Sei in: Home › Attualità › Notizie › La clausola
Giovedì, 4 dicembre 2014

La clausola

07desk-riapertura-renzi-senato-889147

Italicum subito ma con applicazione solo da gennaio del 2016. Il premier la chiama “clausola di salvaguardia”. Salvaguardia di tutto ciò che lo riguarda, c’è subito da notare, salvo che della democrazia come ordine delle cose, regole e procedure. E della Costituzione, ovviamente. E’ la mossa – forse vincente – di Renzi per districarsi nell’intreccio di tempi e scadenze che gli impediscono di programmare con agio il calendario futuro della sopravvivenza della legislatura. Fa parte delle sue ipotesi ritornare alle urne prima che, alla prova dei fatti,  lo strabiliante successo del maggio scorso alle europee si logori. Ma non è così facile, ovviamente, perché, per ragioni esattamente contrarie, Berlusconi, l’alleato principale nella grande avventura “costituzionale”, vuole che la legislatura duri il più a lungo possibile, permettendogli di capire come lui possa ritrovare un ruolo più pieno e incisivo nella partita. Grande politica, insomma.

Nella salvaguardia dei suoi calcoli e della sua libertà di movimentazione, Matteo Renzi batte il leghista senatore Calderoli, esperto di cavilli parlamentari e anche lui alla ricerca di una “clausola di salvaguardia” per bloccare la temuta corsa del premier alle elezioni anticipate. Calderoli ha ipotizzato la formula di un Italicum strettamente legato ai tempi della conferma definitiva della riforma del Senato. Insomma un gioco al massacro di regole e procedure e sostanza della democrazia, dove Renzi batte persino l’altro in disinvoltura istituzionale. Calderoli almeno evita di mettere sotto tutela il calendario della legislatura.

Ciò che lascia stupiti – per chi ancora si ricordi che in democrazia è buona cosa stupirsi – è l’assoluto clima di normalità con cui la notizia della mossa renziana è stata accolta ed è subito rimbalzata di talk in talk, di chiacchiera mediatica in chiacchera mediatica. E, soprattutto, metabolizzata in un generale clima di soddisfazione e compiacimento. Come per uno scampato pericolo.

C’è forse in questo clima la convinzione che, allo stato delle cose, non sono certo elezioni anticipate la soluzione migliore per voltare pagina in Italia. Ma in ambienti parlamentari pesa di più certamente la preoccupazione strettamente personale di molti eletti che la fine della legislatura, nell’attuale fluidificazione del sistema politico, comporti complicati rischi per riconferme future e personali aspettative sul futuro. E tutto il resto. E’ oggi questo aspetto dell’interesse personale il prevalente di molta politica, una delle cause della sua crisi endemica, inarrestabile.  Lo spirito di privatizzazione di ruoli e cariche, lo scollamento irrimediabile tra rappresentati e rappresentanti, che diventa stucchevole materia dell’inutile e dannoso blablare dei talk. Ed è ciò che maggiormente corrode la spirito pubblico e la pubblica responsabilità, inoculando il veleno dell’assuefazione a tutto. Compreso ormai il peggio. La vastità dei fenomeni di corruzione, d’altra parte, lo dimostra, da un altro lato, certamente, ma quanto mai esemplare per darci l’idea della qualità di un tracollo in cui la politica dei partiti nel loro complesso gioca un ruolo decisivo e ha delle responsabilità gigantesche.

E se di fronte all’ecatombe della partecipazione al voto in una regione come l’Emilia Romagna, Renzi fa spallucce, c’è poco da scandalizzarsi se poi lo stesso personaggio tratta la materia istituzionale secondo la logica dei “fai da te”, ormai da tempo invalsa nel nostro Paese.

Che significa che in una democrazia si voti una legge elettorale, colmando quello che di fatto era già un preoccupante vuoto legislativo, in parte discutibilmente sanato da una sentenza della Corte Costituzionale, e il premier, motu proprio e con volpina bonarietà,  decida che per un anno i giochi sono congelati, rien ne va plus, con hastag state sereni al seguito? Chi decide sui tempi di applicazione di una legge che il legislatore ha definito col voto finale come tale? Dove si stipulano i patti extra istituzionali che stabiliscono che per un intero anno vige una “clausola di salvaguardia”, che interdice l’istituzionale ricorso, in caso di necessità, alla legge elettorale, cioè interdice in altre parole la ciccia del patto democratico: una sempre possibile, in qualsiasi momento, crisi di governo, la possibilità di uscirne anche con altre maggioranze, un eventuale scioglimento delle Camere in caso di impossibilità e l’ovvio ricorso alle urne?

Tutti aspetti, tutta materia che non è direttamente a disposizione del premier. C’è di mezzo ovviamente il ruolo di primo piano del capo dello Stato, nella verifica dello stato dell’arte, e c’è di mezzo la sovranità del Parlamento che, investito di verifica presidenziale sulle variabili possibili, può acconsentire con voto di fiducia ad altre coalizioni di governo per salvare la legislatura. Né Renzi, arrivato a Palazzo Chigi per sua personale manovra di palazzo, dopo altri due premier proiettati nello stesso modo dall’alto a etero-guidare il governo,  può tirare in ballo che, all’improvviso, ci voglia l’investitura popolare.

Matteo Renzi mercanteggia la sua clausola come oggetto di scambio per una rapida conclusione dell’iter dell’Italicum.  Un altro anno di legislatura sicura insomma  – via dunque lo spauracchio, di cui si blatera nei Talk e in Transatlantico, delle elezioni nella prossima già incombente primavera  – ma in cambio subito l’Italicum, subito l’approvazione definitiva della legge elettorale, a forte ispirazione maggioritaria, che piace al premier. Su di essa lui scommette per la sua carriera, che è  ovviamente la condizione principale a cui, come da mantra nazional pop, è collegato il “bene degli Italiani”.

A che punto siamo con la democrazia: questa la domanda che dovrebbe assillarci di fronte all’estrema disinvoltura delle mosse renziane;  e soprattutto dovremmo farci assillare dal costatare  che tutto è via via metabolizzato come “ovvio” dall’opinione pubblica e dal sentimento popolare. Fenomeni come l’esibizione di furbizie istituzionali e contromosse di ogni tipo, i calcoli di bottega dell’uno, Renzi e dell’altro Berlusconi, fino a ieri all’ombra protettiva del Presidente Napolitano, ora, dopo le ultime precisazioni del Colle, non più, alimentano l’intorpidimento degli animi intorno alle regole della democrazia e al loro senso. Non servono a risolvere i problemi che assillano le persone e chi le governa fa come vuole. E allora? Allora estraneità, fastidio, senso di oppressione e indignazione non possono che crescere.

Allora, mai come in questa fase storica, la democrazia e la risposta ai giganteschi problemi della vita delle persone e della vita pubblica stanno insieme e da qui si misurerà una politica alternativa che volesse essere tale.

 

Commenti