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Giovedì, 16 aprile 2015

Italicum delle mie brame

Renzi

Lo scontro finale interno al Pd sulla legge elettorale si è svolto secondo un copione tutt’altro che imprevedibile. All’ennesimo appello della minoranza a modificare l’Italicum, Matteo Renzi, nell’incontro svoltosi il 15 aprile col gruppo parlamentare della Camera, ha usato toni formalmente meno offensivi dei soliti, ma ha ribadito il suo netto no, avvertendo che lo stesso destino del governo è legato “nel bene e nel male” all’approvazione del testo così com’è.

Il capogruppo Roberto Speranza ha annunciato le sue dimissioni. Anche questa una mossa già annunciata, prevedibile, che rientra nella liturgia dei partiti novecenteschi. Essendo stata respinta la richiesta della minoranza di sospendere i lavori, Civati, Bindi, Fassina, D’Attorre e altri si sono alzati e sono andati via. Per sperimentare altre strade di mediazione, era il sottinteso della richiesta di sospensione dei lavori, a cui il segretario del partito ha detto, come da copione reiteratamente annunciato, di nuovo no. E anche qui siamo all’esangue liturgia d’antan, quando la sapienza di ricomporre tensioni interne anche acute era il segno della forza dei grandi partiti e delle loro direzioni, e la cosa, soprattutto, aveva un impatto positivo nei rapporti dei partiti con l’elettorato di riferimento.

Ma oggi la scommessa dei nuovi capi politici è di tutt’altra natura ed è tutt’altro il contesto. C’è il rapporto diretto del capo col popolo, senza più la necessità della complessa mediazione di cui solo i partiti di massa di una volta erano interpreti e attori, e, in più, se il capo è anche capo del governo deve farsi bello con una governance superiore, che gli dà i voti e lo tallona.

Checché Renzi vanti del suo ruolo in Europa, anche lui infatti è costantemente sotto esame e controllo.

Anche per questo, la minoranza dem può morire di inedia, ripetendo ad infinitum la patetica teatralizzazione del dissenso: una mossa che non modifica di una virgola la sostanza delle decisioni prese dal premier.

C’è da aggiungere che Renzi non può che essere felice del processo di insignificanza politica a cui i suoi oppositori si sono ormai consegnati. Che hanno da dire davvero? Che cosa propongono davvero?

Sempre e solo tanto rumore per nulla, potrebbe dire Renzi, senza tema di essere contraddetto.

Forse in gioco c’è solo la loro sopravvivenza politica. L’opposizione si riduce al mantenere in qualche posizione una serie di biografie personali? Anche questo un triste lascito del Novecento, che invece avrebbe ben altro su cui riflettere e di cui fare memoria per la politica che ancora serve.

D’altra parte l’audace sfrontatezza di Renzi sul tema della democrazia e il suo menefreghismo istituzionale non solo hanno I numeri per procedere, ma si nutrono del sentimento del tempo – “l’aria che tira” per dirla sulla scia di un noto talk show – e del disincanto democratico che tale sentimento alimenta.

Il grande circo mediatico affronta le questioni dell’ordinamento democratico – per esempio l’intreccio tra riforma del Senato e Italicum, che, se le cose rimangono come sono oggi, avrà davvero effetti velenosi per quanto riguarda la concentrazione dei poteri – come se si trattasse delle regole di un condominio di paese. E tutti, con rare eccezioni di pochi coraggiosi, che vengono ascoltati come se fossero dei marziani, si accodano a questa impostazione.

Non c’è mai attenzione, nel dibattito pubblico, alla sostanza dei problemi ma solo agli “effetti che fa” questa o quella mossa di questo o quel leader. Un teatro del conformismo, insomma.

