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Mercoledì, 16 luglio 2014

La fine del primato del Parlamento come sede della sovranità popolare

Camera

Il modo delle cose dice spesso le cose, e spesso in maniera più chiara e stringente dei grandi discorsi. Il “modo ancor m’offende” avrebbe potuto dire il grande fiorentino del quattordicesimo secolo al rampante fiorentino di oggi, avventurosamente insediatosi a Palazzo Chigi. Renzi ha trasformato la lingua madre, quella magnifica del primo, in un tweet e tratta i senatori della Repubblica contrari alla sua riforma, di ogni parte politica siano, come gufi e frenatori, solo attaccati allo scranno. Il manifesto disprezzo contro il dissenso politico, soprattutto quando si eserciti sul terreno delle regole fondamentali – quelle per cui lo stesso premier si fa bello dell’accordo non proprio magnifico con Berlusconi – non è un incidente di percorso o l’esito della scarsa esperienza ed educazione istituzionale di un leader di provincia, balzato alle stelle del “Semestre Europeo a Presidenza Italiana”. E’ invece la cifra della Weltanschauung renziana, il succo della cosa.

Renzi sa dove vuole andare e sa bene, per istinto se non per dottrina, la differenza abissale tra democrazia rappresentativa e democrazia d’investitura, che è il radicale slittamento che stiamo vivendo da tempo. La prima, quella della rappresentanza, a Renzi non piace proprio, gli fa venire l’orticaria. Il suo modello è scegliere tra un leader e l’altro, senza chiacchiere, stando all’investitura – o magari al plebiscito – che il popolo – indistinta massa in attesa di qualche soluzione nelle mani del capo – attribuisca a un leader.

In questi giorni si è fatto un gran dibattito sulla “torsione autoritaria” in atto a causa delle riforme renziane, con il premier che se la ride dell’accusa e gli esperti di Costituzione che ce la mettono tutta a fargli capire la sostanza della critica. Si può negare, gli chiede per esempio Rodotà, che dalla combinazione tra nuova legge elettorale e riforma del Senato venga fuori un “enorme accentramento di poteri nelle mani dell’esecutivo e del premier”? La minoranza che arriva prima alla Camera si prenderà infatti un premio abnorme e avrà il potere di eleggere il Presidente della Repubblica, il Csm e tutto quello che vorrà, facendo scomparire, nel confuso intreccio controriformistico che domina la scena, quei dispositivi di controllo e contrappesi, fondamentali affinché un sistema democratico sia davvero tale. Con il rischio, tra l’altro che nel conseguente inevitabile bailamme delle dispute sulle decisioni prese a livello di Camera o Governo, aumenti in futuro il potere di controllo della Corte Costituzionale su tutto, creando un ulteriore disequilibrio tra i poteri dello Stato.

Sembra però che Renzi, al di là degli sbuffi, non abbia nulla da dire sulle obiezioni di metodo che gli vengono rivolte ma, soprattutto, non ha proprio nulla di ridire su quelle di merito. Ciò non dipende dal suo ignorare la materia – un’ignoranza che forse c’è ma è un dettaglio. Il percorso strategico che lui si è dato va oltre l’ordinamento democratico della Repubblica immaginato e realizzato dalla Costituzione del 1948 e non si ferma probabilmente al semplice rafforzamento della democrazia di investitura che così bene gli si attaglia. Il negativo processo metamorfico degli assetti democratici del Paese, che si è sviluppato nel tempo ed è arrivato a un punto, forse, di non ritorno, è a vasto raggio, tende a smobilitare tutto.

La “torsione autoritaria”, va parametrata ai tempi che viviamo, non ridotta al timore del “fantasma del duce che ritorna”. Capire che cosa sta cambiando o è cambiato nel profondo del sistema istituzionale e del corpus costituzionale è quanto mai necessario. Ogni epoca ha le sue cadute democratiche. Oggi la fine del primato del Parlamento come sede della sovranità popolare è evidente e la volontà, i sentimenti, le spinte popolari non hanno luogo per rappresentarsi, se non nel brusio rancoroso della rete. Cioè in un luogo che non ha sovranità se non quella assai discutibile che gli fornisce Grillo. E oggi occorre fare i conti anche con i continui e significativi slittamenti di ruolo e di prerogative del Presidente della Repubblica, nonché con la percezione positiva che di questi slittamenti si ha da parte popolare e da parte degli opinion makers del grande circo politico-mediatico. E’ ora dell’elezione diretta del Presidente, annuncia Forza Italia e presenta la sua legge costituzionale ad hoc. Difficile negare che non colga il momento propizio per la sua performance e soprattutto che non occorra parlare seriamente del presidenzialismo, prima che gli apprendisti stregoni che affollano la politica italiana si mettano d’accordo in qualche luogo separato per fornirci la ricetta buona all’italiana. O alla Renzi barra Berlusconi.

