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Martedì, 10 marzo 2015

Je suis grec

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L’antico ammonimento “de te fabula narratur” si è, negli ultimi tempi, interiorizzato nella consapevolezza che, in molte occasioni, fa dire a ciascuno di noi: “la favola parla di me”. Questo e’ il senso della moderna espressione di compartecipazione al dramma che ha suonato e suona: je suis Charlie.

La stesso atteggiamento dovrebbe esprimersi di fronte alla tragedia Greca. Perché je suis grec? In che senso e in che modo non dobbiamo limitarci ad essere paternalisticamente indulgenti verso i greci, ma sentirci legati ad un identico destino? Il modo come affronteremo il tema e’ decisivo per presentarci con maggiore chiarezza all’appuntamento di fine aprile quando severissimi giudici, che si considerano esenti da colpe, dovranno esprimere il loro verdetto sulle misure che saranno adottate dal governo greco, dopo quell’accordo del 24 febbraio, che ha concesso una boccata d’aria alla Grecia, in attesa di un successivo durissimo show-down.

E’ assolutamente decisivo che tutta l’Europa, tutti noi, si vada a quell’appuntamento con un nuovo approccio. Che abbandoni la stravagante idea che a quel confronto si presentino, da un lato, le immacolate istituzioni europee, e, dall’altro, il colpevole, nelle vesti dell’attuale governo greco. In realtà le cose non stanno così.

Come si legge giustamente in un appello di sostegno alla Grecia, che ho avuto l’onore di firmare, finora e’ stato “dominante l’assunto che la Grecia, perché paese debitore, sia automaticamente tenuta a rispettare gli impegni, indipendentemente dalla sua capacità a farvi fronte e che l’Europa, perché principale creditore, sia automaticamente abilitata a dettare le politiche per il risanamento economico, giudicarne i comportamenti e deciderne il destino. Tutto questo nonostante il fallimento delle terapie fin qui imposte alla Grecia e che hanno avuto come risultato, non solo l’aumento vertiginoso del debito pubblico, ma la riduzione in povertà della maggioranza del popolo.”

Questo stato di fatto mi fa dire che nella vicenda ci sono in realtà tre soggetti. Due colpevoli: le politiche imposte dalla Troika e le vecchie classi dirigenti greche responsabili di avere, prima, falsato i conti e, poi, accettato la linea dell’austerità imposta dall’alto. E, dall’altra parte, il nuovo governo greco, espressione di un voto popolare che ha spazzato via i responsabili del debito e del successivo declino, che intende perseguire una propria linea di politica economica capace sia di onorare, in tempi e modi ragionevoli, il debito e sia di favorire la ripresa.

Occorre andare oltre la coltre di mistificazioni tendenti a nascondere le vere colpe. Per comprendere la portata delle responsabilità di lungo periodo bisogna andare alle radici di una cultura economica, quella neoliberista, che, ormai, ha fatto palesemente fallimento. Si tratta di una cultura che si fonda su una mistificazione, quella secondo cui sarebbe stata la grande inflazione del periodo di Weimar a favorire l’avvento del nazismo.

In questa narrazione ideologica ci si dimentica che agli inizi degli anni trenta, poco prima dell’avvento nazista, una maggiore rilevante deflazione fu affrontata dal governo Bruning cercando di difendere l’aggancio della Germania all’oro attraverso una politica deflazionista basata sulla contrazione del credito e su una rigida austerità.

Tale comportamento, e non lo spettro di Weimar , e’ stata la causa immediata di quel malessere del popolo tedesco che ha aperto la strada al nazismo. Questo strabismo storico e’ alla base del grande abbaglio delle politiche neoliberiste delle istituzioni finanziare europee impegnate sul fronte della lotta all’inflazione proprio quando all’orizzonte si intravedeva già lo spettro della recessione. E qui sta anche il diverso approccio alla crisi tra Obama e la cosiddetta Troika.

Ma c’è un altro aspetto dell’esperienza storica che inchioda le istituzioni europee alle loro responsabilità.

