La Campania al bivio
La vicenda delle primarie campane è in tutta evidenza il prodotto di una situazione di cui nessuno ha mai davvero avuto il controllo. Dopo mesi di giravolte, di nomi lanciati e ritirati, di missioni ”risolutive” dei dirigenti nazionali, costretti a ritornare a Roma con nulla di fatto, si è arrivati al paradosso di avere in corsa contro Caldoro un candidato che, se eletto, rischia perfino di non essere insediato come presidente per effetto della sospensione della legge Severino. Vincenzo De Luca è un uomo a cui non fanno difetto le certezze, ma di fronte al rischio che la Cassazione dichiari competente a pronunciarsi sulla sospensione il tribunale ordinario anziché il Tar, anche l’ostentata sicurezza dell’eterno sindaco di Salerno dovrebbe cedere il posto a un momento di riflessione piuttosto che al vortice di propaganda all’ingrosso che l’uomo sa produrre in quantità. Ma così non è, e si va avanti verso un esito che rischia innanzitutto di consegnare ancora una volta alla destra- proprio adesso che nel paese la destra berlusconiana si va squagliano davanti del populismo di Salvini- la regione più importante del Mezzogiorno.
Eppure non erano mancati gli appelli a trovare una soluzione condivisa, che potesse proporre una soluzione avanzata ai cittadini campani esausti per gli effetti disastrosi di una crisi che ha macinato posti di lavoro, redditi, sicurezza, che ha sottratto anche la minima certezza sui diritti elementari come quello alla salute e alla mobilità. Sel, insieme alle altre forze del tavolo della sinistra, attivo da diversi mesi, ha più volte proposto di azzerare il quadro e di ricominciare daccapo, garantendo un percorso di partecipazione in grado di delineare una proposta di cambiamento vera. Una proposta alternativa non solo alla destra grigia e ragioneristica, che in nome di un’austerity di provincia ha distrutto il sistema dei trasporti locali e minato le fondamenta della sanità pubblica, accompagnando inerte, non si capisce se per più per dilettantismo o dolo, lo smantellamento del sistema produttivo, ma anche all’atteggiamento assunto dal Pd, rimasto schiacciato per troppo tempo su una logica consociativa da stampella a un governo regionale debolissimo. Questo scatto in avanti non si è prodotto e bisogna prenderne atto.
Occorreva invece una proposta forte e larga, in grado di rispondere sul terreno della politica e di avanzare proposte programmatiche chiare e leggibili. Un forte degrado segna il tessuto economico e sociale regionale: la Campania è agli ultimi posti rispetto alle altre regioni meridionali per tasso di occupazione, per indici di disuguaglianza sociale, per livello di povertà, una povertà che si sta diffondendo in modo endemico alimentando nuovi flussi migratori. L’amministrazione Caldoro non riesce neanche, in una situazione così grave, a utilizzare decentemente i fondi europei. Se la souplesse di una destra inamidata rappresenta una risposta indigeribile a questo stato di cose, è dubbio che il populismo dall’alto agito da De Luca possa essere la risposta giusta. Il sindaco del Crescent si presenta come l’uomo del fare che ha sempre in tasca la soluzione, come il campione meridionale e l’anticipatore del renzismo capace di travolgere le trappole della burocrazie e le inframmettenze della politica politicante. Insomma, l’uomo solo al comando in versione campana. Tutto già visto, tutto già sentito.
Questa miscela di populismo e propaganda efficientista (per amministrare cosa, le macerie?) si situa però troppo al di qua di quello che è necessario per risalire la china. De Luca è un vecchio uomo di governo del territorio, regna su Salerno con mano d’acciaio- direttamente o meno- da più vent’anni. Non è però uomo che costruisce alleanze, se non nella cucina del trasformismo elettoralistico, né appare in grado di esercitare un ruolo in grado di mettere un freno, con un protagonismo politico fondato su una forte legittimazione, all’accelerata dismissione della Campania. Invece serve esattamente questo: non un bravo (?) amministratore solo al comando, ma un progetto politico in grado di costruire consenso per lavorare a un’inversione di rotta. C’è bisogno di scavare nel campo ancora largo dell’elettorato progressista della Campania per dare rappresentanza a quel mondo apparentemente sommerso ma vitale che intorno a temi cruciali come l’acqua pubblica, la difesa della sanità e dei trasporti ha costruito percorsi di mobilitazione e partecipazione. E da qui interloquire con il governo nazionale. Insomma, riuscire ad avere voce in capitolo chiedendo politiche nuove – soprattutto politiche industriali- per la Campania. Con l’obiettivo, ambizioso e necessario a un tempo, di rimettere tutto il sud nell’agenda politica nazionale.
Può fare questo chi è quasi sicuro di non poter governare se verrà eletto? Può intestarsi la battaglia per il Mezzogiorno un uomo che scambia le pose gladiatorie per efficacia e la retorica populista come lasciapassare per ogni scelta anche la più discutibile? Ma c’è un’altra domanda che dovrebbe rimbombare nelle orecchie dei dirigenti del Pd e soprattutto del suo segretario nazionale: ci si può assumere la responsabilità di abbandonare la Campania al suo destino per assegnare priorità alle piccole guerre intestine, lasciando persino immaginare che le ombre del patto del Nazareno si siano allungate fino alla vicenda campana? Una domanda che è rimasta ad oggi senza risposta.
In Campania una sinistra larga e unita ha messo in campo una proposta di governo che sfida il Partito democratico oltre che la destra. Non si tratta della bandiera alzata preventivamente di fronte all’impossibilità di costruire una soluzione più larga, ma di una vera proposta di cambiamento avanzata ai cittadini della Campania. E’una proposta in cui si impegna uno dei più rappresentativi ed esperti dirigenti della sinistra del Mezzogiorno, che si rivolge a chi chiede il cambiamento senza cadere nella trappola del populismo. Sbaglia chi pensa – qui si vede semmai quanto l’antipolitica sia diventata senso comune anche a sinistra – che la presenza dei partiti sia la palla al piede di questa proposta. E sbaglia chi, ancora a sinistra, pensa che sia l’autonomia del sociale ad avere questa volta diritto di parola: si confonde così il progetto in formazione della coalizione sociale lanciata da Landini con cui la sinistra interloquisce (ma andrebbe detto che una qualche coalizione sociale sostiene sempre ogni progetto politico dotato di massa critica) con una desolante pulsione all’ autoreferenzialità. Si è aperto invece un campo politico che incrocia anche il tema della ricostruzione della sinistra in Campania e nel Mezzogiorno, ma che evita la scorciatoia dell’autorappresentazione e gioca la difficile scommessa di ridare voce non solo a chi è rimasto sotto le macerie dell’uso politico della crisi ma anche a chi prova a scrivere una pagina inedita partendo da un altro punto di vista.
Una sfida al limite dell’impossibile? Forse. Ma la storia del sud è sempre stata una storia di svolte inattese. E se di fronte a un bivio che conduce a un cammino segnato c’è la possibilità di un’altra scelta, allora questo scarto potrebbe essere non solo un gesto di speranza ma già un atto di costruzione del futuro.
*coordinamento prov.le SEL Napoli
Commenti
-
alfa