La casella
Se mai dovesse andare in porto il disegno di Renzi di occupare, nella distribuzione degli incarichi europei, la casella che è stata di Lady Ashton, ottenendo che venga attribuita a Federica Mogherini, l’Europa, come è doveroso ricordare, continuerebbe a restare priva di una politica estera (e non per responsabilità di chi subentrasse), mentre Mogherini, attuale ministra degli Esteri del governo italiano, passerebbe da un ruolo politicamente di primo piano (al di là di come dovesse gestire il suo incarico) a uno eminentemente di contorno, privo di qualsiasi potere e influenza.
La politica estera infatti, come è noto, viene espressa dagli Stati ed è nelle mani di governi e parlamenti. Ma l’UE ancora oggi non ha nulla a che vedere con uno Stato, e questo aspetto pesa in modo emblematico proprio in materia di politica estera. Il ruolo ricoperto fino a ieri da Lady Ashton non ha avuto, neanche in piccola dose, il valore istituzionale e simbolico di cui normalmente viene rivestito un Ministro degli Esteri e il gap tra i problemi che l’Europa si è trovata di fronte in questi anni e il ruolo che Lady Ashton ha potuto esercitare ha rappresentato una costante fin troppo evidente dei rapporti internazionale. Il gap è via via cresciuto, l’Europa non c’è stata, la sua voce non si è sentita. Ci sono stati gli Stati, soprattutto quelli segnati dalla vocazione a rappresentarsi e ad agire come “grande potenza”, e ci sono interessi politici e geostrategici non coincidenti, rapporti con le potenze emergenti – oggi la nuova Russia di Putin – non sovrapponibili, spesso, almeno potenzialmente, divaricanti.
L’Europa continua a caratterizzarsi per essere ancora soprattutto il frutto di un’intesa tra governi, interessati tutti a stabilire un equilibrio tra loro, in cui ogni Paese abbia il più possibile da guadagnare o, soprattutto quelli dell’area mediterranea, il meno da perdere. La logica dominante è quella dell’equilibrio tra potenze, proprio il contrario di una prospettiva comune.
Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, dedica ampio spazio alla politica estera dell’Unione europea. D’altra parte, stilando un trattato di quella natura e volendo affrontare il destino dell’Ue in rapporto alla dimensione globale del mondo, come si potrebbe negare l’esigenza di dare spazio a un tema di tale importanza? Ma gli articoli e il lungo dibattito emendativo che ha portato al Trattato, non colmano il gap. Sull’Europa ha continuato a pesare la sua storia più recente, hanno pesato le occasioni mancate, i fallimenti, le subalternità (alla Nato soprattutto, che gioca più il ruolo di un surrogato della politica estera dell’Ue che non quello di un’alleanza ex aequo con gli Usa), e le troppe scelte concrete che hanno impedito all’UE di assumere quel ruolo autonomo di attore politico su cui sono stati scritti fiumi di parole. I fallimenti degli anni Novanta (Bosnia, Ruanda, Kosovo) e le divisioni dei primi anni Duemila (la bushiana war on terror, l’Iraq), fanno parte di un quadro pregresso che continua pesare come blocco inibente per un approccio “euopeo” ai problemi, come ostacolo strutturale all’assunzione di una responsabilità condivisa.
Anche vicende più recenti confermano questo dato negativo, che è tutto politico, manifestazione di quell’interesse nazionale che varia a seconda dei Paesi in gioco. Basta osservare il comportamento degli Stati europei, in drammatiche vicende di conflitti che continuano a occupare la cronaca e che hanno a che vedere con gli interessi di contiguità dell’Europa. In Libia la Francia si è fatta protagonista dell’implosione del regime di Gheddafi, l’Italia ha provato fino alla fine a mediare, sulla lunga scia di amicizia e accordi di Berlusconi con Gheddafi, la Germania si è completamente defilata e altri Paesi sono rimasti in una posizione intermedia. La stessa gamma di differenti valutazioni sul che fare ha caratterizzato l’Europa di fronte alle vicende della Siria, dell’Egitto e dei vari conflitti che attraversano l’Africa, il Mali in particolare.
Per questo va detto con chiarezza che nonostante i nuovi strumenti istituzionali previsti dal Trattato Lisbona, come la figura dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e il Servizio europeo per l’azione esterna, L’Ue non ha fatto nessun reale passo avanti, rimanendo imprigionata nei limiti strutturali che ne impediscono la soluzione. In particolare appunto quel “dogma intergovernativo”, che è il focus della Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC). Ha certo anche drammaticamente pesato la crisi economica mondiale e le sue ripercussioni sulla tenuta interna dell’UE, che ha fatto balzare in primo piano le questioni del debito, dei vincoli, e tutto il resto, marginalizzando qualunque discorso sull’azione esterna dell’Europa. Ma le profonde divisioni emerse in più occasioni, che hanno riproposto le consuete logiche basate su interessi e priorità esclusivamente nazionali, rappresentano il problema di fronte a cui bisogna rispondere in una logica europea. Per questo più che della casella sarebbe opportuno che Renzi, nel semestre di presidenza italiana, riuscisse almeno ad avviare il discorso sul che fare affinché quella casella non rimanga ancora solo una casella.
nella foto la ministra degli Esteri italiana Federica Mogherini
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alberto ferrari
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Elettra Deiana
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