Questo accade non per caso. Accade perché viviamo in un’epoca di residualità democratiche e costituzionali, che non parlano più al cuore delle persone né rispondono più alle esigenze, ai desideri, ai sogni delle loro vite. La democrazia è un bene deperibile, tale che se non si nutre di passione democratica, larga e condivisa, come si dovrebbe avere verso un bene prezioso, non possono che vincere i Renzi, che ne possono fare a meno. L’hanno infatti sostituita con quella che chiamano la democrazia decisionale, di ispirazione neoliberista, che è tutt’altra cosa, ma a molti appare ormai un’alternativa al niente della vecchia politica. Un’alternativa rischiosa. Ma vallo a spiegare.

Residualità democratiche e residualità costituzionali, utilizzabili come va il vento e di cui si alimentano il notabilato e il trasformismo dilagante. Il partito della nazione in costruzione ne sta diventando l’emblema.

In Italia l’unità del sistema costituzionale non c’è più. Il problema andrebbe affrontato, se si vuole dar vita davvero al rilancio di una politica di sinistra diversa. Alcuni articoli della Carta del ’48 sono stati profondamente modificati nella loro “funzione”, oltre che nel loro senso; altri sono stati svuotati di significato, altri ancora semplicemente non sono mai stati applicati. E, soprattutto in Costituzione è stata inserita la “regola aurea” del pareggio di bilancio, con la “riforma” dell’articolo 81. E il tutto è avvenuto attraverso il voto di un Parlamento delegittimato e nel silenzio compiacente dei media. Con quell’inserimento è lo stesso assetto dei poteri “pubblici” su cui poggiava la Carta del ’48 a essere stato modificato. Ma il tutto è passato come acqua fresca.

Questo per dire che la concentrazione dei poteri, di cui si sta rendendo responsabile l’attuale premier ,con il combinato disposto di riforma del Senato e legge elettorale, si nutre di un processo di svuotamento del carattere strettamente ordinamentale della Costituzione, che altri prima di lui hanno avviato e alimentato.

L’Italicum per Renzi è, per tutto questo, la sfida delle sfide. Se ce la farà è perché dimostrerà di essere come si presenta e il senso della sua sfida è proprio questo.

Ha ricevuto l’ennesimo endorsement da parte di Giorgio Napolitano, che, a proposito delle difficoltà che il premier incontra per concludere l’iter parlamentare della legge elettorale, ha sprezzantemente parlato di “spregiudicate tecniche emendative che hanno l’unico scopo di affossare le riforme”, chiarendo che non si torna indietro rispetto al testo già passato al Senato. Mossa tra l’altro, quella di Napolitano, al limite dello sgarbo istituzionale nei confronti del nuovo Presidente della Repubblica, che, si presume, sarà ben libero di esprimere liberamente il suo parere quando la legge arriverà sul suo tavolo. E’ noto d’altra parte il parere dell’attuale Presidente Mattarella, già giudice della Consulta, sul Porcellum, che la Corte ha bocciato, e di cui la nuova legge ricalca gli aspetti deteriori, tra magici cerchi di nominandi e insopportabili esorbitanze premiali da attribuire a chi vince. Forse Napolitano teme perplessità presidenziali su questo versante e reinterpreta a favore del premier il ruolo già ampiamente svolto di Lord Protettore del “giovane” leader.

Di suo, d’altra parte, Renzi ci mette di tutto. Minaccia che salirà al colle, che farà sfracelli, che se la vedranno con lui, i riluttanti agli ordini di scuderia.

Minaccia soprattutto il voto di fiducia sulla legge elettorale. Ne parlano apertamente la ministra Boschi e un po’ più sobriamente il braccio destro di Renzi Guerini: un atto di insolenza istituzionale degna della politica corsare di Renzi e della sua squadra, nonché un grave strappo costituzionale, come scrivono le opposizioni, tra cui Sel, al Presidente della Repubblica. Ma questo strappo non solo è una tipica e ovvia mossa renziana, ma, soprattutto, insisto, è il frutto del tempo che viviamo, di un Parlamento ridotto a ufficio del bollo delle decisioni di Palazzo Chigi e sottoposto nei fatti a una torsione ordinamentale che attribuisce all’esecutivo poteri pressoché totali su tutto, deprivando la rappresentanza democratica della propria funzione di legislatore. Perché no, allora, il voto di fiducia sulla materia elettorale? Ma è materia di tutti, legge fondamentale che deve trovare d’accordo il più possibile tutti, dice sacrosantamente Bindi. Tutti chi? Può rispondere uno dei tanti giovani no future che percorrono le piazze reali del Paese alla ricerca della propria vita.

