi e mettono già la freccia del sorpasso.” Oh come lo aspettiamo un discorso così. Finirebbe il tira & molla, comincerebbe un’altra storia.

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