Prima della grande inflazione un governo altamente democratico, per l’appunto quello della Repubblica di Weimar, invece di essere aiutato dalle amiche democrazie occidentali, fu implacabilmente vessato, per colpe che non erano di quel governo, dalla richiesta di esose riparazioni di guerra, in un momento in cui la Germania non aveva nessuna possibilità concreta di fronteggiare quelle richieste. Anche allora la Germania aveva le sue responsabilità storiche, che la Francia e l’Inghilterra, poco saggiamente, riversarono sulla giovane e brillante democrazia tedesca, favorendo, in gran parte, il disastro economico e la vittoria della dittatura.

Questa antica favola parla ancora oggi di noi e della questione greca. Anche adesso si può dire che essenziali sono state le colpe dei precedenti governi greci, per non parlare dell’ irresponsabilità dei “lenders”.

Tuttavia come accadde alla repubblica di Weimar, Siryza non può pagare in toto i debiti e non potrà pagarli nemmeno domani senza politiche sociali ed economiche che puntino sulla ripresa. E questo non può farlo se rimane fedele ai protocolli e agli impegni firmati dai precedenti governi.

E’ evidente che un’ulteriore taglio della spesa pubblica trascina con se’ il crollo della stessa spesa privata. Infatti le politiche di austerità, attraverso tagli lineari, innescano una catastrofica spirale verso il basso che verrebbe pagata, oltre che dalla Grecia, anche dagli stessi creditori.

Al contrario una maggiore flessibilità da parte dei creditori che favorisca la ripresa dell’economia greca sarebbe nel loro stesso interesse.

Questi sono i fatti, il resto è ideologia.

I leaders europei hanno la grande responsabilità storica di trarre insegnamento dagli eventi del passato. Anche la Francia e l’Inghilterra avevano dalla loro il diritto, che era quello di esigere i crediti di guerra. Ma sbagliarono politicamente. Invece dei crediti si beccarono, e con loro tutta l’Europa, una ancora più disumana e costosa guerra mondiale.

Le istituzioni europee hanno sbagliato quanto le vecchie classi dirigenti greche, perché colpevoli di una errata interpretazione della fase e per aver continuato a combattere una immaginaria minaccia dell’inflazione impiegando anni a riconoscere che la vera minaccia veniva dalla deflazione. Per questo dovrebbero presentarsi all’appuntamento di aprile con immensa umiltà.

La maggiore apertura mentale di Draghi rispetto all’ossessione antinflazionista della vecchia Troika ha fatto intravedere uno spiraglio di speranza. Tuttavia occorre impedire che venga offuscata da rigidità politiche vendicative e autodistruttive.

Oggi all’Europa spetta decidere se vuole favorire il progetto storico della comunità europea, che era quello di fondare la pace e la democrazia sulla prosperità, oppure di puntare prima sull’ umiliazione e poi sulla sconfitta di Siryza, con la catastrofica conseguenza di favorire derive autoritarie e separatiste, che sono già in agguato.

Per tutti questi motivi possiamo dire ancora una volta “de te fabula narratur”, gridando forte e chiaro:“Je suis grec”.

Ps. Sarebbe bello che nell’imminenza del prossimo confronto l’Europa fosse attraversata da un fiume di fiaccole portate da migliaia di tedofori che indossano magliette o cartelli con la scritta: Je suis grec.

Commenti

  • francesco

    Ma dove lo avete pescato l’Occhetto? Ci vuole una bella faccia tosta a ripresentarsi in pubblico dopo aver sciolto il più grande Partito Comunista d’occidente, contribuendo fattivamente alla globalizzazione del Capitale che sta portando i popoli in una condizione miserevole e nella voragine delle guerre.
    Per favore, ritorni nel dimenticatoio della Storia.

  • giacomo conserva

    I partiti COMUNISTI qualche non minuscola responsabilta’ ce l’avevano…

  • Saverio

    Non dire scemare, il comunismo è puro capitalismo di stato, senza libertà e senza democrazia.
    Occhetto non voleva portare la sx a dx ma darne nuovo impulso e nuovo slancio.
    Chi è venuto dopo di lui ha fatto cose estranee all’abc della sinistra