Discutiamo quanto volete – va cantilenando gioiosa Elena Boschi – “bella e impossibile” ministra delle riforme – ma intanto noi abbiamo deciso quello che gli italiani vogliono e voi dovete stare alla disciplina di partito.

Disciplina di partito e Renzi. Sembra un ossimoro concettuale e invece è il frutto di un inaridimento della democrazia. Una volta il problema era più democrazia nei partiti, oggi è più disciplina in quel che sopravvive alla crisi dei partiti. Spesso solo filiere di notabilati quando non vere e proprie bande di politici d’assalto.

Con Renzi e la sua squadra di fedelissimi sembra di essere stati catapultati in piena epoca di disciplinamento, dopo quella del godimento festaiolo di Berlusconi e dopo quella della contrizione per debito di Monti e Letta. Ma anche sulla disciplina c’è oggi conformismo mediatico.

La scommessa di Renzi sull’Italicum, l’ostinazione con cui difende l’indecoroso testo così denominato, fino alla sfida finale con la minoranza del suo partito, hanno ovviamente poco a che vedere con la preoccupazione politica di portare a temine il “necessario, sono vent’anni che se ne parla” percorso di rinnovamento degli assetti istituzionali, e di rispondere così alle attese degli italiani, come Renzi stesso e la sua squadra amano ripetere fino allo sfinimento. Le attese degli italiani non c’entrano nulla. Non c’entra nulla persino l’Europa. Non c’entra nulla, soprattutto, la ripresa che forse un po’ c’è ma poi si vedrà se c’è davvero.

L’Italicum è per Renzi soltanto lo strumento per assicurare a se stesso il tempo e i modi del suo futuro politico. Gli offre infatti l’opportunità di riorganizzare i ranghi del partito democratico con una robusta risciacquatura in Arno delle parti che sono rimaste fuori dai lavacri della Leopolda ma che nel frattempo hanno subito il fascino del nuovo leader e sono già saltate o pronte a saltare sul carro del vincitore. Serve per questo uno strumento per selezionare la “nuova classe dirigente” da collocare nelle istituzioni, nazionali e territoriali, che sia fedele, fidelizzata e al massimo disponibile alla fidelizzazione, come richiede il modello “partito della nazione” a cui Renzi aspira. Per questo non si può rinunciare all’Italicum che ha tutte le caratteristiche necessarie: il ferreo sistema di nomina della rete dei fedeli e lo strabocchevole premio di maggioranza alla lista vincitrice. E il tempo è adesso, ancora segnato dal successo delle europee e dallo spirito di perdurante attesa fiduciosa dell’elettorato. Nonché dalla possibilità di utilizzare a sfacciati fini di beneficio elettorale, nell’imminente voto regionale, il tesoretto all’improvviso sgusciato fuori dalle pieghe dei conti. L’imperativo è non lasciar sfuggire l’occasione d’oro, che forse potrà non ripresentarsi più.

Il tempo è adesso, per lui e per la nuova leva politica che intorno a lui e grazie a lui è cresciuta e che grazie all’insipienza politica e all’autoreferenzialità degli altri – quella che oggi è la composita galassia delle minoranze – è arrivata sulla tolda dl comando e accumula nelle proprie mani poteri a gogò.

Insipienza e autoreferenzialità delle minoranze dem che tutti gli accadimenti continuano a confermare. Anche, ahinoi, l’ultima “incandescente” riunione del gruppo della Camera. Se ne vedranno delle belle? Vedremo.

 

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