Jobs Act: l’assunzione confortevole di Matteo Renzi
Il discorso di Renzi, quello che si attende da un presidente del Consiglio di appena 39 anni, quello che attira attorno a sé gli occhi e le orecchie di migliaia di spettatori coetanei in attesa di veder cambiare il proprio Paese e il proprio futuro, cade nel vuoto. Fa un buco nell’acqua che non produce neanche appena due orbite circostanti. Il lavoro, il tema più importante a cui rimane attaccato l’interesse della maggior parte dei cittadini italiani, e a ragione, viene toccato appena. La dico come piacerebbe a lui: prende la traversa e schizza sugli spalti.
Ma chiaramente non è solo il discorso alla Camera né quello al Senato di lunedì a suscitare preoccupazione, quanto l’enfasi che ci mette per annunciare il Jobs Act, o meglio un disegno di legge delega, forse decreto, sul lavoro, che davvero non contiene né una riforma, né un bel nulla per innescare un cambiamento in quella realtà che ancora una volta l’Ocse ci ha palesato in questi giorni: un Paese in recessione e con un tasso di disoccupazione ancora in crescita (+0,3% ).
Le risposte che il governo dà al 42,9% di disoccupazione giovanile sono fumose e non risolvono in alcun modo l’atavico, ormai, problema del precariato esistenziale. Ovvero, quella categoria che si è creata a partire dalle 46 forme contrattuali disponibili affinché un datore di lavoro, per poter risparmiare e andare avanti, non avesse bisogno di lavoratori a tempo indeterminato ma si accontentasse di averli solo per un po’, pagandoli e tutelandoli meno, per poi mandarli a casa e sostituirli.
Nel disegno di legge è presente un articolo che riguarda il riordino delle forme contrattuali, ma in realtà non viene enunciata nessuna soppressione, anzi semmai, viene data la possibilità di introdurre nuove forme contrattuali ove il mercato del lavoro lo renda necessario. Come ad esempio quello a tutele crescenti, un nuovo tipo di contratto dove vieni tutelato solo se hai la grande fortuna di esserti reso indispensabile per il tuo datore per almeno tre anni senza che lui nel frattempo abbia trovato un valido sostituto.
Ed ancora, c’è tutta una parte che riguarda una nuova Agenzia per il lavoro che si dovrebbe finalmente occupare di incrociare curriculum, carriere e offerta di lavoro a livello nazionale, senza tuttavia toccare il tema dei centri dell’impiego, 286 in Italia, e ormai centri fatiscenti che nulla giovano a trovare lavoro: perché semplicemente non sono dotati degli strumenti adatti per svolgerlo, personale qualificato compreso. Per non parlare poi del demansionamento, previsto anche questo dalla legge delega, secondo cui il datore del lavoro può in fondo dequalificare secondo le proprie necessità, o convenienze, il lavoratore.
Quanto basta serve a dire che qui il problema non è l’articolo 18, congelato nel contratto a tutele crescenti, e non è sicuramente il solo, e forse è anche l’ultimo. E parlare solo di questo, come ultimo baluardo della sinistra, come appiglio per protestare, è quanto mai deprimente, perché non indaga a fondo la realtà. Il problema è l’impianto generale del disegno di legge. Non si può pensare di risolvere il problema del precariato estendendo, a mille condizioni improbabili, il sussidio di disoccupazione ai co.co.co., o rinforzando contributi alla maternità, quando di fatto appena una donna rimane incinta non le viene nemmeno rinnovato il contratto di lavoro. Qui il tema che il premier non coglie, o lo fa male, è che una grossa fetta della popolazione italiana lavora nove mesi si e quattro no per lunghissimi periodi di tempo, invia curriculum vitae ogni settimana in qualsiasi mese dell’anno anche se assunto (a tempo determinato), prega ogni sera che il giorno dopo non commetta un errore sul posto di lavoro perché altrimenti viene licenziato (d’altronde non serve una ragione al licenziamento). E’ tutto ben lontano dalla flessibilità, ed è tutto troppo lontano dalla continuità di reddito.
Tutto si tiene, ahinoi. L’Italia è uno dei paesi più vecchi al mondo, e il tasso di natalità è sceso nel 2013 ancora del 4,3%. E le ragioni sono due, sempre loro: precarietà e incertezza nel futuro. D’altronde, quali sono le misure del Jobs Act per assicurare a un giovane adulto che verrà non solo tutelato, ma anche valorizzato, qualificato, promosso, sul posto di lavoro? Non ve n’è nessuna. Non c’è alcun motivo per cui un giovane adulto, dai 30 ai 40 anni, di quella famosa generazione perduta di Mario Monti, dovrebbe essere incoraggiato a sognare un futuro: non può ottenere un mutuo per costruirsi una casa perché laddove c’è incertezza sulla continuità della busta paga nessuna banca lo dà, programma sempre più tardi di farsi una famiglia, non riesce a emanciparsi totalmente ed economicamente dai suoi genitori, che, se possono, mettono a disposizione la propria pensione. Nulla cambia di tutto questo con il Jobs Act, nulla.
La metà dei giovani e giovani adulti di questo Paese vive con l’aiuto dei genitori, per mancanza di opportunità e non di voglia di lavorare, e non avrà, a causa delle 46 forme contrattuali con cui possono semmai essere assunti, mai accesso ad una pensione dignitosa. Con cosa vivranno i figli e le figlie della generazione perduta? Dove, con quali soldi potranno permettersi l’università? In quale misura crescerà ancora il lavoro sommerso, pur di guadagnare qualcosa? Non c’è, nel disegno di legge presentato in questi giorni, alcuna visione a lungo termine sulle future generazioni. C’è una misera visione del domani prossimo, se ce la fai. Uno su quattro milioni ce la fa, verrebbe da dire, un po’ come un gioco ad ostacoli, Super Mario, per capirsi tra noi.
Ebbene, c’è una proposta di legge, ce ne sono tre anzi, nelle stanze della Camera dei Deputati, sul reddito minimo garantito. Proposte che prevedono continuità di reddito, speranza nel futuro, opportunità di non accettare il primo lavoro a due spicci ma continuare con il percorso formativo e lavorativo che viene scelto. Di tutto ciò Renzi non ha fatto cenno né nel suo discorso, né tanto meno nel Jobs Act.
Per chi ha 39 anni oggi, come il premier, ha tre possibilità per vivere in Italia: 1. Spezzarsi la schiena e muoversi come una palletta di un flipper tra un datore di lavoro e un altro in cerca del contratto migliore 2. Andarsene 3. Porgere più di una guancia ai propri capi per sperare di rimanere al proprio posto ed avere un’assunzione più confortevole. Renzi non è tanto diverso dagli altri trentanovenni, ma non sta con quelli che si spezzano la schiena. Ha scelto l’opzione n.3. Porgere più di una guancia ai propri capi, da Berlusconi a Sacconi, grandi imprenditori alla ricerca del basso costo del lavoro e basse tutele, per stare al proprio posto, quello di presidente del Consiglio. Un’assunzione, direi, più che confortevole.
*Tilt!