Siamo forse all’esito finale di un lungo processo di smottamento democratico, maturato soprattutto nel confuso passaggio dalla prima alla seconda repubblica e reso incandescente dalla lunga crisi economico sociale che viviamo negli ultimi anni, che ha portato alle stelle la sfiducia di elettori e elettrici verso l’esercizio del voto e verso istituzioni che non risolvono neanche più i problemi primari della vita. Un lungo processo che si è nutrito della crisi dei partiti – del loro indecoroso sistema di potere e della scia infinita dei suoi scandali e corruzioni – e del declino fino a esaurimento della forza della rappresentanza. Berlusconi ha fatto la sua parte, agitando per anni l’ideologia del primato del potere esecutivo e degli impedimenti che le regole costituzionali e istituzionali opporrebbero a tale primato. Renzi, da questo punto di vista, è il suo erede.

Il risultato della riforma del senato, se andrà in porto, come sembra assodato, visti i rapporti di forza in Senato, sarà solo un indecente pastrocchio: non senato delle Autonomie – non essendo l’Italia una Federazione né di Stati come gli Usa né di Lander come la Germania, ed essendo per di più in pista una riforma del già riformato Titolo V, che delimiterà i poteri delle Regioni; e non un senato con funzioni costituzionali, come potrebbero essere quelle di controllo e contrappeso rispetto all’operato del legislatore e dell’esecutivo.

Tutte queste preoccupazioni di ordine costituzionale sono forse ormai così lontane da sembrare inutili. In un simile contesto infatti l’inesistenza di un’opposizione di sinistra degna di questo nome, incapace di misurarsi con l’avanzata del complessivo modello sociale neoliberista, oltre che delle sue ricette economico-finaziarie, e incapace di conseguenza di cogliere la stretta connessione tra crisi sociale e crisi della democrazia, ha stravolto il sentimento popolare come poche altre cose, e rotto legami e riferimenti. E’ da qui che forse varrà la pena ricominciare: rendere viva e popolare, comunicabile e convincente una nuova semantica della democrazia e delle sue regole e procedure, che evidenzi come la democrazia e, per esempio, la povertà endemica che si sta sviluppando in Italia, l’esercizio di una sovranità popolare degna di questo nome e il collasso del mondo del lavoro e la mancanza di futuro per le nuovo generazioni, siano le facce dello stesso problema e per questo vadano insieme mese al centro della politica.

 

Commenti

  • Claudio Degl’Innocenti

    Renzi governa grazie a Sel. Italia bene comune, senza i voti di Sel, sarebbe arrivata dopo Berlusconi. Ma Renzi ha mai chiesto il parere di Sel sulle sue sedicenti riforme? E Sel ha mai rivendicato questo suo diritto?

  • francesco

    Sel dovrebbe semplicemente vergognarsi di aver fatto da supporto al PD aderendo al programma “Italia bene comune” che ha spianato la strada al ciarlatano di Firenze. Una sana autocritica non sarebbe sgradita se mai dovesse arrivare, volgendo lo sguardo a sinistra…

  • Elettra Deiana

    Francesco
    Italia bene comune sarebbe stato un governo diverso e le cose potevano offrire chances diverse alla politica, Tutto è sempre uguale a tutto per chi riduce la politica a certezze religiose. Sel non ha questa impostazione, può piacere o no ma non può essere accusata di colpe che non sono sue. La strada a Renzi , al suo governo, alla fascinazione bipartisan che il renzismo produce sulla società l’hanno spianata la crisi generale della politica e del sistema dei partiti, l’antiberlusconismo di maniera – Pd e ambienti mediatici connessi e certa sinistra giustizialista – la mancanza di risposte alternative alla spaventosa crisi economico-sociale che ha investito l’Italia alimentando il rancore popolare e il collasso della credibilità della democrazia, rendendo indigeribile la prospettiva dell’Europa e rendendo appettibili la logica del “fare subito e tutto” di Renzi, e cose di questo calbro. Nell’insieme di queste cause e di altre che non elenco per farla breve, ma con forte senso della misura delle cose, ci metto anche Sel, che non è stata in grado di dare risposte credibili alla crisi di sistema – perché è dentro di una crisi storica della sinistra, per superare la quale non bastano certo né le fatwa ideologiche né il primato delle certezze soggettive. Oggi Sel è all’opposizione ed è opposizione di sinistra, per quello che possiamo ancora identificare come sinistra, e vedremo quello che riuscirà a fare, per quello che è nelle sue mani
    Claudio
    E’ vero quello che scrivi sull’apporto di voti di Sel ma dimentichi che Sel sta all’opposizione dall’inizio della legislatura che è nata all’insegna delle grandi intese e dall’avvio del percorso di riforme costituzionali in deroga all’articolo 138. Questa deeroga ci ha trovato ostili e indisponbili. La deroga con Renzi è rientrata ed è subentrato il percorso segnato dal patto del Nazareno, cioè, parafrasando Boschhi, noi abbiamo deciso, voi vedete se qualche aggiustamento si può fare, potrà essere accettato se il governo dirà ok. Insomma tutto questo per dire che non c’è stata consultazione da parte di Renzi e d’altra parte sulla materia costituzionale Sel pensa che la strada maestra sia quella di attribuire il ruolo centrale e decisisivo alle competenti commissioni di affari costituzionali del Parlamento. I diritto dovere è loro e anche su questo aspetto il vulnus democratico è grave.
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